Venezia, Teatro La Fenice:”Così fan tutte”

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica 2012
“COSI’ FAN TUTTE,ossia la scuola delle amanti (K588)
Dramma gioco in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Fiordiligi MARIA BENGTSSON
Dorabella JOSE’ MARIA LO MONACO
Guglielmo MARKUS WERBA
Ferrando MARLIN  MILLER
Despina CATERINA DI TONNO
Don Alfonso ANDREA  CONCETTI
Coro e Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia.
Direttore d’orchestra Antonello Manacorda
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Maestra al cembalo Roberta Ferrari
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci di Fabio Barettin
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 26 febbraio 2012

Circa la regia di Michieletto, condivido tutte le perplessità esposte nella recensione di  Giorgio Bagnoli. Bisogna tuttavia dire che, prevedibilmente, questo Così in abiti contemporanei è di gran lunga lo spettacolo più riuscito della trilogia mozartiana concepita dal regista per la Fenice. Taluni momenti del primo atto sono divertenti e il palcoscenico rotante è utilizzato con assennatezza e non per coprire buchi di inventiva (come erano stati ad esempio il “Mi tradì” del Don Giovanni o il “Deh, vieni” delle Nozze).
In tutta questa trilogia, in barba a Brecht, a Eco, alla filologia o anche ad una semplice etica professionale di un regista che mette in scena un testo che non ha scritto lui, Michieletto non può permettere che lo spettatore si addentri da solo nelle ambiguità e nelle polisemie di questi capolavori, ma deve imporre la sua interpretazione. Più che una interpretazione, in realtà, si tratta di un giudizio morale, di una morale gretta e meschina improntata ad un disperato cinismo e ad un bacchettonismo rigido e reazionario. Così Don Giovanni è un mostruoso demonio che opera con arti magiche (!), il Conte di Almaviva un mostruoso demonio che spinge al suicidio la moglie e Don Alfonso un mostruoso demonio che distrugge la vita di quattro giovani. Alla fine di questo Così fan tutte, infatti, i quattro giovani non sono in grado di mettere in discussione le istituzioni sociali, da questa esperienza non hanno capito nulla né dei loro partner né di loro stessi e banalmente sono gettati nella più grande disperazione. Questo ovviamente è proprio il contrario di quanto immaginato dall’illuministica fiducia nella ragione di Lorenzo Da Ponte. A livello di etica professionale, questo finale cambiato è un po’ come se un direttore d’orchestra ateo alla fine della Messa in Si minore facesse intonare “E comunque Dio non esiste” anziché “Amen”. Ridicolo più che irritante. Potremmo pensare che Michieletto voglia farci riflettere su quanto più avanzato e sensibile fosse il pensiero morale ai tempi di Mozart e quanto sia barbaro, stupido e acritico quello di oggi, nonostante la psicoanalisi, il femminismo, la liberazione sessuale, ecc… Ma avendo visto tutta la monocorde trilogia (con Don Giovanni ambientato nel Settecento, Nozze, chissà perché, nell’Ottocento e Così ai giorni d’oggi) si può solo concludere che questa è semplicemente la morale piccina di Michieletto, imposta senza vergogna a Mozart e al pubblico.
Da un punto di vista musicale, invece, come i due predecessori, anche questo Così fan tutte è stata una vera delizia sotto la direzione precisa e sensibile di Antonello Manacorda. Il giovane soprano lirico leggero svedese Maria Bengtsson (Fiordiligi) è innanzi tutto una donna di bellezza davvero eccezionale, tale da umiliare non solo le più note bellezze del mondo dell’opera (che oggi non scarseggiano di certo), ma anche tante modelle o star di Hollywood. Non è questo un parametro da sottovalutare: la bellezza è espressiva. E canta veramente bene, con intonazione purissima e una squisita musicalità. Purtroppo la voce, molto bella e morbida, non è di grande spessore e in un teatro non molto favorevole alle voci come la nuova Fenice i passaggi più centrali e gravi di cui il ruolo abbonda sono stati più intuiti che veramente uditi. Varrebbe la pena di realizzare un dvd di questa produzione solo per poterla ascoltare più da vicino. Nessun problema di volume invece per l’italiana José Maria Lo Monaco, una vulnerabile Dorabella dalle bruniture decisamente mezzosopranili, ma capace anche di uniformarsi alle soavi morbidezze “di testa” della sorella. Una delle migliori prove di questa artista interessantissima. Markus Werba è stato un Guglielmo eccellente. Il buon timbro chiaro di Marlin Miller (Ferrando) purtroppo è un po’ sforzato in acuto. La decisione di effettuare il tradizionale taglio dell’aria “Ah, lo veggio quell’anima bella” è quindi comprensibile. Tuttavia lasciare quell’incandescente recitativo accompagnato (“Barbara, perché fuggi?”) senza la sua naturale risoluzione rimane un crimine musicale che offende le orecchie abituate alla sintassi operistica settecentesca. Nonostante l’odio medievale per la ragione espresso dal regista, la palma va senz’altro ai due illuministi. Anche sotto quell’orribile parrucca e quei gesti da vecchio sporcaccione, tutto preso in prestito da Ruggero De Ceglie (personaggio della sitcom che non fa ridere di MTV, I soliti idioti), Andrea Concetti è un Don Alfonso ben cantato e ben recitato. E anche senza il divertente travestimento da medico del primo atto (omissione particolarmente stupida soprattutto dal momento che Mozart, con umorismo finissimo e precursore, riprende il tema di “che poi sì celebre in Francia fu” quando nel finale, si svelano tutti gli inganni), Caterina Di Tonno, già applaudita Zerlina e Susanna nei due capitoli precedenti, è stata una Despina da sogno per la malizia scenica e per la disarmante bellezza del timbro, che, nel mondo un po’ stereotipato delle voci di oggi, innamora con la sua personalità inconfondibile. Per nulla inferiore alla splendida compagine il coro. P.V.Montanari
Foto Michele Crosera – Teatro La Fenice di Venezia