Venezia, teatro La Fenice: Il “Requiem” di Verdi secondo Myung-Whun Chung

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Soprano Angela Meade
Mezzosoprano Annalisa Stroppa
Tenore Antonio Poli
Basso Riccardo Zanellato
Giuseppe Verdi: Messa da Requiem per soli, coro e orchestra
Venezia, 28 marzo 2024
Terrore e dubbio: questi i tratti distintivi del Requiem verdiano. La più importante composizione sacra del Maestro di Busseto rappresenta il nobile messaggio di un artista che, da una prospettiva laica, è conscio della propria fragilità di fronte al mistero della morte: è un Verdi privo di certezze, ma non ancora approdato al “pessimismo cosmico”, che secondo alcuni caratterizzerebbe i tardivi Stabat Mater e Te Deum. Nel Requiem l’autore grida il proprio terrore di fronte al “divenire”, alla Morte e sembra abbandonarsi alla speranza solo in pochi momenti privilegiati. Nondimeno il messaggio finale della Messa esprime l’impossibilità di trovare qualche risposta alle ambasce esistenziali, insieme al rifiuto di ogni soluzione fideistica o dettata dal conformismo cattolico. Verosimilmente, il “laico” Verdi considerava la fede come un fatto che si esaurisce nella sfera individuale, mentre riteneva che, per incidere concretamente a livello politico e sociale, fosse necessario un forte impegno a favore della collettività. Una posizione che lo accomuna, in qualche modo, al giansenista Manzoni – dedicatario della Messa – che, alla fine di una profonda crisi giovanile, era riuscito a coniugare cattolicesimo e liberalismo, intimismo della fede e dimensione “politica”. Il Requiem, dunque, non si traduce soltanto nella commemorazione di un grande italiano, ma è anche espressione di una “religiosità laica”, la quale – non essendo confortata dalla fede – è segnata da dubbi e paure – pensiamo al terrificante Dies irae –, cui si contrappone qualche squarcio più sereno – come l’Agnus Dei –, dove lo sgomento di fronte al mistero dell’Aldilà sembra placarsi, dando origine ad una forma ciclica, che si ripete nei singoli segmenti come nell’intera, gigantesca architettura della Messa, aperta e chiusa dallo stesso materiale musicale.
Myung-Whun Chung era di nuovo alla guida dell’Orchestra e del Coro del Teatro La Fenice, per eseguire il capolavoro sacro di Verdi, dopo averlo diretto nel novembre del 2018, in occasione del Centenario della fine della Grande Guerra. Con l’attuale esecuzione si intendeva celebrare il 150° anniversario della prima assoluta, avvenuta il 22 maggio 1874, un anno dopo la morte di Manzoni. Celebrazioni a parte, anche per questa esecuzione la Fenice si è avvalsa di interpreti d’eccezione: Myung-Whun Chung – tra i più apprezzati direttori del nostro tempo, il cui nome ricorre sovente nella programmazione del teatro veneziano – era coadiuvato da un quartetto vocale, formato da artisti, molto apprezzati a livello internazionale. Certamente per comprendere la grandezza di questo monumento sonoro non si può prescindere dal suo rapporto di continuità con il teatro musicale dello stesso autore. Nondimeno questa musica è, nel contempo, pervasa da un’innegabile spiritualità, per quanto – come si è detto – di natura profondamente umana. La vocalità di Verdi – la cui capacità di trovare una “tinta” particolare in ogni sua opera si conferma anche nel Requiem – si fa più nobile e solenne, pur senza rinunciare a quel calore profondamente umano, al quale D’Annunzio intese riferirsi quando coniò la celebre espressione “pianse ed amò per tutti”. Encomiabile – anche sotto questo aspetto – la prestazione di tutti i cantanti, che si sono distinti per la solida professionalità e la coinvolgente resa espressiva, evitando nel contempo – ed è questo, verosimilmente, che Verdi auspicava – il ricorso ad eccessive appoggiature o portamenti, in favore di una compostezza stilistica, che ha dominato nei passaggi dove l’angoscia si faceva più tumultuosa come in quelli più pacati, caratterizzati da un mistico afflato.
Il maestro Chung – che dirigeva a memoria, padroneggiando la partitura da capo a fondo – ha offerto una lettura approfondita di questo monumento sonoro. Cominciando dalla magia del suono, è risultata evidente la sua capacità – che è poi quella dei grandi direttori – di imprimere all’esecuzione una propria peculiare concezione interpretativa, giocando sulle sfumature, ma anche sui forti contrasti a livello dinamico ed agogico. Così nel sommesso “Requiem aeternam” i tempi erano dilatati e le sonorità appena sussurrate, ad esprimere una dimensione di intimo raccoglimento, mentre nel “Dies irae” si scatenava un’estrema violenza sonora, a partire dalla spaventosa pulsazione ritmica. Di estrema suggestione l’“Ingemisco”, al cui interno l’“Inter oves” veniva reso con estrema dolcezza nell’accompagnamento orchestrale, interrompendo il precedente tono di accesa emotività. Quasi parossistico il “Sanctus”, in forma di fuga a due cori. Perfetta, nel suo rigore contrappuntistico, la fuga sul “Libera me, Domine”.
Eccellente – per i motivi già indicati – la prestazione del quartetto vocale. Angela Meade – voce corposa dal timbro screziato di nobile metallo – ha convinto per il buon controllo dei propri mezzi espressivi, imponendosi, in modo particolare, nella costernata perorazione del “Libera me”, e nel successivo “Requiem aeternam”. Positiva la prova di Annalisa Stroppa – un mezzosoprano davvero ragguardevole per la purezza del timbro e l’emissione sempre elegante – , che si è messa in luce, in particolare, nel “Liber scriptus” e – insieme al soprano – nel “Recordare Jesu pie”. Davvero encomiabile Antonio Poli, che ha cercato una varietà di moduli espressivi, per aderire al dettato verdiano, segnalandosi in brani come “Ingemisco” e “Hostias”, dove si è prodotto in apprezzabili mezze voci. Prezioso anche l’apporto di Riccardo Zanellato, che – in possesso di una voce dal bel timbro scuro ed omogeneo – è riuscito ad emozionare in “Mors stupebit” e “Confutatis maledictis”.
Una grande menzione d’onore merita il Coro – istruito dal maestro Caiani –, che in questo grande affresco sonoro – paragonabile solo ad opere, quali il Giudizio universale di Michelangelo – ha un ruolo fondamentale. Ancora una volta questa formazione si è rivelata pienamente all’altezza, quanto a nitidezza e incisività del fraseggio, intonazione, coesione, perfetta conduzione delle parti, imponendosi ovviamente nel ricorrente “Dies irae” come nel contrappuntistico “Libera me”. Superlativa, sotto ogni aspetto, l’Orchestra, che ha confermato di essere in perfetta sintonia rispetto al gesto del maestro coreano.
Successo caloroso, a tratti entusiastico.