Milano, MTM – Teatro Litta: “Baccanti. Il regno del dio che danza”

Milano, MTM – Teatro Litta, Stagione 2023/24
BACCANTI. Il regno del dio che danza”
Da Euripide
Dioniso ALICE SPISA, MARIA CANAL
Penteo GAIA CARMAGNANI
Tiresia/Agave SARAH SHORT
Cadmo SILVIA GUERRIERI
Sciamana SOFIA TIERI
Servitore FILIPPO RENDA
Drammaturgia e Regia Filippo Renda
Scene e Costumi Eleonora Rossi
Disegno luci e Direzione tecnica Fulvio Melli
Trucco Carla Curione
Nuova produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Milano, 27 febbraio 2024
Baccanti” di Euripide è fin dai tempi antichi stata oggetto di moltissima attenzione critica, testuale, filologica e poi di adattamenti, riletture, riscritture. In epoca ellenistica si interpretava la scena di Agave separatamente al resto del dramma, come pezzo di bravura per attori; in epoca bizantina quella stessa scena finì per diventare un compianto sul Cristo morto; ai classicisti piacque singolarmente per la ricostruzione dei cori dionisiaci; agli psicanalisti per la scelta della femmina di cibarsi del maschio; e poi le questioni legate agli studi di genere, viste le scene di travestitismo, di liberazione della donna; non ultime, infine, le istanze più eminentemente antropologiche, che ne hanno analizzato i riti e le loro componenti. A teatro, poi, di “Baccanti” ne abbiamo viste un po’ per tutti i gusti – ci si consenta di ricordare la più radicale e bella: la versione di Luca Ronconi all’Istituto Magnolfi di Prato del ’78, con una sovrumana Marisa Fabbri. Non ci sconvolge troppo, dunque, entrare al Litta di Milano per “Baccanti” e trovare la scena in mezzo alla sala, una dj sul palco, poltroncine e sedie tutte attorno alla scena e cinque attrici che ballano musica techno ad alto volume; anzi: subodoriamo già l’operazione trita de “la musica dionisiaca di oggi è la techno… i culti dionisiaci prevedevano l’uso di sostanze psicotrope… le baccanti erano le depositarie di un culto paramatriarcale antichissimo nel quale le donne potevano finalmente emanciparsi”, operazione che viene riconfermata dall’intervento, a inizio spettacolo vero e proprio (le danze sfrenate d’accoglienza sono ovviamente un po’ fini a loro stesse), ad opera del regista Filippo Renda. Per lui è necessario fare una captatio benevolentiae del pubblico e “spiegare” quello che si vedrà; nulla di più sbagliato e meno simpatico, a tratti pretenzioso e ad altri invece miserando. Per fortuna non dura molto: dalla fine della sua introduzione in poi Renda figurerà solo come zelante servo di scena, oltre che vero collante del gruppo, e lascerà alle cinque ragazze e alla dj/sciamana piena libertà di espressione. O meglio: libertà di recitare “Baccanti” di Euripide, giacché d’accordo le radici rituali, la musica dionisiaca, ma siamo in un teatro, e abbiamo davanti cinque attrici che non solo recitano, ma recitano un testo molto specifico; e, occorre sottolinearlo, lo recitano piuttosto bene: il merito è anche del drammaturgo Renda, che ha adattato la tragedia euripidea ai ritmi e tempi musicali, quasi ai singoli talenti delle sue attrici, ma anche alla chiave interpretativa del testo (la ricostruzione rituale, lo sciamanesimo eccetera), che non può prevedere, ad esempio, la fine disperata che Euripide propone, e infatti propone un finale “lieto”, con un Penteo ormai in grado di accettare, stremato, più morto che vivo, il culto dionisiaco, riunendosi a Dioniso. Poco male, anche per il filologo che è in noi, proprio perché l’operazione qui è ultradichiarata (la presenza del sottotitolo “Il regno del dio che danza”, la dicitura “da Euripide” e non “di”) e soprattutto molto coerente con se stessa. Tra le fanciulle in preda all’estasi bacchica senza dubbio spicca Gaia Carmagnani nel ruolo di Penteo: voce potente dalle venature scure, fisicità morbida, muliebre, dominata con piglio virile, e un naturale equilibrio nella costruzione dell’eloquio; accanto a lei senz’altro brilla anche Alice Spisa, cui toccano la maggior parte delle scene di Dioniso, recitato sia con fascinosa vocalità che con apprezzabile consapevolezza corporea, resa ancora più esplicita dall’uso di una enorme maschera fiorita con muso di capra, che a volte sembra quasi prendere vita su impulso dell’attrice. Queste maschere gigantesche e affascinanti, fatte di stoffe e carta montate su impalcature titaniche, vengono usate per Dioniso, Cadmo e Tiresia, e richiamano forme animali e arboree fantastiche, paradossali: sono la creatività femminina finalmente libera e anarchica, che Dioniso risveglia; Penteo, invece, è giustamente caratterizzato da un farsetto d’armatura, rappresentazione dello sterile petto virile, che imbriglia e costringe – un plauso a Eleonora Rossi per queste vere e proprie opere da indossare, curiose e affascinanti. I talenti delle ragazze emergono al meglio proprio nel gioco continuo di queste maschere a tempo di musica, e quindi occorre riconoscere alla selezione e al mixaggio di Sofia Tieri – storica dj della scena milanese – un vero tocco di magia, una totale aderenza al testo con cui sembra vivere in mutuo rapporto; infine, cornice che innalza a potenza ciò che vediamo accadere, è il progetto luci di Fulvio Melli, che alterna, a momenti naturalmente strobo, scene di profonda intensità, a pieno sugello di quanto il testo narra. Ed è questo il paradosso di queste “Baccanti”: il monologo del regista, il materiale di sala, tutto parla di qualcosa che debba travalicare il teatro, il concetto di recitazione blablabla, ma in realtà è uno spettacolo teatrale che funziona, coinvolge, sa farsi amare, grazie a un mix, che ci sembra singolarmente azzeccato, di generi, immagini, suoni. Ma nemmeno di ciò dobbiamo stupirci: non era infatti Dioniso il dio dei paradossi, dei contrasti impossibili e sorprendenti? “Nega l’esito all’aspettato/ e all’inatteso apre un varco”. Foto Sara Meliti, Alessandro Saletta