Roma, Teatro Costanzi: “Jenufa”

Roma, Teatro Costanzi
JENUFA
Musica di Leoš Janáček
Opera in tre atti su libretto del compositore tratto dal dramma Její pastorkyňa di Gabriela Preissová
Progetto triennale in collaborazione con Royal Opera House di Londra
La vecchia Buryjovka MANUELA CUSTER
Laca Klemen CHARLES WORKMAN
Števa Buryja ROBERT WATSON
La sagrestana Buryjovka (Kostelnicka ) KARITA MATTILA
Jenufa CORNELIA BESKOW
Il capomastro del mulino DAVID STOUT
Il sindaco LUKAS ZEMAN 
Sua moglie ANNA VIKTOROVA 
Karolka SOFIA KOBERIDZE 
La pastora EKATERINE BUACHIDZE *
Barena VALENTINA GARGANO *
Jana MARIAM SULEIMAN *
* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Juraj Valcuha
Regia Claus Guth
Maestro del coro Ciro Visco
Scene Michael Levine
Costumi Gesine Völlm
Luci James Farncombe
Video Rocafilm/Roland Horvath
Coreografia Teresa Rotemberg
Drammaturgia Yvonne Gebauer
Orchestra, coro e corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 09 Maggio 2024
Il Teatro dell’Opera di Roma continua a rendere omaggio a Leoš Janáček (1854-1928), una delle figure chiave della musica tra il XIX e il XX secolo. Dopo aver presentato “Káťa Kabanová” nella stagione 2021/2022 e “Da una casa di morti” nell’anno successivo, è ora il turno di “Jenůfa” al Teatro Costanzi. Quest’opera, spesso riconosciuta come il capolavoro di Janáček, è indubbiamente la più celebre tra le sue creazioni. La scelta di “Jenůfa” sottolinea non solo la maestria di Janáček nel trasformare tragedie umane in opere d’arte toccanti, ma anche il continuo impegno del Teatro dell’Opera di Roma nel valorizzare repertori che esplorano la complessità emotiva e sociale attraverso la lente dell’opera lirica. “Jenůfa” , debuttata nel 1904 a Brno, si distingue nettamente dai canoni del Verismo e del Naturalismo, stabilendo la propria rilevanza nella modernità musicale nonostante le origini considerate “periferiche”. Quest’opera, lungi dall’essere una mera rappresentazione di una tragedia rurale opprimente, rivela una profondità psicologica dei personaggi che la colloca tra le produzioni più innovative del teatro musicale del primo Novecento. Il lavoro di Janáček su testo e musica introduce un’innovativa dimensione della parola cantata, dove ritmo e melodia si modellano sul parlato, creando una connessione emotiva immediata e profonda. La vocalità dell’opera, libera da schemi formali e solo occasionalmente legata al folclore, assume una funzione drammaturgica, interagendo con una componente strumentale che esprime flessibilità e introspezione. Al centro dell’opera non sono gli eventi esterni—come una gravidanza fuori dal matrimonio o un infanticidio—ma l’evoluzione interna dei personaggi, in particolare delle figure femminili di Kostelnička e Jenůfa. Nella visione registica di Claus Guth, Jenůfa si trasfigura in una potente espressione di dramma teatrale che si distacca volutamente dalle rappresentazioni realistiche per immergersi in un’estetica più astratta e simbolista. Tale scelta non oscura la chiarezza del libretto, ma piuttosto arricchisce l’interpretazione del dramma con una marcata enfasi sulla psicologia intricata dei personaggi e sulle fratture generazionali, incastonati in un contesto oppressivamente sociale. Michael Levine, con audacia scenica, elimina ogni via di fuga fisica: l’assenza di porte e aperture sul palcoscenico crea una metafora visiva di un mondo claustrofobico, ineludibile, che incatena i personaggi alla loro realtà inesorabile. Il fruscio incessante della ruota del mulino, che domina l’ambiente sonoro, si eleva a simbolo acustico della monotonia e della rigidità: un leitmotiv che perpetua l’immobilità di una società fossilizzata nei suoi rituali. Questa società agisce quale macchina rituale, un meccanismo implacabile che perpetua i suoi cicli distruttivi, annientando qualsiasi dissonanza. La pressione per il conformismo si manifesta con una violenza sottile ma devastante, portando all’alienazione e alla caduta di coloro che si trovano ai margini, degli outsider, che vengono schiacciati sotto il peso di un ordine sociale immutabile.  Ogni elemento della messa in scena, dal design sonoro alla disposizione spaziale, serve a intensificare questo dramma, rendendo l’opera un palcoscenico vivente di conflitto sia individuale che collettivo. In tal modo, Jenůfa si afferma non solo come opera d’arte, ma anche come riflessione critica sulla società contemporanea, invitando il pubblico a interrogarsi sulle proprie complicità con tali meccanismi oppressivi. Sul podio del Teatro Costanzi di Roma, si è presentato uno dei più rinomati interpreti della musica di Leoš Janáček, il direttore slovacco Juraj Valčuha. La sua direzione durante l’esecuzione si è distinta per una straordinaria chiarezza e sottigliezza interpretativa, che hanno elevato la complessità e la ricchezza della partitura di Janáček. La musica del compositore ceco, caratterizzata da armonie libere da convenzioni, allusioni etniche e profondi percorsi emotivi attraverso il suono, è stata espressa con una vitalità e una comunicatività eccezionali sotto la sua bacchetta. Grazie a un fraseggio estremamente flessibile, tempi che catturano perfettamente la tensione drammatica e dinamiche che oscillano tra il riflessivo e il poetico, Valčuha ha offerto un’interpretazione che ha reso giustizia alla multiforme inventiva di Janáček. Il coro dell’Opera di Roma, sotto l’esperta guida di Ciro Visco, ha risposto con precisione e partecipazione, contribuendo significativamente all’atmosfera intensa e coinvolgente dell’esecuzione. La compagnia di canto, guidata dalle eccezionali interpretazioni delle due protagoniste, ha dimostrato una notevole abilità attoriale. Karita Mattila ha incarnato un’intensa Kostelnicka, brillando sia vocalmente, con una qualità timbrica e una precisione stilistica impeccabili, sia recitativamente, con una energia che ha reso palpabile la sua discesa nella disperazione. Non da meno Cornelia Beskow nel ruolo di Jenůfa, mostrando grande tenuta e precisione in una parte complessa, arricchita da una profondità espressiva che ha saputo commuovere e coinvolgere profondamente il pubblico. Charles Workman, nel ruolo di un doloroso e intenso Laca, e Robert Watson, che ha interpretato Števa, hanno completato il quadro principale, quest’ultimo esplorando con efficacia le contraddizioni e le debolezze del suo personaggio, elemento scatenante della tragedia. Tra i ruoli secondari, spiccano l’equilibrato mugnaio di David Stout, la vivace e commovente Jana di Mariam Suleiman e la desolata Buryjovka di Manuela Custer, che interpreta con credibilità il dolore di una donna anziana che assiste al crollo del suo mondo. Unico neo dello spettacolo è stata, a tratti, la posizione arretrata dei cantanti sulla scena, che non permetteva alle loro voci di emergere pienamente sopra l’accompagnamento dell’orchestra, rendendole talvolta totalmente assenti. Il pubblico ha risposto con entusiasmo e partecipazione alle performance, riservando applausi particolarmente intensi per le due protagoniste.  PhotoCredit @Fabrio Sansoni.