Amici della Musica di Firenze: «Una raffinata conversazione attraverso i suoni» con Marco Rizzo, Alessio Pellegrini e Benedetto Lupo

Firenze, Teatro della Pergola, Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Firenze 2023/4
Violino Marco Rizzi
Corno Alessio Pellegrini
Pianoforte Benedetto Lupo
Johannes Brahms: Tre Intermezzi, op. 117 per pianoforte; György Ligeti: Trio per violino, corno e pianoforte; Béla Bartók: Tempo di Ciaccona, dalla Sonata in sol minore per violino solo; Johannes Brahms: Trio in mi bemolle maggiore per violino, corno e pianoforte, op. 40
Firenze, 13 aprile 2024
Nel Saloncino del Teatro della Pergola di Firenze, sold out per il penultimo concerto della Stagione Concertistica 2023-2024 degli Amici della Musica, con un singolare programma che, partendo dal Romanticismo cercava ramificazioni nei linguaggi e architetture del Novecento. Ai musicisti Marco Rizzi, Alessio Pellegrini e Benedetto Lupo il compito di svelarne i contenuti passando attraverso una lettura pluridirezionale dell’agire nella musica del Novecento e contemporanea.
I Tre Intermezzi brahmsiani (1892), nell’interpretazione di Benedetto Lupo erano intesi come autentici componimenti poetici atti ad introdurre un programma caratterizzato dal dialogo e da una proposta percettiva prismatica dei suoni. Ma se nella conversazione è necessario l’ascolto, lo stesso ‘invito’ al pubblico a far tacere i propri pensieri per lasciarsi coinvolgere nel monologo del pianoforte era talmente necessario affinché, già dal cullante tema dell’Andante moderato (mi b maggiore), si potesse entrare nello spirito romantico di Brahms. Il pianista, con la sua intima cantabilità, sembrava attingere all’espressività dei mendelssohniani Lieder ohne Worte, pur nello spazio delle tripartite miniature formali, riusciva a restituire un autentico crogiolo di emozioni. La tavolozza dei colori e il controllo perfetto del suono erano così onirici da produrre stati d’animo contrastanti e carezzevoli. Il Trio per violino, corno e pianoforte di Ligeti (1982), pregevole esempio di musica da camera, rappresenta, citando lo stesso compositore, un ritorno alla «relazione ambivalente con la tradizione [in cui il passato è inteso] non come spunto per citazioni musicali, neppure come modello di magistero artigianale, piuttosto come aura, come allusione» tanto da comprendere l’«Hommage à Brahms», ovvero al Trio op. 40, lavoro composto per organico simile, in occasione del 150 anniversario della nascita del compositore tedesco suggerisce la genesi, le tracce e la memoria della sua complessità. A dipanare la laboriosità di un ascolto non facile erano i riferimenti, pur ‘trasfigurati’ con la tradizione. Si potevano cogliere tratti con la classica forma tripartita (A-B-A) nel primo e terzo movimento o le famose “quinte del corno” mentre nel Vivacissimo molto ritmico l’ostinato della mano sinistra del pianoforte rappresentava la ‘guida’ per non perdersi nella narrazione che conduceva a una «danza polimetrica molto vivace». Grazie ad un’interpretazione traslucida si percepivano legami con musiche della tradizione popolare e, in particolari momenti di densità cromatica, la ricerca dei musicisti si esplicitava attraverso un impegno e una maggiore attenzione al più piccolo dettaglio. Le stesse sfumature timbriche, soprattutto nella parte del corno, richiedevano un grande e difficile controllo del suono. Ad un ascolto più analitico non sfuggiva la successione dei bicordi dello strumento ad arco che, nell’introduzione al «Lamento» e nell’elaborazione ligetiana, facevano cogliere lontani bagliori dell’Adagio mesto dell’op. 40 di Brahms. Procedendo a ritroso la pagina tratta da una sonata bartókiana «Tempo di Ciaccona» (1944) per alcuni aspetti sembrava avvicinarsi alle prime esperienze compositive di Ligeti o all’eredità bartokiana. Da questo primo movimento della Sonata, dal chiaro riferimento alla musica per danza dei secc. XVII-XVIII colpiva, nell’interpretazione riflessiva di Marco Rizzi, la complessità del brano e il coraggio nel valorizzare una scrittura, a tratti molto insidiosa. Il ritorno a Brahms portava alla conclusione e il pubblico, con il Trio op.40 (1865) quasi del tutto concepito nell’eroica tonalità di mi b maggiore ascoltava il corno suonato dal versatile Alessio Allegrini, anziché la viola o violoncello. Colpisce l’inizio con un Andante (2/4) invece dell’Allegro di Sonata tanto da, pur in presenza del principio della variazione, sezioni contrastanti, ecc., ravvisare un procedimento compositivo più fantasioso. È bastato ascoltare già all’inizio il primo tema, riconoscibile dall’intervallo di quinta ascendente (sib-fa) con il suono rotondo ed espressivo del violino e sostenuto dall’essenziale scrittura pianistica (ben 4 battute con un accordo sospensivo di settima di dominante), tanto da desiderarne la reiterazione che, grazie al bel suono pastoso del corno, sembrava inondare di suoni tutto lo spazio architettonico. Poi l’ingresso del canto al pianoforte, imitato dal violino, apriva al raffinato dialogo più inclusivo dei tre strumenti. Tanti i momenti che hanno caratterizzato la bella interpretazione dell’intera composizione come l’alternanza dei colori, gli interventi omoritmici (violino e corno), il tema quasi sussurrato e ben scandito in ottave del pianoforte all’inizio dello Scherzo reiterato dopo il malinconico Trio (Molto meno Allegro in la b minore) cui segue l’Adagio mesto (mi bemolle minore) ove la cupa introduzione pianistica si è rivelata un autentico canto a due voci, non di rado struggente, tra il violino e il corno. Non sono inoltre mancati episodi più squisitamente contrappuntistici che impegnavano gli interpreti a restituire nitidezza nei fraseggi, in altri momenti la fusione del colore, grazie ad un costante ascolto e dosaggio sonoro delle singole parti, offriva una percezione più caleidoscopica. Il Finale. Allegro con brio, oltre che a ritornare alla tonalità d’impianto costituiva anche il ‘ritorno’ alla tradizionale struttura sonatistica e alla caratterizzazione dei singoli strumenti in cui la ‘diversità’, oltre a costituire la forza e la bellezza del fare musica insieme, diventava espressione di pluralità volta alla ricerca continua del pensiero compositivo brahmsiano rintracciabile in una scrittura di grande effetto in cui, grazie alla possibilità di individuare i classici tòpoi, l’ascoltatore poteva rilassarsi per godersi la bella musica. Ai ripetuti applausi del pubblico i musicisti hanno ringraziato bissando l’ultimo movimento del Trio: dono di una gioia che in quanto tale meritava condividere.