Bologna, Comunale Nouveau: “Il Trovatore”

Bologna, Comunale Nouveau, Stagione d’Opera 2024
IL TROVATORE
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Salvadore Cammarano, tratto dal dramma El Trovador di Antonio García Gutiérrez.
Musica di Giuseppe Verdi
Conte di Luna LUCAS MEACHEM
Leonora MARTA TORBIDONI
Azucena CHIARA MOGINI
Manrico ROBERTO ARONICA
Ferrando GIANLUCA BURATTO
Ines BENEDETTA MAZZETTO
Ruiz CRISTIANO OLIVIERI
Un vecchio zingaro SANDRO PUCCI
Un messo ANDREA TABOGA
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Davide Livermore ripresa da Carlo Sciaccaluga
Scene Giò Forma
Costumi Anna Verde
Luci Antonio Castro
Video D-Wok
Nuova Produzione del Teatro Comunale di Bologna con Teatro Regio di Parma
Bologna, 23 febbraio 2024
Qui non c’è progresso tecnico, né novità, né riforme di procedure, né ricerche, né conquiste istruttive. La fattura è più che normale, anzi è ovvia addirittura. Così, a proposito del Trovatore, si esprime Barilli nel tipico testo più citato che letto: arduo sottoscrivere, a meno che non ci si lasci ammaliare dallipnotico incedere della sua seducente prosa di sirena. Arduo ancor di più se si abbia appena esperito lopera in questa direzione di Renato Palumbo: ci sono un certo disincanto, unelasticità vigorosa, un gesto asciutto ma lubrificato, fluido. E un meccanismo orchestrale palpitante, che risponde con esattezza e poesia. Come assurge, allora, all’altezza che le appartiene, e che tuttavia non sempre le vien resa, ad esempio, la sublime introduzione alla quarta parte, alla scena della torre. Stile, garbo, eleganza: senza concessioni al popolaresco deteriore, che di Verdi, a dispetto del luogo comune, non è mai. E qui il coro. Accenta, sfuma, e si scioglie nelle più tenere e delicate possibilità dinamiche, da lasciar deliziati. Soldati sì, zingari sì, e pure gloriosi, e turgidi: ma sguaiati, stravaccati, questo no. Nel cast spicca su tutti Marta Torbidoni per la dimensione e la qualità del suo sontuoso mezzo vocale, limpidissimo a dispetto del nome, lucente, femminile, etereo ma dalla consistenza solidissima, corposa, muscolare. Un gran manto di voce può impacciarne i movimenti, e invece a lei consente agilità assai belle. Fatto non scontato, e che evoca alcuni mostri sacri del canto germogliati allombra del mitico García, che nel secolo scorso ci sono stati donati dalla Spagna e, più precisamente, dalla Catalogna. Allinizio del 2022 Lucas Meachem si è trovato nella scomodissima posizione di dover sostituire lannunciato Tézier nel ruolo di Athanaël nella Thais alla Scala: le proporzioni vocali erano e sono differenti, ma la qualità, il pregio del timbro morbido, caldo e luminoso insieme sono ben comparabili, e nella sensibilità musicale, nella finezza daccento e sfumature con Meachem si va anche oltre. Il Conte di Luna è, però, unaltra faccenda. Forse sarebbe stato più stimolante mettere da parte lo slancio aggressivo, che pure appartiene al personaggio, per accentuarne il lato melanconico, per farne un raffinatissimo aristocratico, un cuore nobile e offeso. Senza voler fare del Balen un Lied di Schubert: però guardando più a Fischer-Dieskau che a Guelfi, due nomi grandi tanto per capirci. Non sarebbe stato il Conte di Luna, ma sarebbe potuto essere un Conte di Luna di grande interesse. Sulla protagonista, Chiara Mogini (perché è nostra convinzione che la protagonista dellopera sia Azucena), ci sono ben pochi appunti e considerazioni da fare: la voce è bella, non incontra difficoltà né fratture nellampia estensione, è perfettamente in ruolo. E per di più la presenza scenica è la più catturante, con uninterpretazione di valore: non una pazza scalmanata, ma unangosciata nevrotica che vive nellincubo del suo trauma. Anche Gianluca Buratto (Ferrando)sembra a suo agio, con una bella emissione proiettata in avanti e quindi una schietta voce di basso, senza trucchi per scurirsi. Roberto Aronica (Manrico) ha voce dimportanza, ma alterna fiammate squillanti a troppo frequenti accenti lamentosi, quasi singhiozzati, che non conferiscono grande interesse al fraseggio e che rischiano di velare il bel colore della voce di una evitabile opacità. Nelle parti di fianco:  Cristiano Olivieri (Ruiz), Sandro Pucci (un vecchio zingaro), Andrea Taboga (Un messo),si segnala la Ines di Benedetta Mazzetto. L’allestimento è quello parmense di Davide Livermore: rivedendolo ora, schiacciato nel palcoscenico del Nouveau, bisogna riconoscere che vi si è adattato con molta maggiore elasticità di altri colleghi spettacoli che, belli doverano nati, col trasferimento perdevano tanto o tutto. Limmaginario e lestetica sono agli antipodi tanto dellopera quanto dal gusto di chi scrive, ma lo spettacolo è condotto con grande mestiere, e questo va riconosciuto. Il genere dellallestimento non è moderno, o nuovo, o contemporaneo, o davanguardia, o che dir si voglia: anzi è reazionario addirittura. I solisti sono sostanzialmente abbandonati alle loro personalità, qualora ne siano provvisti, mentre per le masse c’è la normale amministrazione, con acrobati e mimi che fanno il resto. Aleggia un manierismo zeffirelliano, complici i pagliacci: ma la differenza è che in Zeffirelli lhorror vacui produce scene e costumi di sfarzo esplosivo, in Livermore invece si traduce in movimento, quello eterno del girevole che fa di alcune sue produzioni stancanti trottole liriche.