Roma, Teatro Vascello: “Zio Vanja” regia di Leonardo Lidi

Roma, Teatro Vascello
ZIO VANJA
di Anton Čechov 
con Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna
regia Leonardo Lidi
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Franco Visioli
Teatro Stabile dell’Umbria / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Spoleto Festival dei Due Mondi
Roma, 09 Aprile 2024
L’approccio drammaturgico alla scrittura comporta un tradimento che è insieme urgenza divulgativa e molteplicità di senso attorno a un classico impossibilitato a difendersi. Cechov forse più di altri si presta al gioco dell’adattabilità mescolando fraseggi all’apparenza patetici a radici che chiamano in causa indebitamenti, conflitti famigliari e pene d’amore con una eco stratificata. Avventurarsi nella lettura di questo dramma è paragonabile a esplorare una fitta foresta labirintica, dove i sentieri sembrano ripetersi in un ciclo incessante, inghiottiti da un’oscurità che impedisce alla luce di filtrare e si perde il senso dell’orientamento. Questa sensazione perdura finché, inaspettatamente, la complessità si dissolve, rivelando che il percorso intrapreso, in realtà, non ha mai avuto inizio. E se si dovesse dare forma a questa foresta metaforica, essa sarebbe certamente composta da betulle, alberi i cui tronchi bianchi e lucenti richiamano la “splendente, bianchezza” radicata nel loro nome indoeuropeo, termine con cui sono identificate nei paesi germanici. Anton Čechov, con la sua acuta sensibilità, avrebbe sicuramente colto l’essenza di questi dettagli botanici. Le betulle, infatti, si distinguono per la loro capacità di resistere a condizioni estreme, quali bruschi abbassamenti di temperatura o prolungate siccità, un parallelismo evidente con i temi di resilienza frequentemente esplorati nelle sue opere. L’autore russo, nella dimora che scelse di erigere a Jalta, creò un microcosmo in cui la natura giocava un ruolo primario, impreziosendo il giardino con diverse specie arboree, tra cui spiccavano proprio le betulle, simbolo di resistenza e persistenza. Queste stesse “condizioni avverse” affrontate dalle betulle trovano una loro corrispondenza artistica e scenica nell’allestimento teatrale di “Zio Vanja” al Teatro Vascello di Roma, dove le assi di betulla formano un’imponente parete sul palcoscenico. Quest’ultima, animata dall’illuminazione “emotiva” di Nicolas Bovey, che ne cura anche la scenografia, diventa metafora visiva del tempo e delle sue cicatrici: le scalfitture, i tagli perpendicolari, le nodose circonferenze e le sfumature di ombra sul legno evocano il passare inesorabile degli anni. In questo contesto, il tempo emerge come elemento predominante, rivelando la sua natura dilatata e ponderosa che fa da sfondo all’ essenziale regia ideata da Leonardo Lidi per la sua interpretazione di “Zio Vanja”. La scelta di mettere in scena un’opera così intensamente legata ai temi della resistenza e della resilienza attraverso l’utilizzo di materiali naturali non solo arricchisce la rappresentazione teatrale di significati profondi ma sottolinea anche la continuità tra la vita, l’arte e la natura stessa. La prossemica dello spettacolo, con gli attori costretti a muoversi in un confinato corridoio scenico, riflette simbolicamente la costrizione delle loro vite, in una rappresentazione che alterna densità emotiva e acuti momenti di leggerezza. L’adattamento di Lidi e la traduzione di Fausto Malcovati portano in scena non solo la maestria linguistica di Čechov, ma anche la profonda introspezione sui temi dell’amore, della delusione e della ricerca di senso. La presenza scenica e le interpretazioni del cast delineano con precisione l’universo emotivo e filosofico dell’opera, mentre i costumi di Aurora Diamanti aggiungono un ulteriore strato di significato visivo, amplificando le personalità e le dinamiche interpersonali dei personaggi. L’ensemble di attori, molti dei quali collaboratori abituali di Lidi, naviga con maestria lo spazio scenico limitato, svelando un mondo di complessità emotive e relazionali attraverso gesti minuziosi e posture cariche di significato. Tra questi, la njanja Marina (Francesca Mazza) cattura l’attenzione con un tic nervoso che la vede accarezzarsi il polpaccio in un gesto quasi compulsivo, mentre Sonja (Giuliana Vigogna) esprime la propria vulnerabilità attraverso una postura contenuta e timida, raccontando i suoi sentimenti più intimi. Nel tessuto narrativo di questa produzione, la dinamica tra i personaggi si carica di tensioni inesplorate. Astrov, interpretato con energia da Mario Pirello, e Elena, portata in scena da Ilaria Falini con una miscela di noia borghese e fascino, creano insieme un quadro di desideri inconfessati e sguardi carichi di significati non detti. A completare il quadro umano della storia, troviamo figure come Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo e Angela Malfitano, che con le loro interpretazioni contribuiscono a rivelare la complessità emotiva e sociale dell’ambientazione cechoviana. Il personaggio di Vanja, magistralmente interpretato da Massimiliano Speziani, emerge con forza nel panorama narrativo. La sua eloquenza e la posa fisica esprimono un’urgenza e una vulnerabilità che lo rendono particolarmente toccante, specialmente nei momenti di umiliazione personale e nelle dinamiche interpersonali tese. I dialoghi tra i personaggi, infusi di astio, mortificazione e disperazione, svelano la profondità della tragedia umana che Čechov intreccia sotto la superficie di una commedia apparente. La regia, così, si avventura oltre la lettura convenzionale di “Zio Vanja” come tragicommedia, esplorando la profondità del dolore e dell’alienazione che caratterizzano l’opera. Questa visione suggerisce una critica alla tendenza contemporanea di consumare e svuotare di significato le opere culturali, trasformandole in semplici meme o intrattenimento superficiale. In questo contesto, anche il riferimento a “Vesti la giubba” da “Pagliacci” di Leoncavallo assume infatti una nuova risonanza, simbolo di un invito al pubblico a riconoscere e riflettere sulla genuina sofferenza che si nasconde dietro la maschera del clown. La reazione del pubblico al Vascello conferma l’efficacia di questa scelta regista: un’ovazione spontanea e prolungata, segno di un apprezzamento che trascende il semplice applauso per trasformarsi in un tributo di affetto e stima verso il cast e la produzione. Lidi, attraverso la sua visione, dimostra che il teatro, nella sua essenza più pura, non necessita di elementi concreti per toccare l’anima dello spettatore; basta la parola, arricchita dalla potenza dell’immaginazione collettiva, per vivere un’esperienza autentica e profondamente coinvolgente. Photocredit:AndreaVeroni