Teatro Vascello: ” Le memorie di Ivan Karamazov” di Umberto Orsini e Luca Micheletti

Roma, Teatro Vascello Stagione 2023 2024
LE MEMORIE DI IVAN KARAMAZOV
dal romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij

drammaturgia Umberto Orsini e Luca Micheletti
regia Luca Micheletti
con Umberto Orsini
scene Giacomo Andrico
costumi Daniele Gelsi
suono Alessandro Saviozzi
luci Carlo Pediani
assistente alla regia Francesco Martucci
produzione Compagnia Umberto Orsini
Roma,13 Ottobre 2023
“Se Dio e l’immortalità dell’anima non esistono tutto è possibile…se si distrugge nell’uomo la fede nell’immortalità subito si inaridirà in lui non solo l’amore ma ogni forza vitale. Allora niente sarà immorale, tutto sarà ammesso, persino l’antropofagia”. (F. M. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov).
Per la terza volta nella sua illustre carriera, l’acclamato attore teatrale Umberto Orsini si immerge profondamente nel personaggio di Ivan Karamazov, nell’opera potentemente evocativa di Fëdor Dostoevskij, “I fratelli Karamazov” . Orsini, seguendo il percorso tracciato da Bolchi nel suo noto sceneggiato televisivo e da “La leggenda del grande inquisitore”, decide di confrontarsi con la complessa figura di Ivan Karamazov, uno dei personaggi letterari più tormentati e controversi. Ivan, il libero pensatore, teorizza l’amoralità del mondo, confessando implicitamente il patricidio, forse consapevole del suo crimine . Questo personaggio, simultaneamente colpevole e innocente, ritorna sul palcoscenico come un uomo più maturo che ha la sensazione di non aver ancora completato il suo compito. Ivan Karamazov si materializza dalle ombre, avvolto nel panorama decadente di un luogo che un tempo fu teatro di macabri eventi, culminati nel disastro del suo clan familiare. L’aula del tribunale, palcoscenico di tale tragedia, si è trasformata in una prigione personale da cui non può evadere. L’edificio, un tempo simbolo di grandiosità, ora è un deserto spettrale, un inferno terreno che si riempie incessantemente di sinistri eventi. Consumato dal tempo e tormentato da un senso di colpa insopprimibile, Ivan è un’ombra di ciò che era. Analogamente al figlio di Dio nel deserto, nonostante la sua solitudine, Ivan intrattiene un dialogo incessante con un’entità demoniaca. Questa creatura impalpabile, che si manifesta attraverso risate sinistre e raffiche di vento, potrebbe essere soprannaturale o semplicemente un prodotto della sua mente tormentata. Assume la forma di un congegno meccanico, un insieme di grammofoni, trombe ed orologi che danno voce ai pensieri torturati di Ivan. Da queste bocche metalliche risuona una filosofia fredda, meccanica, e fondamentalmente materialistica: un esistenzialismo nichilista che Ivan cerca disperatamente di respingere, ma invano. Questa è la sua pena, un lotta interminabile contro i suoi stessi pensieri. Quarant’anni dopo gli eventi narrati da Dostoevsky, Ivan scrive le sue memorie, cercando di gettare luce sui propri sentimenti e sulla propria filosofia. Svela le dinamiche dei crimini e delle punizioni in un modo che ricorda un thriller psicologico e morale. Attraverso un linguaggio incisivo ma diretto, e una serie di alternanze di stato d’animo, Orsini mette in scena un personaggio elusivo e amletico, emergendo come il protagonista indiscusso di questo viaggio nella coscienza umana. La sua narrazione, che oscilla tra confessione, invettiva e difesa, inizia con il riferimento biblico del chicco di grano, simbolo di solitudine e morte, citato in apertura dell’opera da Dostoevskij. Questo passo, tratto dal Vangelo di Giovanni (12,24), rappresenta il cuore e l’essenza del romanzo. Micheletti e Orsini lo riportano al termine dello spettacolo, creando un perfetto cerchio narrativo.  Non è una coincidenza che questa citazione biblica sia incisa sulla tomba di Dostoevskij nel cimitero di Tichvin, a San Pietroburgo, sottolineando ulteriormente la profonda connessione tra l’autore e il suo capolavoro. Nel corso del monologo confessionale, Orsini è accompagnato da una musica tesa che funge da colonna sonora alla sua confessione drammatica . Lo scandire di un orologio apre e chiude lo spettacolo: «Quando ogni uomo avrà raggiunto la felicità, il tempo non ci sarà più.»(Dostoevskij).I suggestivi set sono opera di Giacomo Andrico, mentre le articolate e bellissime luci sono di Carlo Pediani. L’uso di Andrico degli spazi negativi contribuisce a creare un senso di vuoto esistenziale, riflettendo la tormentata psiche di Ivan. Le scenografie, mai soverchianti o prepotenti, si fondono organicamente con il personaggio e la trama. L’uso di una palette cromatica tetra, punteggiata da lampi di luce cruda e acuminata, rispecchia visivamente il conflitto interiore di Ivan, un duello tra tenebre e chiarezza, tra fede e incertezza. Il monologo del protagonista, spesso ricorsivo e alienante, si contrappone a scene che si svolgono con un ritmo ossessivo e travolgente. Le immagini si moltiplicano, si sovrappongono, si intrecciano in un danza visuale complessa che avvince totalmente lo spettatore. Non vi è tregua, né conforto, solo la costante iterazione di elementi scenici che si intensificano progressivamente, avvolgendo completamente. Questa ripetizione inarrestabile genera un ritmo avvincente, un ritmo che riecheggia con la stessa fissazione e intensità che pervade il protagonista. In questa straordinaria manifestazione teatrale, i vari elementi percettivi – musica, scenografie e illuminazione – si fondono , dunque, in un’armoniosa e straordinaria combinazione. Tasselli distinti, ma coesi, che si intrecciano con precisione per dar forma a una drammaturgia finemente cesellata. Il tutto è sapientemente portato in scena dal protagonista, il cui talento e dedizione trasformano ogni dettaglio in un prezioso frammento di un affresco emotivo. La scena diventa così un intricato puzzle, in cui ciascun elemento contribuisce a tessere il dramma umano ed esistenziale che si svolge sotto gli occhi dell’audience, risvegliando emozioni intense e provocando riflessioni profonde. Al culmine, applausi e ovazioni, con l’auditorium in piedi.