Milano, Teatro Franco Parenti: “Il figlio”

Milano, Teatro Franco Parenti, Stagione 2023/24
“IL FIGLIO”
di Florian Zeller
Nicola GIULIO PRANNO
Piero CESARE BOCCI
Anna GALATEA RANZI
Sofia MARTA GASTINI
Dottor Cohen RICCARDO FLORIS
Vincenzo MANUEL DI MARTINO
Traduzione e Regia Piero Maccarinelli
Scene Carlo de Marino
Costumi
Gianluca Sbicca
Musiche
Antonio di Pofi
Luci
Javier Delle Monache
Produzione Il Parioli / Fondazione Teatro della Toscana
Milano, 21 febbraio 2024
Ci sono alcune cose di cui uno spettatore attento dovrebbe diffidare: la prima, è l’esplosione dei “casi” teatrali (o mediatici, più in generale), ossia quegli autori che fino a un giorno prima non si erano quasi mai sentiti nominare, e dal giorno dopo sono coperti da sperticati encomi e urla al miracolo; la seconda (per oggi, giacché la lista sarebbe ben più lunga) è quando, nella descrizione – non la recensione, beninteso – di uno spettacolo, si usa l’aggettivo “necessario”: “uno spettacolo necessario”, “un testo necessario” eccetera; di questo occorre diffidare per due ordini di ragioni: il primo è che “necessario” è un aggettivo di per sé vuoto (tutto può essere “necessario”, a seconda della necessità), il secondo è che il teatro è lungi dall’essere “necessario” a questo mondo – semplicemente perché, a rigor di logica, si profila come “necessario” ciò la cui presenza può venire meno, e non è il caso del teatro, che ha la sua radice impiantata nei più elementari processi socio-culturali del genere umano. Ci accostiamo, quindi, a “Il figlio” di Florian Zeller con qualche riserva: lui è il drammaturgo quarantacinquenne francese di cui il mondo si è accorto negli ultimi tre anni (due film, un Oscar, traduzioni in decine di lingue e via così), il testo è a più riprese definito “necessario”, anche dall’ufficio stampa del teatro che lo ospita, il Franco Parenti di Milano. Tuttavia mi ha convinto a vederlo il cast davvero stellare coinvolto nella produzione, quattro cavalli di razza (chi più, chi meno giovane) del nostro panorama teatrale e cinematografico. La recita è perfettamente corrisposta alle mie aspettative, con qualche bella sorpresa in più: “Il figlio” di Florian Zeller, lungi dall’essere un testo perfetto – tantomeno “necessario” – dispone di una drammaturgia piuttosto semplice che però conosce momenti di grande intensità e impressività; non si tratta di un testo debole, questo è certo: il gioco delle relazioni che mette in tavola è complesso, non si abbandona a stereotipie di bassa lega, non ha paura del basso come dell’alto. Insomma, un buon testo, che non manca, tuttavia, di alcune forzature – una su tutte, la scarsa credibilità del rapporto tra genitori e disagio filiale: a nessuno viene in mente mai di consultare uno psicologo, un sito internet, un’enciclopedia medica, ma si pensa che ad un ragazzo di buona famiglia che dice frasi come “sono stanco di vivere”, “mi fa schifo tutto”, o che urla al padre “sei uno stronzo” o si taglia le braccia per lenire “l’angoscia della vita”, basti dire “non devi farlo più”, come se si mettesse le dita nel naso. Fortunatamente a smussare queste ingenuità interviene un cast effettivamente in stato di grazia: Giulio Pranno è senza dubbio il golden boy della recitazione italiana degli ultimi anni, e alla prova di palco si presenta con la leggerezza dell’attore cinematografico ma la consapevolezza della complessità del personaggio che gli tocca interpretare; è fragile e animalesco, ambiguo, disperato e fanciullesco allo stesso tempo. È scenicamente più maturo e interessante di molti attori celebratissimi che potrebbero essere suoi padri. Non è questo il caso di Cesare Bocci, che tiene perfettamente testa al giovane talento, senza darci l’immagine di un ruolo macchiettistico o incompiuto: siamo di fronte a un padre vero, a un buon padre, un uomo cui è difficile non voler bene – e questo è pienamente funzionale alla strategia drammatica del testo. Bocci è un interprete fascinoso, dalla vocalità calda e il fraseggio burbero, pienamente focalizzato e di una disarmante naturalezza. Accanto a lui Marta Gastini è un po’ la rivelazione della produzione: giovane matrigna distante sia da Fedra che da Grimilde, la sua performance brilla per la disarmante nonchalance con cui passa dal più esile sermo cotidianus agli accessi selvaggi che puntualmente reprime nel corpo, nel respiro, nella mimica facciale. Conclude il quartetto Galatea Ranzi, semplicemente una delle più grandi attrici italiane viventi, interprete ronconiana, con quella formazione accademica che ancora traspare nelle sonorità modulate del recitato, nei movimenti degli occhi asincroni con il capo, nelle gestualità fluide che si cristallizzano in posizioni naturalmente plastiche. Il suo personaggio, per quanto non protagonista, sa farsi ricordare, grazie anche al magnetismo della sua interprete. Ben recitate e funzionali ai loro ruoli anche le performance di Riccardo Floris (il Dottor Cohen) e Manuel Di Martino (l’infermiere Vincenzo). Anche l’impianto scenico è convincente, per quanto la regia di Piero Maccarinelli si veda solo in controluce – certamente con simili interpreti basta dare un piccolo avvio e si gestiscono da sé, ma avremmo apprezzato almeno qualche costruzione più ardita dell’avanti/indietro, a destra/a sinistra. La scenografia di Carlo De Marino è un interno borghese forse fin troppo essenziale (ad esempio nell’ultima scena la tavola potrebbe essere apparecchiata, dato che si aspettano ospiti a cena), tutto giocato sul contrasto tra fondi scuri e due divanetti bianchi in proscenio, ma considerato che anche i costumi di Gianluca Sbica si attestano quasi tutti sulla scala di grigi e beige, l’insieme conferisce un efficace senso di ordinarietà, omogeneità, tipico della vita borghese dalla quale il personaggio di Nicola vorrebbe scappare; convincenti anche le luci di Javier Delle Monache, specie quelle interne alla scena, nelle cornici dei quadri astratti che cambiano toni di colori. A detta della direttrice del teatro Andrée Ruth Shammah – che ha preso la parola all’inizio – il pubblico meneghino sembra avere ben accolto questo spettacolo, con tutte le date già sold out; siamo certi che anche il resto della tournée (qui gli altri appuntamenti) saprà attirarsi lo stesso calore – come peraltro già ha fatto con le molte date che han preceduto queste recite milanesi. Foto Achille La Pera