Torino, Sala Piccolo Regio: “The Tender Land”

Torino, Teatro Regio, Sala Piccolo Regio G. Puccini
“THE TENDER LAND”
Opera in tre atti su Libretto di Horace Everett.
Musica di Aaron Copland.
Laurie Moss IRINA BOGDANOVA*
Martin
MICHAEL BUTLER
Grandpa Moss TYLER ZIMMERMAN*
Ma Moss
KSENIA CHUBUNOVA*
Top  ANDRES CASCANTE*
Mr.Splinters
VALENTINO BUZZA
Mrs. Splinters GIULIA MEDICINA
Mr. Jenks DAVIDE MOTTA FRÈ
Mrs. Jenks JUNGHYE LEE
Una ragazza e voce fuori scena
EUN YOUNG JANG
Un uomo GIOVANNI CASTAGLIULO
Altro uomo ROBERTO CALAMO
Beth Moss LAYLA NEJMI
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Alessandro Palumbo
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Regia 
Paolo Vettori
Scene Claudia Boasso
Costumi
Laura Viglione
Luci 
Gianni Bertoli
Prima esecuzione italiana
*Artisti del Regio Ensemble
Nuovo allestimento del Teatro Regio Torino.
Torino, 7 aprile 2024
Copland, dopo aver assistito nel ’46 ad una recita del Peter Grimes, narra di aver domandato a Britten quale fosse il requisito più importante per scrivere un’opera e che gli fosse stato replicato, con evidente sprezzante dose di humor, di impegnarsi per “ogni tipo di musica”: coro a cappella, coro e orchestra, solisti separatamente, solisti insieme. Di certo, oltre a scriverlo sull’autobiografia, Aaron ci pensò e forse fu preso dal panico. Questa è comunque la sensazione che si ha nell’assistere a The Tender Land, sua seconda opera che, rifiutata dalla televisione che gliela aveva commissionata, naufraga pure, il’1 aprile del 1954, sulle scene della New York City Opera benché sotto la direzione, che vogliamo credere fantastica, dell’allora ventiquattrenne Thomas Schippers.  Due ore di  musica, sulla scena tredici personaggi  e un coro. Una grande orchestra che l’autore fu poi costretto a ridurre a 14 elementi, visto che, per mancanza di repliche, passò ad esecuzioni semi professionali per i saggi di qualche università. È bizzarro quindi, non se ne intuisce proprio la ragione, che approdi, per la prima volta in Italia (chissà quante volte prima in Europa?) a Torino, al Piccolo Regio. Il primo atto è ambientato nel Midwest rurale, quello descritto dai romanzi di Steinbeck, e non vi si trova nessun legame tra una musica stranita che aggruma, con difficoltà, infruttuosi tentativi di melodia, senza nessuno sfogo né nelle voci né in orchestra. Non emerge nulla che sia degno della fiorentissima tradizione del teatro americano. Le tradizioni country o jazz, se pur ci fossero, sono affossate in sessanta minuti di anonimato. Il secondo atto, più contenuto nei tempi, riceve forza dalla situazione che pare collegarsi a un momento difficile che viveva l’autore. Una festa di laurea con canti e balli che suonano sentiti e autentici, coro e solisti ci sono ben coinvolti, l’orchestra ne va stentatamente a rimorchio. Un duo d’amore, che si vorrebbe rapinoso, tra la protagonista Laurie e il lavoratore straniero Martin. Il nonno Grandpa, vecchio contadino, lancia invettive e accuse, ancorché immotivate, contro Martin e contro il suo legame con la nipote, ma soprattutto rivela l’astio nei riguardi di irregolari e stranieri, delinquenti potenziali che rubano e stuprano. Copland, ebreo russo, omosessuale, in odore di comunismo, in periodo di liste di proscrizione e di processi alle intenzioni, si deve essere sentito particolarmente coinvolto nella storia di stranieri irregolari rifiutati, l’opera ha così raggiunto il suo quarto d’ora di sincera e apprezzabile commozione. Non decolla l’ultimo atto in cui hanno grande spazio tre interventi solistici di scarsissimo impatto musicale ed emotivo. Vi cantano i loro addii: Martin che seppur malvolentieri, concorda col suggerimento di Top, il compagno di vagabondaggio, di cercare luoghi più friendly; Laurie che, pur se abbandonata da Martin, sceglie di andarsene verso un’altra vita, non sopportando più la grettezza dell’attuale; Ma Moss, la madre di Laurie, che con bambole di pezza tra le braccia conferma la fatale alienazione che avrebbe colpito la figlia, se non se ne fosse andata. Il contenuto complessivo è debole mentre lo spettacolo al Piccolo Regio è complessivamente  apprezzabile, così come la compagnia di canto. Alcuni di essi,  componenti del Regio Ensemble, a partire dalla brava e multiforme protagonista Irina Bogdanova da cui si vorrebbe solo una maggior cura nell’arrotondare il colore di una zona acuta a tratti “vetrosa”. Il tenore, Michael Butler, unisce alla buona presenza scenica un timbro gradevole. Il basso Tyler Zimmerman, a cui con sforzo i fantastici truccatori del Regio, hanno tentato di occultare la giovane età, ha, mostrato salda voce e profonda. Ksenia Chubunova, nello spazio di poche ore passa dalla Wowkle della Fanciulla del west a quelli di dolente Ma Moss, confermando l’alta qualità delle sue prestazioni e qui sfruttando la brunitura del timbro per caratterizzarne il personaggio e la sua latente follia. Dall’ampio cast citiamo  le prove positive di Andres Cascante, Top, l’altro clandestino vagabondo; di Valentino Buzza, un Postino dallo squillo ben sonoro. Gli altri della locandina, tutti ugualmente positivi nelle prestazioni, hanno parte vocalmente così esigua da impedirne la valutazione singola. Rimane Layla Nejmi che pur definita voce bianca, agisce come una recitante di spiccata maestria. Il Coro del Teatro Regio, guidato da Ulisse Trabacchin ben si inserisce nel festeggiamento per la Laurea di Laurie. I 14 membri dell’Orchestra del Teatro Regio, sotto la scrupolosa conduzione del giovane Alessandro Palumbo, si applicano con impegno ed abilità, ma con risultati dubbi, ad emendare le debolezze intrinseche dell’opera che la riduzione strumentale, di mano di Copland, non ha certamente sanato. La parte visiva è apprezzabile. Paolo Vettori, inquadra con efficacia i personaggi, impreziosendoli di indovinate caratterizzazioni psicologiche. Il Nonno, la Madre e la Sorellina sono più vivi ed articolati di quanto suggerisca il libretto. Il regista poi, coadiuvato dalle scene di Claudia Boasso e dai costumi di Laura Viglione, disegna con consumata misura e intelligenza una provincia americana gretta e domestica che potrebbe benissimo essere quella nostra. L’essenzialità di quanto si vede, il giorno e la notte e il gigantesco acero rosso dell’ultimo atto, viene ulteriormente valorizzato dalle giuste luci di Gianni Bertoli. Il pubblco inizialmente avaro di applausi, alla fine, si mostra generoso. Repliche l’11 aprile; 4, 5, 7 maggio.