Licinio Refici (1883-1954): “Cecilia” (1924)

Azione sacra di tre episodi su libretto di Emidio Mucci. Elena Schirru (L’angelo di Dio), Marta Mari (Cecilia), Mickael Spadaccini (Valeriano), Leone Kim (Tibirzio / Amachio), Giuseppina Piunti (La vecchia Cieca), Alessandro Spina (Vescovo Urbano), Christian Colla (un libero / un neofita),  Patrizio La Placa (uno schiavo). Orchestra e coro del Teatro Lirico di Cagliari, Giovanni Andreoli (maestro del coro), Giuseppe Grazioli (direttore). Registrazione: Cagliari, Teatro Lirico, 29 gennaio, 1 e 5 febbraio 2022. 2 CD Dynamics CDS7967.2
Licinio Refice è figura quasi unica nel panorama musicale del primo Novecento. Sacerdote cattolico e compositore, protagonista del rinato interesse per la musica sacra che caratterizza quegli anni ma con una vocazione teatrale che lo distingue da altre figure per certi versi affini. Già i suoi primi lavori sacri avevano suscitato un forte scalpore per una concezione sostanzialmente drammatica e l’arrivo al teatro quasi inevitabile fu però sofferto e tribolato. La necessità di fondere le sue due anime sembra trovare compimento solo nel 1924 con la composizione di “Cecilia” ispirata alla leggenda medioevale della martire cristiana protettrice dei musicisti. Soggetto sostanzialmente leggendario che da Jacopo da Varagine in poi non ha mancato di affascinare artisti e compositori rappresentava un’ottima occasione per un dramma sacro che mantenesse caratteri liturgici nonostante la destinazione teatrale. L’opera dovette per altro aspettare ancora molti anni prima di andare in scena solo nel 1934 e vedere la luce con protagonista d’eccezione Claudio Muzio che nel corso degli anni contribuì non poco alla diffusione del titolo. “Cecilia” continuò a circolare con una certa fortuna – alla Muzio subentrò come interprete di riferimento la Tebaldi – fino alla morte del compositore nel 1954. In anni più recenti è spettato a un’altra grandissima interprete, Renata Scotto, far rivivere questo ruolo.

Il Teatro Lirico di Cagliari nel suo encomiabile progetto di ripresa di titoli desueti ha recuperato l’opera nel 2022 e ora arriva in CD la registrazione dello spettacolo con ottima ripresa sonora. Il solo ascolto evita di doversi confrontare con lo sconfortante libretto di Emidio Mucci sospeso tra dannunzianesimo di terza meno e toni da catechismo, debole nella versificazione e privo di qualunque sviluppo drammatico. La musica è fortunatamente di qualità più alta. Refice era un compositore colto e aggiornato, capace di reinterpretare con un taglio personale gli stimoli provenienti dall’esterno.  Particolare merito ha la scrittura orchestrale, di grande raffinatezza cromatica così come l’uso sapiente del coro, assai importante per dare alla composizione un carattere almeno superficialmente oratoriale.  La vocalità è più tradizionale rifacendosi agli stilemi della giovane scuola italiana pur con una propensione fin eccessiva al declamato per i personaggi negativi.
L’esecuzione musicale è decisamente apprezzabile. Giuseppe Grazioli dirige con proprietà e attenzione. Si riconosce uno studio attento di questa musica di cui si evidenzia al massimo la qualità della scrittura orchestrale. Il canto è ben sorretto e l’insieme presenta una convincente cifra espressiva. I complessi cagliaritani si mostrano pienamente all’altezza della partitura sia per quello sia, riguarda l’orchestra sia per il coro, assai impegnato.
Marta Mari affronta un ruolo legato a figure mitiche della vocalità novecentesca e ne esce con onore. La voce è interessante con un timbro morbido e rotondo che si adatta perfettamente a questa musica e con una notevole robustezza di base che le permette di superare senza difficoltà uno strumentale non certo leggero. L’interprete è attenta e sensibile e fornisce del ruolo un ritratto ricco e frastagliato, non limitato all’esaltazione mistica che pur infervora tanti passaggi.
Lo sposo Valeriano è affidato alla voce di Mickael Spadaccini. Voce solida e robusta che compensa un timbro non personalissimo con una cavata ampia e sonora che regge sicura una tessitura assai scomoda. Sul piano espressivo il ruolo si esprime prevalentemente con tonalità di altisonante retorica assai lontana dal gusto odierno che Spadaccini cerca in qualche modo di rendere pur risultando più convincente nei toni più affettuosi dei duetti con Cecilia.
Leone Kim dispone di una voce bella e calda e grazie all’ottima dizione di un fraseggio autorevole ed efficacie. Nel complesso ci è parso più a suo agio nella dimensione più cantabile di Tiburzio, mentre la declamazione sempre forzata del persecutore Amachio lo costringe a un approccio più generico per altro difficilmente evitabile in un ruolo di questo tipo. Alessandro Spina ha la giusta autorevolezza richiesta al Vescovo Urbano unita a un canto di composta affettuosità. Giuseppina Piunti è autentico lusso nel breve ruolo della Cieca mentre l’Angelo di Dio è cantato con voce cristallina e impeccabile musicalità da Elena Schirru. Completano il cast Christian Colla (un libero e un neofita) e Patrizio La Placa (uno schiavo).