Venezia, Teatro La Fenice: la “Nona” di Beethoven secondo Daniele Rustioni

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Daniele Rustioni
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Soprano Ana Maria Labin

Mezzosoprano Veronica Simeoni
Tenore Francesco Demuro
Basso Adolfo Corrado
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 9 in re minore per soli, coro e orchestra op. 125

Venezia, 31 maggio 2024
La Nona Sinfonia di Beethoven ebbe una lunga gestazione, tra l’altro, motivata dal problema della scelta del testo letterario, da inserire in una partitura tradizionalmente solo strumentale. Diversi furono i passaggi che portarono alla composizione di questo capolavoro: si parte da un Lied,“Gegenliebe” (1794), contenente una melodia, riutilizzata vari anni dopo (1808) nella Fantasia op. 80 e quindi – trasformata – nell’ultimo movimento della Nona, mentre l’idea di mettere in musica alcune strofe dell’ode di Schiller è testimoniata da vari appunti e abbozzi, del periodo compreso tra il 1798 e il 1815. Solo nel dicembre 1822 la Philharmonic Society di Londra commissionò a Beethoven la stesura della Nona Sinfonia con l’intervento del Coro e delle Voci, ad intonare i celebri versi di Schiller. Dedicata a Federico Guglielmo III di Prussia, essa venne presentata – contravvenendo agli impegni con Londra – a Vienna il 7 maggio 1824 nella sala del Theater am Kärntnertor. Il successo fu caloroso tra applausi, che – ahimè – il compositore non poteva sentire, e sventolare di fazzoletti bianchi. “Evviva, filosofia e musica!” scriveva Beethoven, intorno al 1820, in uno dei Konversationshefte (quaderni di conversazione). Beethoven aveva letto parecchi testi di Kant. La frase conclusiva della Critica della ragion pratica, così trascritta da Beethoven in uno di questi Quaderni – “La legge morale in noi ed il cielo stellato sopra di noi!” – ha un chiaro significato: la sfera morale trascende la finitezza dell’uomo rispetto al Cielo attraverso l’imperativo categorico. Peraltro, con Kant – Critica del Giudizio – Beethoven condivideva verosimilmente
anche la convinzione che solo la musica è in grado di esprimere il sublime. E nella Nona questo si coglie in pagine “sublimi” come il terzo movimento, dove la Gioia – intesa nel finaleome slancio vitale, impegno ottimistico alla fratellanza tra tutti gli uomini, certi che in Cielo abita un Padre benigno – assume i tratti di un’intima, fiduciosa meditazione.
È quanto si è ascoltato, in particolare, nell’interpretazione di Daniele Rustioni, tra i più importanti direttori d’orchestra della sua generazione, tanto nel repertorio operistico che in quello sinfonico, riconosciuto Best Conductor agli International Opera Awards 2022. Anche in questa come in ogni parte della Sinfonia il maestro ha trovato la giusta dimensione espressiva, scevra da enfatizzazioni “preromantiche” e, invece, attenta a cogliere la complessa temperie culturale, che si rispecchia in questa partitura, incredibilmente innovativa. In essa Beethoven supera lo schema della forma sonata, fondata sui tradizionali due temi contrapposti, moltiplicando il materiale tematico, pur in una solidissima unità strutturale, assicurata dalle due matrici comuni da cui questo deriva: l’arpeggio degli accordi di re minore e di si bemolle. Siamo di fronte al Beethoven degli ultimi quartetti e delle ultime sonate per pianoforte, in cui ogni singola nota, ogni sequenza vive di vita propria.
Nel primo movimento – in cui Massimo Mila ha individuato fino a cinque gruppi tematici – a partire dall’incipit, costituito dalla celebre quinta vuota, evocante un’atmosfera primordiale, il maestro ha guidato con gesto autorevole l’orchestra, a misura che la musica prendeva forma, fino al primo tema seguito da un episodio contrappuntistico, ottenendo dalle varie sezioni prestazioni di alto livello, confermatesi – dopo la ripresa – nella vasta quanto irrituale coda, che altera la tradizionale struttura tripartita della forma sonata e riprende tutte le idee musicali che compaiono nel movimento.
Scattante, ma anche morbida l’orchestra nel successivo Molto vivace (uno Scherzo, inaspettatamente collocato da Beethoven al secondo posto tra i movimenti), in cui ha dominato il timpano in funzione solistica con la sua vigorosa pulsazione, oltre – in particolare nel più pacato Trio – ai legni e ai corni dialoganti con gli archi; il tutto reso con equilibrio, nell’intento di dare il giusto risalto alle varie parti dell’orchestra.
Intensamente espressivo il terzo movimento – in cui si alternano due temi pacati e lirici, il secondo dei quali sottoposto a variazioni – immerso in un’atmosfera di misteriosa attesa e caratterizzato da cantabilità e senso delle sfumature, rotondità di suono ed elegante espressivo fraseggio, fino alla fanfara conclusiva delle trombe, a presagire l’apoteosi del finale.
Il clou è stato, come sempre, l’esaltante movimento conclusivo, diviso in numerose sezioni con alternanza di tempi e caratteri diversi, aperto da un aspro accordo dissonante. Impeccabili per coesione e fraseggio i violoncelli e i contrabbassi nel recitativo, che apre l’introduzione orchestrale, a cui si alternano brevi citazioni dai movimenti precedenti della sinfonia, prima dell’esposizione del tema della Gioia, che Beethoven sottopone a un procedimento di accumulazione, affidandolo prima ai soli violoncelli e poi via via a gruppi sempre più nutriti di strumenti.
Piuttosto metallica – passando al quartetto vocale – la voce del basso Adolfo Corrado che, dopo il ritorno della dissonanza d’apertura, si è destreggiato nel difficile recitativo, preludendo all’intervento degli altri solisti vocali – il soprano Ana Maria Labin , il mezzosoprano Veronica Simeoni e il tenore Francesco Demuro –, che hanno dimostrato una ragguardevole professionalità. I quattro “soli” hanno intonato assieme al Coro – magistralmente istruito da Alfonso Caiani e capace di impeccabile dizione e intonazione – le strofe tratte dall’Ode di Schiller, inserite in quattro episodi musicali: il primo, in cui le voci riprendono ed elaborano il tema della Gioia; il secondo, che lo trasforma in una sorta di marcia alla turca; il terzo che propone il nuovo tema della fratellanza universale; il quarto, che combina contrappuntisticamente il tema della Gioia con quello della fratellanza, dando origine a una grande architettura sonora. Quindi – dopo l’ultima ripetizione del tema della Gioia, da parte del coro e dell’orchestra in fortissimo, seguita da una quantità di episodi secondari – la trionfale conclusione.
Pubblico osannante con calorosi tributi ai direttori (Rustioni e Caiani), al Coro, alle Voci e all’Orchestra.