Roma, Teatro Argentina: “L’Origine del mondo. Ritratto di un Interno”

Roma, Teatro Argentina
L’ORIGINE DEL MONDO. RITRATTO DI UN INTERNO.

scritto e diretto da Lucia Calamaro
con Concita De Gregorio, Lucia Mascino, Alice Redini

produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Nel 2011, “L’Origine del Mondo, Ritratto di un Interno” ha segnato un punto di svolta nel panorama teatrale, ottenendo un riconoscimento significativo con tre premi UBU l’anno successivo. Dopo un decennio, nel 2024, il Teatro di Roma ha intrapreso un’ambiziosa iniziativa per riportare in scena una versione aggiornata di questa opera pionieristica, adattandola ai tempi cupi e complessi attuali, con un cast rinnovato. Questa nuova iterazione dell’opera si propone di esplorare e integrare i traumi legati agli eventi recenti, in un’epoca caratterizzata da una profonda nevrastenia collettiva. Il presente, descritto come un incessante avanzare senza pause per riflessione, una realtà che rimuove e prosegue “come se”, nonostante la consapevolezza che questo “come se” abbia perso ogni suo significato, diventa il cuore pulsante del riallestimento. Con questa mossa, il Teatro di Roma e i creatori dello spettacolo affrontano direttamente la sfida di dare voce alle inquietudini e alle speranze di un’epoca, tentando di fare i conti con la complessità del vivere contemporaneo attraverso il linguaggio universale del teatro. Lucia Calamaro si conferma ancora una volta artista poliedrica e visionaria, mescolando sapientemente la regia teatrale con la profonda introspezione scenica. Sul palco, le talentuose Concita de Gregorio, Lucia Mascino ed Alice Redini  incarnano le complesse sfumature del femminile e dell’esistenza, in un dialogo costante tra arte e vita che si snoda attraverso il palcoscenico. L’opera di Calamaro si inserisce in un dialogo aperto con l’iconica tela di Gustave Courbet, “L’Origine del Mondo”, che con il suo audace inquadramento di un nudo femminile ha sollevato e continua a sollevare scandalo e riflessioni sulla rappresentazione del femminile e la sua percezione nella società. La regia sposta l’attenzione dallo scandalo visivo all’indagine di un “interno” più profondo e metaforico, interrogandosi sul significato stesso dell’origine. Attraverso questo spettacolo, l’autrice infatti va oltre il semplice vedere, invitando il pubblico a penetrare nelle pieghe più nascoste dell’esistenza umana, esplorando la complessità delle dinamiche familiari, delle relazioni e della psiche. Si tratta di un viaggio audace oltre il visibile, un tentativo di comprendere e rappresentare quelle “inquiete piccole follie quotidiane” che costituiscono l’essenza stessa dell’essere umano. E così accade che questa piece non si limita a essere un’opera di critica sociale o una riflessione sull’arte; è piuttosto un’esplorazione coraggiosa dell’interiorità, dove il teatro diventa lo strumento per una nuova consapevolezza dell’origine, non solo dell’individuo, ma dell’umanità tutta, dimostrando come attraverso l’arte sia possibile superare i confini del visibile per toccare le corde più intime dell’esistenza. In scena una famiglia femminile costituita da tre generazioni: la madre , la figlia e la nonna , con la presenza evocativa di un’analista. Attraverso tre atti distinti – Donna melanconica al frigorifero, Certe domeniche in pigiama, Il silenzio dell’analista – lo spettacolo esplora la solitudine, la mancanza di comunicazione e il bisogno umano di connessione. Gli oggetti domestici diventano simboli viventi di questa ricerca interiore: un frigorifero che illumina la scena notturna, una lavatrice in funzione che riflette la monotonia e la ripetitività della vita quotidiana, e un lavello che testimonia i momenti di comunicazione ritrovata tra madre e figlia. I colori e l’illuminazione ( sempre di Lucia Calamaro) giocano un ruolo cruciale nel rappresentare i cambiamenti emotivi e psicologici dei personaggi, con toni che variano dal bianco al giallo e al blu, culminando in una scena finale sotto una luce lilla e un riflettore giallo che simboleggia un tentativo di rinnovata comprensione e vicinanza. La scenografia dell’opera (anch’essa firmata dalla Calamaro) si presenta , quindi, in maniera essenziale e primitiva, distillata fino all’osso tanto nella ritmica quanto nell’utilizzo dello spazio scenico, che si dilata fino a sfumare i confini della percezione. In questo contesto minimalista, il peso gravoso della performance ricade unicamente sulle spalle delle protagoniste, il cui talento diventa cruciale per il successo dell’insieme. Le tre attrici di questa rappresentazione teatrale, ciascuna con un approccio e un contributo recitativo distintivo, dimostrano una capacità straordinaria nel cogliere l’anima dell’opera. Attraverso interpretazioni magistralmente dosate, che navigano con destrezza tra l’ironia e la gravità, esse evitano deliberatamente di cadere in inutili frivolezze. Al contrario, si dedicano all’esplorazione della sottile linea che separa il sublime dalla quotidianità. La loro capacità di stare sul palco non si esaurisce nella mera recitazione; piuttosto, arricchiscono i loro personaggi di una profonda umanità, portando in scena una performance realmente intensa tanto da trascendere la semplice rappresentazione e toccare corde universali. Questo approccio non solo arricchisce l’esperienza dello spettatore, ma trasforma l’intera produzione in un’opera di vibrante umanità, capace di riflettere l’essenza stessa dell’esistere. E così Lucia Calamaro, attraverso una narrazione che si dipana in tre ore senza interruzione, intreccia dialoghi e monologhi che fluiscono in un continuo movimento emotivo, creando uno spazio in cui gli spettatori sono invitati a riflettere sul significato della famiglia, dell’identità e della ricerca di senso nella modernità. Quando sollecitata a riflettere se “L’Origine del Mondo” rappresenti un’opera intrinsecamente femminile, dalla sua concezione alla messa in scena, e sulla pertinenza di dibattere una cosiddetta questione femminile nell’ambito artistico italiano, l’autrice sceglie deliberatamente di astenersi dal fornire una risposta diretta. Questa scelta non nasce da motivazioni personali ma da un profondo impegno ideologico. L’autrice esprime una decisa contrarietà all’idea di relegare il proprio lavoro artistico in un ambito circoscritto e limitante, evidenziando una volontà di resistenza a qualsiasi forma di categorizzazione che possa sembrare riduttiva o segregante. La sua è una presa di posizione che mira a superare i confini di genere nell’arte, promuovendo un’interpretazione più libera e inclusiva dell’espressione creativa.
La performance è stata accolta con entusiasmo e lunghi applausi da parte del pubblico, riconoscendo il lavoro non solo come un’analisi critica della vita borghese, ma anche come una celebrazione delle sfide, delle paure e delle gioie che definiscono l’esistenza umana.