Milano, Teatro alla Scala: “Simon Boccanegra”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione Lirica 2023/2024
SIMON BOCCANEGRA”
Melodramma in un prologo e tre atti, Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Simon Boccanegra LUCA SALSI
Jacopo Fiesco AIN ANGER
Poalo Albiani ROBERTO DE CANDIA
Pietro ANDREA PELLEGRINI
Amelia (Maria) ELEONORA BURATTO
Gabriele Adorno CHARLES CASTRONOVO
Capitano dei Balestrieri HAIYANG GUO
Ancella di Amelia LAURA LOLITA PEREŠIVANA
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Daniele Abbado
Scene Daniele Abbado e Angelo Linzalata
Costumi Nanà Cecchi
Luci Alessandro Carletti
Movimento coreografici Simona Bucci
Nuovo allestimento
Milano, 17 febbraio 2024
Va nuovamente in scena alla Scala il Verdi maturo di Simon Boccanegra, riproposto l’ultima volta nel 2018 sulle tavole del Piermarini e di cui conserviamo il ricordo storico del leggendario allestimento firmato da Strehler esattamente quarant’anni prima, sotto la bacchetta di Claudio Abbado. Oggi la regia proposta è proprio del figlio, Daniele Abbado, ed è costruita sulla pretesa di una lettura ridotta all’osso che punti all’essenziale e a un’astrazione senza tempo, quasi un’immagine dell’assoluto, quando in realtà rivela una generica scarsità di idee concrete in un cosmo teatrale esageratamente asettico ed insipido. Una cornice anonima che ha il solo pregio di permettere allo spettatore di focalizzarsi interamente sulla musica, avendo poco altro da assimilare da questa proposta di allestimento. Questa impostazione si riflette anche nelle scarne scene disegnate dallo stesso Abbado – supportato da Angelo Linzalata – costituite da ampie superfici spoglie, blocchi di pareti semoventi, fondali neutri, pochi altri elementi di carattere illustrativo (un albero, delle vele, una barca, del mobilio spoglio). All’interno di questi ampi spazi vuoti brancolano smarriti protagonisti e masse, vestiti degli altrettanto confusi costumi di Nanà Cecchi, né di grande impatto e né coerenti tra loro nell’attingere da indefinite epoche diverse. Unico elemento a reggere visivamente un palcoscenico tanto desolato sono le belle luci di Alessandro Carletti, in grado di costruire intorno ai solisti una pregevole intensità drammatica, con suggestivi tagli e potenti proiezioni d’ombra sulle fredde superfici circostanti. Lorenzo Viotti torna a guidare l’Orchestra del Teatro alla Scala forte dei due precedenti successi qui debuttati in ambito comédie/tragédie lirique, che sappiamo padroneggiare alla perfezione dopo il suo Gounod del 2020 e del suo Massenet del 2022, nonché a valle dei suoi numerosi impegni internazionali. Primo approccio a una partitura italiana nel tempio italiano dell’opera dunque, un appuntamento non banale cui il giovane maestro risponde al solito con una lettura di grande profondità, variegata nelle dinamiche e sublime nella ricercatezza dei colori. Unico vizio di forma è forse la tendenza a trascinare inconsciamente la concertazione verso il suo proprio repertorio d’elezione, dandole un sapore più affine ad un romanticismo francese fortemente sbilanciato sul lirismo melodico, che quasi rinuncia alla spinta incandescente di quella pregnanza e di quel turgore tragico tipico verdiano. Nel ruolo del titolo troviamo un Luca Salsi in grande spolvero, una scelta da includere in cartellone a colpo sicuro e che non delude le aspettative. Salvo qualche consueta sporadica forzatura d’emissione nel registro più acuto, il baritono parmigiano presta al Doge una linea vocale corposa e compatta, sempre in bolla sul fiato, impreziosita in questo ruolo da una cura attenta e sentita del fraseggio con sapiente uso di accenti e mezzevoci, senza tuttavia eccedere mai in quell’impeto interpretativo quasi verista che abbiamo ascoltato in altre occasioni passate e che comprometteva quello che è oggettivamente un validissimo materiale vocale. Emerge dunque un Simone nobile, altero ma fortemente umano, ben costruito nella sua evoluzione emotiva e drammaturgica. Eleonora Buratto è un’Amelia di lusso, pregevole per ricchezza d’armonici e delicatezza nella gestione degli assottigliamenti. Il soprano mantovano disegna una linea di canto di piacevole morbidezza, spesso quasi sospesa ma sempre omogenea e sostenuta, senza rinunciare alla corposità di suono nella sezione medio-grave e agli acuti al contempo di costante lucentezza. Estatica la sua cavatina “Come in quest’ora bruna”, come maiuscolo è per gusto e misura ogni suo contributo nei duetti e terzetti. Gabriele Adorno ha la vigorosa voce di Charles Castronovo, più propenso a dare accento alla spinta eroica rispetto all’afflato lirico, pur cantando con varietà d’accenti e un buon ventaglio di colori. Meritati gli entusiastici applausi a scena aperta per la sua “Sento avvampar nell’anima”, di gran trasporto per gestione delle dinamiche e intenzione scenica. Unica eccezione in un cast omogeneamente ben assortito è il Fiesco di Ain Anger che, sebbene sia piacevolmente solido e tonante nella tessitura grave, mostra più di un’incertezza nei passaggi di registro così come nella costruzione del personaggio, non aiutata da un fraseggio approssimativo e da una dizione perfettibile. Sugli scudi invece Roberto de Candia, viscidamente sinistro nell’interpretazione del perfido Paolo Albiani sia dal punto di vista scenico sia nella performance vocale. Buona la prova degli altri ruoli: Andrea Pellegrini (Pietro), Haiyang Guo (Capitano dei balestrieri) e Laura Lolita Perešivana (Ancella di Amelia), come anche l’apporto del Coro istruito da Alberto Malazzi. Al termine gran successo di pubblico per Salsi (aldilà di qualche isolata contestazione dal loggione) ed entusiastici applausi per Buratto, Castronovo e Viotti. Foto Brescia & Amisano