“Nella bottega di un cambalaro del XXI sec.”: Intervista a Federico Mascheroni

Un’arte antica, ma non troppo, verrebbe da dire, quella del cembalaro il quale da materiali inerti crea delle opere d’arte al servizio di un’altra arte, la musica. Antica, si diceva, perché risale al XVI sec., ma anche contemporanea in virtù del ritorno d’interesse, verificatosi nella seconda metà del Novecento, nei confronti di questi strumenti e del repertorio composto per essi. Oggi non sono pochi, infatti, i cembalari che costruiscono strumenti su commissione imitando gli esemplari storici che, fortunatamente, sono sopravvissuti agli attacchi del tempo, dell’indifferenza e dell’incuria, determinate quest’ultime anche dall’affermazione del pianoforte, come strumento principe, tra quelli a tastiera. Ma come quest’arte è praticata oggi? Ad illustrarci questo lavoro è oggi un famoso, sebbene ancora giovane, cembalaro italiano, Federico Mascheroni, la cui bottega, tramandata dal nonno, illustre costruttore di pianoforti, e dal padre, si trova a Lonate Ceppino in provincia di Varese. Da qui strumenti, costruiti su commissione, partono per tutto il mondo per far rivivere un repertorio antico e affascinante.
Puoi raccontarci come è nata la tua passione per la costruzione di strumenti storici a tastiera?
Sono cresciuto tra legno e musicisti e ho la fortuna di essere l’erede di una bellissima tradizione familiare di artigianato. Tutto parte negli anni ’30 del secolo scorso, con nonno Diamante il quale iniziò l’attività di riparazione, accordatura e costruzione di pianoforti. Poi, a partire dagli anni ’60, mio padre Carlo, pianista, organista, clavicembalista ed insegnante di conservatorio, convinse nonno Diamante a indirizzare il tempo ed energie nella produzione di strumenti storici a tastiera. Io ho iniziato fin da giovanissimo, affiancando mio padre in bottega e a soli 17 anni realizzai il mio primo strumento.
Dal momento che un clavicembalo o uno strumento a tastiera storico è sempre un pezzo unico come un’opera d’arte, quali emozioni si provano nel costruirlo?
È esatto, ogni strumento è davvero un pezzo unico. Di volta in volta, il risultato finale, e persino lo stesso suono che produce, non è mai identico al precedente. Quello che resta è l’orgoglio di un lavoro ben fatto. E’ molto appagante creare qualcosa di unico con le proprie mani così come lo è sapere che il tuo nome e la tradizione di famiglia lasciano delle tracce… Poi, chissà, magari tra duecento anni i miei strumenti saranno di ispirazione ad altri giovani costruttori, esattamente come io mi ispiro agli originali del ‘600 e ‘700.
E quali, una volta realizzato, nel privarsene?
È come se un figlio prendesse la sua strada. Sai di aver fatto del tuo meglio per permettergli di vivere ben saldo e diritto sulle proprie gambe e sai che, sebbene derivi da te, non è “roba tua”. La musica è arte e in quanto tale credo che appartenga al mondo. Il mio lavoro è solo un mezzo.
A tale proposito tra gli strumenti che hai costruito ce n’è uno di cui non avresti voluto privarti?
Con gli anni e l’esperienza, le emozioni nel privarsi degli strumenti realizzati è variata molto. Ricordo che fu proprio per il mio primo clavicordo in cipresso che provai una sensazione di nostalgia nel privarmene.  Si trattata forse più di emozioni legate all’età giovanile e all’inesperienza. Tuttavia, credo che valga lo stesso per tutte le categorie di professioni artigiane. Tutto ciò che realizzi rappresenta un’impronta personale anche se sai che non resterà in tuo possesso.
Immagino che, quando si vende un clavicembalo, sia come perdere un proprio figlio. In genere riesci a seguirne le tracce?
Certo, in genere riesco a seguirne le tracce. Oltre ad occuparmi della manutenzione, infatti, questo genere di professione porta spesso ad instaurare rapporti confidenziali o persino amicali con i musicisti con cui collaboro.
Costruire un clavicembalo è un lavoro di estrema precisione. Qual è, se ce n’è una, la parte di un clavicembalo più difficile da costruire?
La parte della meccanica, i saltarelli, e la parte legata alle tastiere. Credo siano queste le attività più complesse. I saltarelli richiedono un grande lavoro di precisione manuale, mentre le tastiere richiedono anche capacità di intaglio.
Preferisci costruire da solo tutte le parti del clavicembalo o inserire elementi della meccanica fabbricati da altri?
Essendo molto attento ai dettagli, preferisco che tutte le parti del clavicembalo siano fabbricate da me.  Credo che utilizzare delle parti industriali o fabbricate da altri metta in discussione la stessa artigianalità del prodotto finale.  Inoltre, utilizzare parti costruite da me personalmente mi garantisce il raggiungimento della funzionalità che ricerco sulla base del mio metodo e della mia esperienza. Il mio obiettivo è utilizzare un pezzo che sia qualitativamente efficiente e realizzandolo personalmente so che sarà adeguato a cosa mi sono prefissato.  Mi avvalgo, invece, della collaborazione di pittori e decoratori professionali solo per quanto attiene la parte estetica dello strumento.
Tra i modelli di clavicembalo che hai imitato nella tua produzione ce n’è uno che ti ha creato particolari difficoltà?
