Amici della Musica di Firenze: Concerto della Klezmerata Fiorentina

Figline e Incisa Valdarno, Teatro Comunale Garibaldi,
Klezmerata Fiorentina
Clarinetto Riccardo Crocilla
Contrabbasso Riccardo Donati
Fisarmonica Francesco Furla
Violino Igor Polesitsky
Musica tradizionale proveniente dal Nord-Est Europeo:Al principio (creazione del mondo); Ot Azoi! Git azoi! (così sia, così bene!); Benvenuto alla sposa (suite); Kosher-tanz (suite); La suite della steppa: Danza dei mietitori; Antico canto dei chumak (i portatori del sale); La danza del vento del Sud; Canto dei consuoceri; Lamento; 7:40: treno della vita; Epilogo: La domanda e la risposta.
Figline Valdarno, 2 febbraio 2024
Il concerto della Klezmerata Fiorentina – formata da quattro straordinari musicisti dell’Orchestra del Maggio Fiorentino, presente nel panorama internazionale dal 2005 dopo la presenza al Festival a Lugano “Martha Argerich Project” dedicato ai vari aspetti della musica ebraica -, un altro importante appuntamento degli Amici della Musica di Firenze, è stato realizzato nel Ridotto del Teatro Comunale Garibaldi di Figline e Incisa Valdarno (città metropolitana di Firenze). L’organico strumentale, unitamente alla proposta della grande musica tradizionale proveniente dal Nord-Est Europeo incuriosiva. Già dal primo brano (Al principio) emergevano le significative doti di versatilità e capacità improvvisative del quartetto.
Agli Amici della Musica di Firenze va il plauso dell’inserimento del concerto nella programmazione, avvicinandosi così alle eterogenee sensibilità del pubblico, mentre al quartetto il merito di diffondere questi repertori tenendo alta l’attenzione dei presenti. Anche se le peculiarità della musica sono rintracciabili in forme e stilemi come: Skochne, Freilachs, Gas-Nign, Bulgar, in sostanza costituiscono vere e proprie ‘storie musicali’ in cui, attraverso il dialogo volto alla concordia dei quattro musicisti, ne scaturisce una narrazione che guarda a prassi esecutive affascinanti e ai valori senza tempo. Per l’ideatore del gruppo (Igor Polesitsky) il rapporto simbiotico con questa musica risale alla sua infanzia quando con il violino imitava i canti popolari Yiddish intonati dalla nonna e imparava la tecnica klezmer da Abram Shtern. Invece per gli altri musicisti probabilmente l’approccio a questa musica è arrivato grazie alla frequentazione con i capolavori musicali del Novecento che attingono al recupero del passato, dalla musica popolare e dai risultati delle ricerche in ambito etnomusicologico a cura dello studioso ebreo Moshe Beregovsky a Kyiv di cui alcuni esempi, tratti dalla raccolta Yiddish Ucraino, erano in programma. Vedere e sentire questo gruppo è stato come assistere ad una ‘germinazione’ continua di stupore partendo da antiche e suggestive melodie in cui ogni musicista, estemporaneamente e seguendo stilemi strutturati che appartengono alla memoria, riusciva a proporre una propria e profonda elaborazione (nata esclusivamente dal melos, spesso in un autentico alternatim tra il violino e il clarinetto), da rintracciare nel patrimonio musicale ed umano della tradizione. Il termine Klezmer (dall’ebraico kley zemer) con i suoi plurisignificati musicali ascrivibili ad un genere della tradizione ebraica dal carattere rituale-celebrativo, attingendo alla riflessione del violinista, si può sintetizzare come «Musica da camera libera per quartetto Klezmer». Per diversi aspetti ciò rimanda al concetto ‘autosignificante’ poiché: «la musica […] non è mai sola» (Berio). Curioso anche il nome del gruppo, ispirato alla Camerata fiorentina, che evidenzia un modo di ‘suonar cantando’ (bastava osservare le particolari risorse timbriche messe in atto per comprendere il lavoro di ricerca del suono volto allo stupore) per il linguaggio gestuale e il modo di relazionarsi, ognuno autentico interprete di un teatro che guarda all’umana vita in cui ciascuno, pur di concorrere all’armonia, è chiamato a saper far bene la propria parte. Per esprimere ciò era necessario attingere all’inconscio della percezione ricreando, attraverso una raffinata grammatica e sensibilità artistica (stilemi arcaici comprendenti melopee, scale ed armonie; suonare ‘ad libitum’ ma anche, soprattutto nelle danze, saper stare dentro ritmi ben strutturati, accompagnamenti basati su reiterati moduli, ecc.) immagini sonore e di vita che ricordano una sorta di ‘crocevia di popoli e di culture’. I contenuti erano esplicitati nel titolo: «Parlando della vita-Antiche musiche tradizionali yiddish dell’Ucraina per quartetto klezmer» e lo stesso programma sembrava quasi il passare in rassegna le ‘stagioni della vita’ in cui, se per l’alternanza dei cambiamenti improvvisi dalla tristezza all’esuberanza ricordava certi repertori strumentali slavi, come in alcune musiche di Dvořák, dall’altro portava, anche attraverso la metafora, alla riflessione dei grandi temi della vita. Il Benvenuto alla sposa era caratterizzato dal solo della fisarmonica, così trainante da invitare a suonare con molta naturalezza gli altri musicisti, mentre particolarmente commovente risultava il Lamento del violino, ricordo dedicato alla ‘Giornata della Memoria’; 7:40: treno della vita, con il suono onomatopeico in accelerazione del contrabbasso, ricordava l’importanza dell’essere sempre pronti perché, una volta che il treno è partito ed effettua il suo percorso, porta all’ Epilogo ora inteso non solo come conclusione e atto finale ma anche momento ove far convergere l’emozione nei presenti. La serata si è conclusa con grande successo e agli applausi del pubblico i musicisti hanno risposto con altri brani tratti dal repertorio bulgar (Sud Ucraina e Moldavia), musica popolare coreutica poi presente nelle raccolte americane dall’inizio del XX secolo. Ripensando alla coinvolgente introduzione dei brani da parte di Polesitsky, alla caleidoscopica esecuzione e all’incontro con i musicisti a fine concerto, posso affermare che l’evento è riuscito ad esprimere l’umano in cui le vibrazioni della coscienza si contrappuntavano con quelle della musica: connubio sottile ed ideale per continuare a credere ancora nei valori della bellezza, gli unici capaci di allontanare gli ‘errori’ di un’umanità sempre sul crinale dell’assurdo.