Verona, Teatro Ristori, Stagione Lirica e di Balletto della Fondazione Arena di Verona 2013-2014
“SCHIACCIANOCI À LA CARTE”
Coreografia, scene, luci e costumi Renato Zanella
Prima parte
Suite dal balletto Lo Schiaccianoci op. 71a di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Seconda parte
The Nutcracker Suite; arrangiamento di Duke Ellington e Billy Strayhorn
Interpreti principali
Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli, Amaya Ugarteche, Evghenij Kurtsev, Antonio Russo
Corpo di ballo e tecnici dell’Arena di Verona
Verona, 20 dicembre 2013
Qualcosa è cambiato… anche a Verona. Una notizia che riguarda la danza non viene considerata tale molto semplicemente perché a nessuno interessa. Se ai tempi letargici della stampa “specialistica”, aggiungiamo anche la lentezza con cui le Istituzioni promuovono le proprie maestranze, resta davvero ben poco da dire. Ad ogni buon conto, il Balletto dell’Arena di Verona ha un nuovo direttore: Renato Zanella. Non un nome qualsiasi, quindi, ma un nome prestigiosissimo che ha saputo imporsi col tempo come ballerino e poi in veste di coreografo: negli ultimi anni a Verona, sua città natale, suoi lavori sono stati ospitati anche in alcune stagioni della Fondazione Arena. È inutile ripercorrere qui le tappe della sua carriera artistica: sono tutti dati che si possono ricavare anche dall’intervista che GBOpera pubblicò qualche anno fa, dove è interessante vedere che Zanella alla domanda «Qual è la delusione più grande che hai mai avuto? » rispose «Vedere la danza morire nella mia città natale». Come dargli torto…
Renato Zanella torna nella sua città in un momento non certo facile per le Fondazioni lirico-sinfoniche italiane: a lui dunque cercare di risollevare le sorti del Balletto dell’Arena. Per la corrente Stagione di Balletto, il primo titolo è Schiaccianoci à la carte (su coreografia di Renato Zanella e musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Duke Ellington e Billy Strayhorn) appena andato in scena; seguiranno a marzo Barocco Remix, su coreografia di Mauro De Candia, e a maggio Il lago dei cigni, coreografato da Renato Zanella. Il neo-direttore tiene quindi per sé due titoli della grande tradizione tardo-ottocentesca, riproponendoli secondo la propria visione.
Questo Schiaccianoci si presentava da subito interessante già solo per la scelta del titolo: «à la carte». Lo spettacolo viene suddiviso in due parti: una prima parte “preparatoria”, che diventa una sorta di classe un po’ scanzonata mentre la seconda costituisce lo spettacolo vero e proprio. Per la prima parte del balletto viene utilizzata la Suite dello Schiaccianoci composta da Pëtr Il’ič Čajkovskij, mentre per la seconda la versione in chiave jazz (The Nutcracker Suite) di Duke Ellington e Billy Strayhorn. Per fare un paragone operistico, si potrebbe pensare ad Ariadne auf Naxos di Richard Strauss, dove al Prologo iniziale segue poi la rappresentazione effettiva dell’opera. Zanella dice che la seconda parte dovrebbe essere quella «dove il musicista jazz seleziona brani originali e li ripresenta in variazioni, chiamiamole “dello Chef”, creando una situazione di grande libertà nell’esecuzione e nell’ispirazione coreografica». A noi invece è parso proprio il contrario, dove la prima parte del balletto è stata davvero caratterizzata da idee belle e divertenti mentre la seconda ha un po’ sofferto per mancanza di varietà formale.
La coreografia che ha caratterizzato la Suite dello Schiaccianoci di Čajkovskij è stata ben pensata e realizzata, soprattutto in funzione di un corpo di ballo che non può fare della quantità numerica e del fattore estetico uno dei propri punti di forza. Così, in questa classe sopra le righe, vediamo la Danza spagnola trasformata in una furoreggiante tenzone al maschile; lo stesso dicasi per la Danza cinese, pensata come una gara di virtuosismo per quattro interpreti. Anche l’assolo della Danza araba, impreziosito dall’interpretazione di Luca Giaccio che ne ha fatto un vero gioiello per qualità plastica, finisce per stemperarsi in autoironia con l’interprete che viene canzonato da un collega. Smessi i “panni da lavoro” e i “ferri del mestiere”, i ballerini si ripresentano in scena in maglietta a righe smanicata e pantaloni a campana: un po’ Bulli e pupe, un po’ Querelle de Brest. Questo secondo momento vede una coreografia più irrigidita e meno varia, cristallizzata in un formalismo che si intervalla a qualche stilema jazzistico (movimenti ampi delle mani in primo piano, spalle leggermente infossate…). Se da un lato viene messo meno in risalto il comparto maschile (particolarmente deludente l’assolo dell’Entr’acte) hanno però modo di mettersi in luce le prime ballerine Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli e Amaya Ugarteche alla Danza Araba; la Gelmetti è stata anche pregevole interprete della Danza della Fata Confetto. Insomma, se proprio c’è da scegliere allora scegliamo la spontaneità caciarona e allegra della prima parte.
Al di là di alcune riserve sulla seconda tranche della coreografia – contrappunto un po’ debole rispetto alla vivacità della prima – occorre segnalare che il Corpo di ballo è sembrato molto più coinvolto rispetto a precedenti occasioni; certo, il lavoro soprattutto sul Corpo di ballo maschile appare ancora piuttosto faticoso e lontano da risultati soddisfacenti ma le nuove leve sembrerebbero far sperare in un cambiamento. Applausi sinceri e prolungati per tutti. Foto Ennevi – Fondazione Arena di Verona