Tutti gli strumenti hanno le loro proprie peculiarità. Sulla base dell’esperienza bisogna rimediare alle difficoltà di volta in volta, trovando giuste soluzioni che siano funzionali ed efficienti.
e uno che ti ha maggiormente appassionato?
Le riproduzioni dagli originali sono sempre una sfida appassionante. Bisogna cercare di tradurre al presente persino quei piccoli difetti che li rendono assolutamente unici.
e quello che ritieni più bello per quanto riguarda il suono?
E’ molto difficile scegliere quale strumento tra i tanti costruiti, dal punto di vista del suono, sia stato il migliore in assoluto perchè ognuno di essi ha la sua propria voce. A me personalmente piace che lo strumento abbia un suono ricco e corposo e i materiali utilizzati di volta in volta hanno un gran peso nel determinarne la qualità.
I clavicembali, costruiti oggi, sono moderne imitazioni di quelli antichi. Ma si può dire che li riproducano fedelmente? Per esempio i Ruckers erano dei clavicembali a due tastiere traspositori. Oggi, in generale, vengono riprodotti utilizzando modelli ravalé, opera dei Francesi, in cui i due manuali avevano funzione espressiva.
Si può dire che le riproduzioni moderne siano a discrezione del costruttore e delle indicazioni del committente. Lo strumento che ha scopi professionali può ispirarsi a un originale, mantenendo inalterate le proporzioni foniche. I clavicembali Ruckers nel corso del ‘700 venivano ravalati per le esigenze musicali dell’epoca.Allo stesso modo, oggigiorno, possiamo rifarci a questi strumenti franco – fiamminghi, modificati, oppure copiare direttamente dagli originali storici.
Tra le storiche “scuole” costruttive (italiana, fiamminga, francese, tedesca) ce n’è una che preferisci e per quale motivo?
Nel mio parco strumenti cerco di ispirarmi a quelli che fungono da migliori esempi delle caratteristiche costruttive delle varie scuole. Anche storicamente, infatti, ci sono esempi, per ognuna di esse, che rappresentano opere eccellenti così come, a mio parere, ce ne sono altri che hanno caratteristiche poco convincenti e scarsamente funzionali persino per l’epoca in cui erano stati costruiti.
Hai mai costruito un strumento totalmente fedele all’originale senza che il committente abbia chiesto delle modifiche?
Si, nello specifico, la riproduzione sulla quale non è stata riportata alcuna modifica richiesta dal committente è l’anonimo lionese di cui ho realizzato due copie dopo essermi dedicato allo studio diretto dell’originale.
Quali sono i materiali che preferisci utilizzare?
E’ necessario che la materia prima, ossia il legname, sia adatto e stabile e sia, al tempo stesso, in grado di arricchire il suono di spessore e corposità. Per questa ragione, scelgo legnami stagionati almeno 15/20 anni. Con l’esperienza, ho imparato a distinguere al tatto e alla vista i legnami più adeguati e opportunamente invecchiati.
So che, nella costruzione dei clavicembali, voi avete brevettato un interessantissimo dispositivo di vostra invenzione che rende più agevole il trasporto. Ce ne puoi parlare?
Gli strumenti più grandi a due manuali hanno la necessità di poter essere trasportati agevolmente. Per questo abbiamo brevettato un sistema di “smontabilità” delle tastiere che permette di alleggerire sensibilmente lo strumento e accorciarlo di circa 26/28 cm. L’idea è sorta da riflessioni e studi filologici. Storicamente, ci sono diversi esempi di come i cembalari cercassero soluzioni costruttive funzionali al trasporto, anche in considerazione delle maggiori difficoltà dell’epoca. Un esempio tra i diversi, può essere il clavicembalo pieghevole, anonimo italiano della prima metà del XVIII sec, composto in 3 sezioni incernierate e tastiera estraibile che ne consentono il “piegamento” a forma di valigia.
Oggi si parla tanto di plettri in penne naturali o in delrin. Quale soluzione ti sentiresti di consigliare a un clavicembalista?
Personalmente ritengo che dal punto di vista del suono, quello prodotto al pizzico con plettri in penna naturale sia migliore. Dal punto di vista della durevolezza, invece, non necessariamente i plettri in delrin offrono maggiori garanzie. La differenza tra le due tipologie consiste solo nella manutenzione richiesta. Perchè i plettri in penna possano presentare una durevolezza simile ai plettri in delrin è necessario dedicarsi alla cura e alla manutenzione costante dello strumento. Di conseguenza, mi sentirei di consigliare questa seconda soluzione solo a clavicembalisti che hanno modo e tempo di eseguire la manutenzione necessaria.
C’è un clavicembalo che hai sempre sognato di imitare? Se sì, quale e perché?
Mi piace pensare che ogni nuovo strumento sia una sfida appassionante. Sebbene siano molti anni che me ne occupo, tutti gli strumenti realizzati si sono presentati unici e so che anche la prossima realizzazione richiederà studio e riflessione. Il risultato finale dipenderà dalla mia abilità di riportare al presente le peculiarità proprie dell’originale. Ultimamente, ad esempio, mi è stata commissionata dagli USA la riproduzione del clavicembalo “Pierre Bellot” del 1729, conservato presso il museo Ville de Chartes in Francia. Per dedicarmi alla riproduzione dell’originale, mi recherò personalmente a Chartes ad effettuare la misurazione dello strumento, lo studio delle proporzioni sonore e dei punti di pizzico e di tutti gli altri elementi che, a mio parere, possono essere valutati in modo valido solo dal vivo.
Grazie per l’interessante intervista.