Venezia, Teatro La Fenice: Kent Nagano e l’Orchestra Haydn in concerto

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Direttore Kent Nagano
Violino Marco Mandolini
Violoncello Luca Pasqual
Oboe Gianni Olivieri
Fagotto Flavio Baruzzi
Franz Joseph Haydn: Sinfonia concertante in si bemolle maggiore per violino, violoncello, oboe, fagotto e orchestra, Hob:I:105; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n.2 in re maggiore op. 36.
Venezia, 22 aprile 2024
Prosegue con successo la Stagione Sinfonica 2023-2024 del Teatro La Fenice come ha confermato il recente concerto, che vedeva ospite del teatro veneziano l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, guidata da Kent Nagano con la partecipazione, in qualità di solisti, di Marco Mandolini (violino), Luca Pasqual (violoncello), Gianni Olivieri (oboe), Flavio Baruzzi (fagotto). In programma due titoli, direttamente o indirettamente collegati al nome di Haydn: la Sinfonia concertante in si bemolle maggiore per violino, violoncello, oboe, fagotto e orchestra, firmata dal compositore austriaco; la Seconda Sinfonia di Beethoven, dove lo spirito haydniano aleggia qua e là.
Nel 1790 Haydn, poco dopo aver lasciato la corte degli Esterházy, fu invitato a Londra da Johann Peter Salomon, celebre violinista e direttore d’orchestra, nonché impresario di concerti. I due periodi trascorsi nella capitale inglese – 1791-92 e 1794-95 – segnarono un punto d’arrivo nella produzione sinfonica del compositore austriaco. Nacquero, infatti, le dodici Sinfonie, cosiddette “londinesi”: un gruppo di opere straordinarie, cui peraltro può essere senz’altro aggiunta la Sinfonia concertante in si bemolle maggiore sopra citata. Scritta nei primi mesi del 1792, essa rappresenta uno dei contributi più preziosi allo sviluppo di questo genere musicale, che annovera anche alcuni straordinari capolavori mozartiani e nel quale sopravvive l’articolazione, tipica del Concerto grosso, tra ripieno orchestrale e solisti (il cosiddetto “concertino”). Quest’ultimo, nel capolavoro haydniano è rappresentato da un quartetto – due archi e due legni – che non si contrappone all’orchestra, come avveniva nel concerto barocco, bensì collabora al discorso “sinfonico”, contribuendo, tra l’altro, alla ricca varietà timbrica dell’orchestrazione.
Esemplari, in questo senso – oltre all’orchestra, impeccabile nei suoi interventi, sotto la guida sapiente del direttore statunitense – sono risultati i quattro solisti nell’Allegro d’apertura, in cui hanno sfoggiato brillantezza tecnica e finezza espressiva, integrandosi al tempo stesso nella continuità del discorso sinfonico – caratterizzato, secondo il tipico stile di Haydn, da alcuni sorprendenti trapassi armonici e da qualche “teatrale” pausa imprevista –, per primeggiare nella cadenza. Gli strumenti concertanti hanno assunto un ruolo di protagonisti nel nostalgico e quasi cameristico Andante centrale, dove le risorse espressive di ciascuno di essi vengono indagate a fondo. La dimensione sinfonica – insieme a qualche curiosa sorpresa – è riapparsa nel conclusivo Allegro con spirito: dopo la vivace introduzione orchestrale, il recitativo del violino solista ha dato l’impressione di introdurre una sorta di scena d’opera senza parole – impressione confermata, subito dopo, da un patetico recitativo del violoncello –; dopodiché è iniziato il Rondò, percorso da un tema spiritoso, dove i quattro strumenti solisti hanno brillato nei capricciosi procedimenti imitativi, nei passaggi virtuosistici, nel continuo gioco di scambi, facendosi interpreti ideali della scrittura haydniana, che coniuga la capricciosa libertà dell’invenzione alle ragioni della forma.
L’eccellente performace è stata salutata da fragorosi applausi, ricompensati da un fuoriprogramma: un brano di un compositore francese – se non andiamo errati, Jean-Pascal Beintus, scoperto proprio da Kent Nagano –, per la cui esecuzione si è unito ai quatto strumenti solisti anche il contrabbasso di Daniele Ragnini, membro dell’Orchestra ospite.
Passando a Beethoven, è utile ricordare che Haydn lo incontrò a Bonn, durante il viaggio di ritorno dalla capitale britannica, rimanendo talmente colpito da quel giovane geniale da proporgli di raggiungerlo a Vienna. E lì quel promettente talento trovò nel compositore austriaco uno dei suoi maestri. Lo attesta, in particolare, la Sinfonia n. 2 in re maggiore – composta tra il 1800 e il 1802 –, che come altri lavori giovanili, risente dell’influsso di Haydn, manifestando la capacità di fondere in un equilibrio perfetto, per essenzialità e compiutezza formale, tutti gli elementi strutturali della partitura. È abbastanza incredibile che Beethoven abbia prodotto quest’opera in un momento della sua vita – a Vienna – rattristato dall’aggravarsi della sordità, che lo costrinse ad abbandonare la carriera concertistica, e dalla delusione sentimentale, conseguente al rifiuto ricevuto dalla contessina Giulietta Guicciardi, sua allieva di pianoforte, della quale aveva finito per innamorarsi. Nondimeno ogni vicissitudine fu superata grazie alla totale immersione nell’attività creativa. In tale contesto nacque la Seconda Sinfonia, in cui i contemporanei avvertirono subito qualcosa di eccessivo e sorprendente – quanto a dimensioni ed elaborazione del materiale musicale – rispetto alle loro abitudini di ascolto, pur riconoscendo la potenza e l’originalità del Genio.
Una sfolgorante brillantezza ha diffusamente caratterizzato l’interpretazione di Kent Nagano che, dopo la lenta introduzione, che apre il primo movimento, immersa in un’atmosfera inquieta e pensosa, nell’Allegro con brio, basato su un’idea proposta sottovoce da viole e violoncelli, ha fatto emergere tutto l’entusiasmo costruttivo, che trasuda da questa pagina: complici di tutte le sezioni dell’orchestra, qui come altrove, più che mai scattanti. Nel successivo Larghetto si coglieva un’espressività già tutta beethoveniana, il cui tono grazioso, di derivazione settecentesca, era venato di nostalgia per quel mondo ormai al tramonto. Il puro ritmo ha dominato nello Scherzo, geometrico ed essenziale collocato al posto del settecentesco Minuetto –, riecheggiante nel Trio alcune movenze desunte dalla tradizione, mentre nell’estroverso movimento finale, Allegro molto – vasta ricapitolazione di tutti gli atteggiamenti espressivi della sinfonia, introdotta da un tema che è quasi un’esclamazione rapida e perentoria – è riapparso Haydn con le sue caratteristiche “sorprese”, quali brusche interruzioni del discorso e improvvisi cambiamenti d’umore: un carattere giocoso reso con inusitata energia. Successo pieno a fine serata.