Bologna, Comunale Nouveau: “Macbeth”

Bologna, Comunale Nouveau, Stagione d’Opera 2024
“MACBETH”
Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave e Andrea
Maffei da William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth ROMAN BURDENKO
Banco RICCARDO FASSI
Lady Macbeth EKATERINA SEMENCHUK
Dama Lady Macbeth ANNA CIMMARRUSTI
Macduff ANTONIO POLI
Malcom MARCO MIGLIETTA
Il medico KWANGSIK PARK
Un domestico di Macbeth/Il sicario/L’araldo GABRIELE RIBIS
Prima apparizione SANDRO PUCCI
Seconda apparizione CHIARA SALENTINO
Terza apparizione BENEDETTA ZANETTI OLIVA (CVB)
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Preparatore voci bianche Alhambra Superchi
Regia Jacopo Gassmann
Scene Gregorio Zurla
Costumi Gianluca Sbicca
Luci Gianni Staropoli
Video Marco Grassivaro
Movimenti scenici Marco Angelilli
Nuovo allestimento del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 12 aprile 2024

La caldaia è scomparsa, quella delle streghe: ma c’è quella in eterna ebollizione di Oren, magica del pari. Inconfondibile il suo apporto alla qualità del suono: corposo, avvolgente, luccicante. E lineguagliato fraseggio: il legato regna, soffice e dolce, su cantabili sdilinquimenti e infiammati fervori di cabalette. Con la sua sincera, inestinguibile passione. Il momento più alto della serata è Patria oppressa: merito anche del Coro, diretto da Gea Garatti Ansini, che conserva sempre vigore e compattezza, eleganza e morbidezza. Del resto il Macbeth è straordinario davvero, fatto com’è di convivenze fiorentine del 47 e parigine (seppur volte in italiano) del 65. Sarebbe un affascinante gioco intellettuale metterne in luce le differenze: Oren invece avvolge tutto in levigate tinte fosche, infondendo un sorprendente senso di organicità all’opera. La luce langue, per esempio, non sembra più una strana cometa novecentesca, apparsa per caso nella tempestosa volta del giovane Verdi. Il cast, di primordine, è stato molto festeggiato dal pubblico. Ekaterina Semenchuk ha un bel volume da un capo allaltro della tessitura, con esiti piuttosto impressionanti nel registro grave: ricorrendo alluso, e non allabuso, della cosiddetta risonanza di petto. La dizione è cartavetrata di cattiveria, e nel timbro si scorge talvolta un velo dacidità che giova al personaggio: perché soprattutto qui c’è l’interprete. Di grande efficacia la spedizione, condottiero Oren, agli estremi confini del pianissimo, del senza suono. In tale audace impresa il protagonista resta un passo indietro. Roman Burdenko ha voce di grande morbidezza, ben timbrata, e solida: insomma canta assai bene. Ma forse in un ruolo così il canto è, come dire?, quasi secondario. È l’accento, linflessione, lattitudine, lintenzione della parola a fare il personaggio, più ancora della linea di canto. Riccardo Fassi è un cantante di riguardo: basso autentico, senza esitazioni baritonali, dalla voce già completa ma destinata ad un ulteriore sviluppo, con impeccabile proiezione del suono e splendida dizione, quel che si dice canto sul fiato”. Quella di Antonio Poli è un’altra natura vocale di valore, con quella tenorile baldanza e quel piglio scattante che si conviene a questo repertorio. Con lui duetta vivacemente Marco Miglietta nella trascinante cabaletta che smuove il pubblico e la foresta di Birnamo. Nella scena del sonnambulismo i brevi ma decisivi interventi del medico e della Dama della Lady sono stati sostenuti con ottima dizione e proprietà espressiva da Kwangsik Park e Anna Cimmarrusti. La regia di Jacopo Gassman, al suo debutto allopera, è intellettualmente assai raffinata. Ha il pregio ed insieme il limite di servirsi della grammatica teatrale che domina con maestria: quella del cosiddetto teatro di regia. I cappotti doppiopetto, gli anfibi, i mantelli, i colori simbolici, qualche sedia, le coroncine ritagliate nella carta: tutti elementi chiaramente leggibili ma che forse non esaudiscono appieno tutte le necessità del teatro musicale, quello che della forma fa il principale contenuto, e dove se non importa più di tanto cosa si dicano è perché importa come se lo dicono. Lo spettacolo, scene di Gregorio Zurla e costumi di Gianluca Sbicca, è molto sobrio, di uneleganza fin scarna nella sua pulizia. Ma si imperna su unintuizione a dir poco geniale: i sipari. Così si sfrutta lesasperata orizzontalità del Nouveau con uno strumento semplice ma di grande efficacia teatrale. Velare e disvelare: un gioco vecchio come il teatro, ma proprio perché squisitamente teatrale funziona più e meglio di mille led-wall.