Torino, Teatro Regio: Nathalie Stutzmann dirige Il concerto dedicato alla Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne

Teatro Regio, Torino, I concerti 2023-2024
Orchestra Teatro Regio di Torino
Direttore Nathalie Stutzmann
Maurice Ravel:”Le tombeau de Couperin” per orchestra; Richard Wagner: “Tannhäuser” Ouverture; Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n.6 in si minore op.74 Patetica.
Torino, 25 novembre 2023
25 novembre, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, in Piazza Castello, chiusa al traffico anche dei mezzi-pubblici, vagano i residui dei cortei pomeridiani, in teatro c’è un pubblico delle grandi occasioni e l’Orchestra del Teatro Regio di Torino porta il nastro rossi sul bavero del frac o tra i capelli. Per la prima volta al Regio c’è la francese Nathalie Stutzmann, già grande e noto contralto che da qualche tempo, abbandonati i ruoli vocali e lasciato il palcoscenico, si  dedica alla direzione d’orchestra. La diffidenza, che mai manca in questi casi, serpeggia tra i chiacchiericci d’attesa degli “esperti” e pare avere una effettiva conferma dagli esiti della prima parte del concerto. Ravel avvia la serata ripescando dal barocco francese del seicento un omaggio, Le Tombeau, a François Couperin le Grand. Un’affascinante suite di danze all’antica ma in “salsa floreale”. La Stutzmann la prende con molta seriosità; il risultato porta a un’eccessiva rigidezza nell’andamento, in un percorso che appare forse un po’ troppo prevedibile. Si raggiunge placidamente l’esaurimento del filo dorato di una ipotetica filigrana, timbricamente carente, priva di ombreggiature e di brillii. Segue l’Ouverture del Tannhäuser, l’opera più francese e grand-opera del tedesco. L’esecuzione suona, già dalle battute iniziali, “spossata”; gli ottoni del Regio sono ben lontani dallo sciorinare, fin dall’attacco, una convincente fanfara. Si prosegue con la sensazione di una cattiva messa a fuoco e di un obbiettivo mancato. Dopo l’intervallo, a sorpresa, la Stutzmann e l’Orchestra del Teatro Regio  riemergono dal torpore e ci offrono una coinvolgente ed emozionante patetica di Čaikovskij. Crediamo che ciò non sia attribuibile, come si mormora, ad una maggior cura ed accuratezza delle prove, perché la screziatura sentimentale che viene evocata è talmente variegata e persistente da potersi ritenere innata nel carattere dell’esecutore e non indotta da uno studio ancorché approfondito. La Stutzmann, fisico minuto, si presenta molto sobriamente con un mascolino smoking nero di taglio corrente e senza alcun altro vezzo che non sia il nastro scarlatto di circostanza. Il gesto, sul podio, non è assolutamente contenuto ma neppure enfatico, ha pregnanza ed efficacia tali da comunicare le intenzioni interpretative avvalendosi a tratti della bacchetta, o con le sole mani e assai sovente flettendo di molto il busto verso la sezione orchestrale determinante nel passaggio. Crediamo che il connubio con un’orchestra, nei fatti, non propriamente sinfonica, abbia favorito la sensazione di ambiguità psicologica che ha caratterizzato e marchiato fortemente l’intero pezzo. Per noi mai prima d’ora Čaikovskij era parso così efficacemente rappresentato sia nella sua forza che nelle sue debolezze. Il movimento d’avvio della sinfonia è caratterizzato da un inusitato numero di indicazioni agogiche. Si afferma, si nega, si dice e si tace in un continuo caleidoscopio di sentimenti che sia sfumano l’uno nell’altro sia si oppongono e contrastano brutalmente. C’è chi questa sinfonia l’affronta con le viscere, chi la raffredda col cervello e chi, la Stutzmann tra i pochissimi, l’immerge nelle incertezze e nei dubbi del non-compreso, non-detto o non-dicibile della natura umana. Forse solamente la forte e coraggiosa personalità femminile dell’interprete è stata in grado di non disarmare nell’affrontare, senza reticenze, le ambiguità nascoste nella musica di Čaikovskij. Nell’allegro con grazia e nell’allegro molto vivace, movimenti centrali della sinfonia, si agitano, sotto una coltre persistente di angosciosa incertezza, sia la leggerezza piacevole del balletto che una forzata baldanza che sfocia in esaltate battute conclusive che costringono il pubblico a un inopportuno, quanto peraltro benvenuto, applauso. Non c’è pubblico, soprattutto se molto numeroso e con grandi frange di inconsapevolezza, che riesca a sottrarsi all’errore. Siamo peraltro convinti che si tratti di una felix culpa vista la forzatura di una pausa di positività che ancor più marca la disperazione, qui inevitabilmente viscerale, del finale Adagio Lamentoso. Emozioni al top! I 30 secondi di silenzio che seguono l’accordo finale in pianissimo, 4 p, di violoncelli e contrabbassi potrebbero quasi venir scritti in partitura. Prova maiuscola dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino, impossibile, senza cadere in un imbarazzante eccesso di superlativi, lodare quanto si meriterebbe la prova della Stutzmann. Il pubblico l’ha richiamata più volte in proscenio e certamente non pochi si sono fatti accompagnare dall’emozione provata anche fuori dal teatro.