Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Anna Karenina” con una straordinaria Galatea Ranzi

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
ANNA KARENINA
di Lev Tolstoj
Anna Karenina GALATEA RANZI

Dolly DEBORA BERNARDI
Levin FRANCESCO BISCIONE
Betsy GIOVANNA MANGIU’
Vronskij GIACINTO PALMARINI
Oblonskij STEFANO SANTOSPAGO
Karenin PAOLA SERRA
Kitty MERSILA SOKOLI
Lidija IRENE TETTO

adattamento Gianni Garrera Luca De Fusco
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
luci Gigi Saccomandi
musiche Ran Bagno
coreografie Alessandra Panzavolta
proiezioni Alessandro Papa
aiuto regia Lucia Rocco
Roma, 12 Dicembre 2023
“Se ci sono tanti ingegni quante teste, ci sono tanti generi d’amore quanti cuori.”( ANNA KARENINA, Lev Tolstoj)
Anna Karenina si configura come metafora della complessità umana nel manifestare chiarezza interiore, quando il resto della società abbraccia l’ipocrisia. Anna, donna di nobili qualità e condizione sociale, si innamora di Vronskij, diventando l’inevitabile a cui abbandonarsi. Il suo volto irradia vivacità, ma il bagliore non è gioioso; è piuttosto la luce di un rogo nella notte, il preludio di un dramma imminente. Inizia così un conflitto psicologico profondo in una donna un tempo leggera e fiera, ora curva sotto il peso di baci acquistati con la propria vergogna. La maldicenza s’insinua tra balli e perle, cercando di marchiare come indecente ogni atto conforme alle loro abitudini. Anna Karenina rappresenta una rivoluzione non solo nei costumi, ma nella dignità umana svuotata dalla diffusa ipocrisia; è l’emblema dell’uomo che lotta nell’orizzonte ventoso dei sentimenti, immobile, stringendo una mano senza guardare il volto: ” Vivere non per i propri bisogni ma per Dio…”. Nella parte finale del romanzo, Konstantin Levin, uomo di principi positivisti, scettico verso Dio e convinto della materialità dell’esistenza, scopre attraverso il confronto con la vita dei contadini che ogni piccolezza ha un significato assoluto. L’autore riflette le influenze delle teorie positiviste del XIX secolo e Levin, stanco della ripetitività degli eventi e dell’incapacità umana di rispondere, si abbandona al desiderio della morte. Tuttavia, Tolstoj lo guida verso la comprensione che ogni aspetto della vita ha un significato assoluto, aprendo la strada a una transizione da una concezione evoluzionistica e materialistica a una religiosa. Il contesto di “Anna Karenina” è l’alta società russa dell’Ottocento, segnata dall’occidentalizzazione. Levin, avverso alle luci artificiali e alla mondanità, rappresenta l’intellettuale dubbioso, mentre Vronsky incarna l’uomo che sa vivere appieno senza porsi grandi interrogativi. Anna, catturata dalle passioni, diventa vittima, mentre Levin scopre un nuovo sentimento che non lo rende felice, ma dà un senso alla sua esistenza. È fede o non è fede? La risposta rimane un mistero. La proposta di De Fusco per l’interpretazione di questo dramma di Tolstoj si caratterizza per la sua sofisticatezza, dando origine a un testo e uno spettacolo di notevole impatto. Il regista suddivide la narrazione nelle battute dei personaggi, con transizioni repentine, talvolta prive di un ritmo definito, che oscillano tra la prima e la terza persona. Tale approccio amplifica, a tratti in modo eccessivo, la dimensione metatestuale, ma regala un ritmo incalzante e con lunghi fiati. Garrera e De Fusco dirigono la loro attenzione su temi fondamentali quali l’amore, la famiglia e il matrimonio in una lettura scenica che si avvale di un cast di prestigiosi attori e attrici della prosa italiana. La performance è sostenuta da una recitazione composta, solenne e rigorosa, che ha mantenuto in piedi lo spettacolo con maestria. La scenografia di Marta Crisolimi Malatesta, artefice anche dei costumi, accentua il dettato drammatico, con ambienti essenziali e oscuri, illuminati da straordinari colpi di luce livida di Gigi Saccomandi, gradualmente popolati dai personaggi che tracciano geometrie – verticali, orizzontali e prismatiche – richiamando alla mente il ricordo stilistico di Ronconi. Luca Ronconi, pioniere dello spazio scenico, si fa sentire come un’omaggio palese, poiché l’approccio di De Fusco ad “Anna Karenina” si distingue per la sua natura antinaturalista e anticlassica. Un velo nero davanti alla scena si trasforma in un supporto per proiezioni cinematografiche a cura di Alessandro Papa, richiamando alla mente il film omonimo di John Wright del 2012. Le scene cruciali del romanzo prendono vita sulla quarta parete, oscura e trasparente, creando un’esperienza visiva coinvolgente. Nonostante il tono umoristico assegnato da Luca De Fusco al tema dell’ipocrisia e del calcolo, incarnati dal burocrate Karenin, si assiste a una svalutazione dell’ambientazione aristocratica, trasformata in un salotto borghese. Ed è proprio a fronte di questa visione che si scatena la fervida  espressione dei sentimenti di Anna Karenina e degli altri personaggi. Galatea Ranzi offre un’interpretazione magistrale della protagonista, incarnando il personaggio in ogni sua sfaccettatura, dal corpo agli occhi, dai pensieri alle parole. La sua performance solleva il personaggio fino al monologo finale, regalando al pubblico quasi quindici minuti di pura potenza espressiva. L’attrice assimila la modernità epica del femminile proposta da Tolstoj e dalla visione illuminata di Luca De Fusco. Paolo Serra ha approfondito il personaggio di Karenin, conferendogli una maggiore umanità e modernità rispetto a quanto traspare dal romanzo, introducendo nuove sfaccettature più morbide e facilmente leggibili. Giacinto Palmarini ha delineato un Vronskij più algido, sembrando quasi imprigionato dalla sua divisa e mostrando un coinvolgimento poco credibile nei confronti di Anna. Analogamente, Stefano Santospago, nonostante la sua rinomata carriera e notevole talento, ha offerto una performance poco empatica nel ruolo di Oblonskij. Debora Bernardi ha presentato invece una convincente interpretazione di Dolly, evidenziando il perbenismo ipocrita e la sofferenza di una moglie tradita. Mersila Sokoli, nel ruolo di Kitty, ha incarnato con dolcezza e ingenuità la figura della giovane innamorata. Irene Tetto ha dato vita a Lidjia con vivacità, dinamismo e audacia nel suo opportunismo, raffigurando la seconda moglie di Karenin pronta a sostituire Anna, anche nei tratti materni. Infine, Giovanna Mangiù ha interpretato il personaggio di Betsy. Lo spettacolo è frutto della collaborazione tra il Teatro Stabile di Catania e il Teatro Biondo di Palermo. Strutturato in due atti, lo spettacolo si protrae per una durata complessiva di due ore e trenta minuti, offrendo al pubblico l’emozione del teatro classico arricchita dall’influenza degli illustri registi teatrali italiani. Il meritato plauso è rivolto all’intero cast, con particolare menzione per la protagonista che gode di un apprezzamento significativo da parte del pubblico.