Milano, Teatro alla Scala: “Médée”

Milano, Teatro alla Scala, stagione 2023/24
“MÉDÉE”
Opera in tre atti su libretto di di François-Benoît Hoffman
Musica di Luigi Cherubini
Médée MARIA PIA PISCITELLI
Jason STANISLAS DE BARBEYRAC
Crèon NAHUEL DI PIERRO
Dircé MARTINA RUSSOMANNO
Néris AMBROISINE BRÉ
1 ère femme GRETA DOVERI
2 ème femme MARA GAUDENZI
Le duex fils TOBIA PINTOR e GIADA RIONTINO
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Michele Gamba
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Milano, 20 gennaio 2024
L’oscura ombra della strega colca sembra aleggiare sulla Scala. Il ritorno di Medea alla Scala, per la prima volta in francese e per la prima volta dalle mitiche recite del 1953 con Maria Callas protagonista era uno egli spettacoli più attesi della stagione ma ha dovuto scontrarsi con una serie di problemi che ne hanno compromesso la riuscita, quasi l’ombra di una maledizione.Originariamente la parte della protagonista avrebbe dovuto essere affidata a Sonia Yoncheva, scomparsa dal cartellone è stata sostituita a Marina Rebeka – scelta ideale vista la recente splendida prestazione ne “La Vestale” di Spontini. Purtroppo già alla prima la cantante lettone ha mostrato problemi di salute che l’hanno costretta a rinunciare alla recita da noi vista. Maria Pia Piscitelli subentrata a meno di ventiquattr’ore dalla recita fa di necessità virtù e ha il merito di portare in porto la recita con professionalità. La cantante ha il merito di conoscere la parte – l’ha cantata recentemente a Madrid – però le condizioni della serata hanno sicuramente influito e soprattutto nel primo atto la tensione è stata palpabile. Nel complesso siamo di fronte a un’interpretazione di onesta professionalità. Il timbro non piacevolissimo è accettabile in questo titolo mentre più problematico è l’evidente discontinuità di emissione. L’interpretazione è  pulita ma questo non basta certo per un ruolo così gigantescamente complesso che, soprattutto nel finale dovrebbe mostrare la tragica lacerazione emotiva del personaggio. Forse con un diverso taglio registico le cose sarebbero potuto andare meglio?…La cantante va ringraziata per aver salvato la recita in extremis.Non enstusiasma anche resto del cast. Stanislas de Barbeyrac avrebbe la voce giusta per Jason, scusa e autorevole con un registro centrale robusto e sonoro al netto di un timbro un po’ prosaico. Purtroppo sono apparsi diversi problemi di emissione – anche per lui qualche problema di salute? – con acuti forzati e una zona di passaggio velata e indurita. Sul piano espressivo – complice anche la regia – appare anodino e distratto sfiorando appena la ricchezza espressiva del ruolo. Sotto tono ci è apparso anche Nahuel di Pierro (Créon), vocalmente molto meno a fuoco rispetto al recente Noè al Donizetti Festival bergamasco e soprattutto poco centrato sul piano espressivo. Troppo bonario e priva di autorevolezza non riesce a rendere la natura profonda del ruolo, incarnazione dei valori di civiltà e sacralità del diritto della polis greca opposta al mondo altero e barbarico di Medea. Molto meglio la rimanente componente femminile. Martina Russomanno canta con gusto ed eleganza e risolve con sicurezza la scomoda parte di Dircé. La voce è di bel colore e le colorature pulite e precise. Sul piano espressivo riesce a rendere un personaggio ricco e sensibile nonostante una certa banalizzazione registica del ruolo. Voce leggera ma gusto e musicalità per la Néris di Ambroisine Bré che canta con il giusto lirismo la bella “Ah! Nos peines seront communes”. Molto brave Greta Doveri Mara Gaudenzi – allieve dell’Accademia Scaligera – nei panni delle ancelle di Médée. Convince pienamente la direzione di Michele Gamba nel trovare un giusto raccordo nell’ambigua natura di una partitura sospesa tra passato e futuro. Nella visione di Gamba a prevalere e senz’altro quest’ultimo con una predilezione per colori vividi e ritmi marcati che esaltano il sapore già quasi beethoveniano di tanti momenti – soprattutto nel III atto – ma capace anche di classica eleganza nei momenti più lirici e manierati. Gamba rende con precisione il colore espressivo dei singoli momenti, la ricchezza della scrittura cherubiniana capace di far sentire nello strumentale, forse ancor più che nel canto, le lacerazioni dei personaggi. Come sempre inappuntabili le prove del coro e dell’orchestra scaligera.
La regia di Damiano Michieletto è una sorta di sintesi della sua estetica portata a estreme conseguenze con il risultato di dividere implacabilmente il pubblico. Regia costruita partendo da un’idea forte e imperiosa che viene imposta a costo di forzare la coerenza drammaturgica del testo. Qui l’intera vicenda è vista attraverso gli occhi dei bambini, testimoni e vittime del dramma famigliare. I recitativi sono quindi sostituiti da monologhi fuori scena degli stessi – operazione assai discutibile sul piano filologico specie in occasione della prima esecuzione della versione originale – ed è il loro l’unico punto di vista che conta. L’idea è sicuramente forte e da un certo punto di vista ben raccontata – Michieletto sa far recitare e la coppia dei bambini è scenicamente straordinaria – ma a lungo andare risulta semplicistica. A Michieletto – e lo abbiamo spesso notato – non interessano i personaggi e la loro psicologia, il tutto ridotto a modelli astratti, a stereotipi privi di autentica vita e utili solo all’impianto ideologico d’insieme. È una scelta legittima ma continuiamo a nutrire dubbi su questa concezione teatrale. Le scene di Fantin ripropongono gli algidi interni borghesi e le atmosfere strimberghiane viste mille volte dal barocco a Wagner. Arredi scarni con pochi elementi essenziali – il bucranio d’oro del vello, una statua carbonizzata a evocare il cadavere di Dircé; alcuni effetti scenici molto riusciti – Médée che evoca il fuoco dal nulla per incantare la corona. Molto forzata – a parere dello scrivente – la scelta di mostrare l’uccisione dei bambini in stridente contrasto con l’estetica più autentica della tragedia e della sua funzione catartica. Questa però non è più una tragedia ma un dramma borghese di natura sociale e tutto diventa lecito. Efficaci le luci di Alessandro Carletti. Foto Brescia e Amisano