Roma, Teatro Ciak: “Sherlock Holmes e la valle della paura”

Roma, Teatro Ciak
Via Cassia,692

SHERLOCK HOLMES: LA VALLE DELLA PAURA
di Sir Arthur Conan Doyle
Adattamento teatrale Michele Montemagno

Con Paolo Romano, Guido Targetti, Linda Manganelli, Mauro Santopietro, Enrico Ottaviano, Marco Manchi, Francesco Mancarelli, Andrea Ruggeri
Scene Fabiana Di Marco

Musiche Alessandro Molinari
Costumi Valentina Bazzucchi
Disegno Luci Marco Catalucci
Coreografie Giovanna Gallo
Regia Anna Masullo
Ubik Produzioni e Teatro Stabile del Giallo
Roma,04 Febbraio 2024
Al Teatro Ciak di Roma, celebre palcoscenico specializzato nella rappresentazione di spettacoli a tema giallo e poliziesco, è attualmente in scena “La Valle della Paura”. Questo spettacolo, ispirato al quarto e ultimo romanzo di Sir Arthur Conan Doyle con protagonista il leggendario Sherlock Holmes, offre al pubblico un viaggio avvincente attraverso la Londra vittoriana e oltre, approdando nell’America dei pionieri e dei gangster. La trama si sviluppa con il susseguirsi di amori travagliati, riunioni di logge massoniche e misteriosi omicidi inesplicabili, mantenendo al fianco del celebre investigatore di Baker Street l’inseparabile Dottor Watson. Il caso si trasforma in un affascinante intreccio che oltrepassa i confini del tempo, con la minacciosa presenza di un’organizzazione criminale di dimensioni internazionali, incarnata dal temibile “Napoleone del crimine”, il Professor Moriarty. Un aspetto poco noto è che il romanzo di Doyle attinge alla vera storia dei “Molly Maguires”, una società segreta attiva negli Stati Uniti, nello Stato della Pennsylvania, tra la fine della guerra di secessione e gli anni 1876-1878. Questa misteriosa organizzazione fu coinvolta in una serie di attentati, omicidi e sabotaggi contro le forze dell’ordine e i proprietari delle miniere, fino a quando una serie di arresti e condanne pose fine alla sua esistenza. “La Valle della Paura” offre dunque al pubblico una fusione affascinante tra la finzione letteraria e la storia criminale del XIX secolo. La sfida di portare in scena Sherlock Holmes si presenta come un’impresa titanica e ardita, soprattutto considerando la decisione di seguire pedissequamente il testo originale senza apportare adattamenti drammaturgici significativi. Nella rappresentazione scenica, spesso si riscontra la difficoltà nel delineare chiaramente i flash back, risultando comprensibili solamente per coloro che hanno letto il libro o hanno familiarità con le numerose trasposizioni cinematografiche. Inoltre, i tempi e il ritmo della performance tendono a disperdersi soprattutto nella prima parte dello spettacolo. Un elemento cruciale che incide notevolmente sulla riuscita complessivo della rappresentazione è la parola del testo, strettamente legata all’interpretazione degli attori. Quest’ultima, tuttavia, non sempre risulta incisiva per tutti i personaggi, e gli attori professionisti impiegati non sono sempre all’altezza dei ruoli loro assegnati. La sfida di trasmettere con successo l’essenza e la complessità dei personaggi holmesiani attraverso l’interpretazione attoriale rappresenta forse il punto più incerto e critico e che richiederebbe  un’attenzione particolare. Le scenografie di Fabiana Di Marco si distinguono per la loro funzionalità, con gabbie di sfondo dotate di scale a due piani che consentono una trasformazione suggestiva degli spazi scenici, passando da un castello all’appartamento di Baker Street di Holmes fino al quartier generale della massoneria. Nonostante la presenza di pochi elementi in scena, questi forniscono chiare indicazioni visive per identificare i diversi luoghi della narrazione. L’utilizzo di teli bianchi che mettono in evidenza le quinte e si spostano durante i cambi di scena potrebbe essere considerato eccessivo e forse ridondante. Le luci di Marco Catalucci, sebbene avrebbero il compito di evidenziare luoghi e personaggi, talvolta non svolgono questa funzione in modo ottimale. La loro genericità e le colorazioni improbabili non sempre supportano la comprensione della scena. Si apprezza di più quando la luce incide in maniera incisiva sui protagonisti o si muove in sintonia con il dialogo, come nella scena dell’interrogatorio. Le proiezioni, pur essendo belle e coinvolgenti, risultano poco utilizzate e sfruttate. Un maggior impiego di questo elemento avrebbe potuto arricchire ulteriormente l’esperienza visiva dello spettatore, contribuendo a enfatizzare determinati momenti chiave e di passaggio temporale della trama. Le citazioni alle pellicole di Guy Ritchie emergono in diverse scene, come ad esempio negli affascinanti duelli o nelle ricostruzioni delle indagini di Holmes, caratterizzate da movimenti simili a quelli di una moviola cinematografica. Se nel contesto filmico di Ritchie queste scelte hanno un senso complessivo che conquista lo spettatore, nella rappresentazione teatrale possono generare perplessità. La difficoltà nell’esecuzione di passi coreografici ispirati a tali film è evidente, e spesso la loro realizzazione non si allinea al ritmo dello spettacolo. Questo potrebbe risultare disorientante per il pubblico, poiché la coerenza con il flusso narrativo risulta compromessa. Le musiche di Alessandro Molinari, sebbene di indubbia bellezza, talvolta rischiano di essere troppo presenti sotto i dialoghi dei protagonisti. Un equilibrio più attento potrebbe permettere di sfruttare appieno la potenza emotiva della colonna sonora senza compromettere la chiarezza delle conversazioni. Paolo Romano, nel ruolo di Sherlock Holmes, presenta una performance funzionale, consegnando il personaggio con apparente naturalezza e senza particolari slanci di forza. La sua interpretazione risulta affidabile e ritmata, sebbene talvolta possa apparire leggermente assuefatto al ruolo, dando l’impressione di recitarsi addosso. Guido Targetti, nel ruolo del Dottor Watson, si distingue per evidenti e sfacciate differenze d’età con il personaggio di tradizione, risultando pertanto alquanto fuori ruolo. La recitazione appare stentata e manierata, con momenti di assieme che sembrano affannati ed approssimativi. Al contrario, Linda Manganelli, nel ruolo della signora Ivy Douglas, offre un’interpretazione più convincente, mentre Mauro Santopietro si distingue con talento nel ruolo di John Douglas. Gli interpreti dei ruoli del poliziotto (Enrico Ottaviano) e del maggiordomo (Andrea Ruggieri) sembrano cadere in stereotipi stucchevoli, seguendo un’ispirazione più macchiettistica italiana che britannica. Lo spettacolo si caratterizza come un’esperienza interattiva che coinvolge il pubblico dal primo all’ultimo atto. Durante la rappresentazione, gli spettatori vengono chiamati a segnare su un foglietto il nome dell’assassino, divenendo così veri e propri investigatori della trama. La tradizione vuole che alla conclusione dello spettacolo venga premiato chi indovina l’identità del colpevole, ricevendo una bottiglia di vino. L’atmosfera leggera e divertente favorisce l’interesse di un pubblico soprattutto giovane, che trascorre una serata di intrattenimento piacevole e spensierato. Qui per le atre date.