Opéra-Comique in cinque atti e sei quadri su libretto di Henri Meilhac e Philippe Gille, dal romanzo “Histoire deu chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut di Antoine-François Prevost: Parigi, Opéra-Comique, 19 gennaio 1884
La genesi e la prima
Nell’autunno del 1881, nonostante il successo ottenuto con Le roi de Lahore e la prossima messa in scena di Hèrodiade che sarebbe stata rappresentata al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles il 19 dicembre dello stesso anno con esito trionfale, Massenet era inquieto e desideroso di mettersi subito al lavoro. Il libretto Phoebé di Henri Meilhac, che Carvalho gli aveva consegnato una mattina d’autunno del 1881, non lo aveva, tuttavia, per nulla soddisfatto; questo soggetto non aveva, infatti, toccato le corde più intime della sua ispirazione al punto che non era riuscito a comporre una sola nota. Così una mattina Massenet si recò da Meilhac per comunicargli la sua intenzione di non scrivere la musica per Phoebé, come egli stesso ricordò nel capitolo XV della sua romanzata e, per certi aspetti, poco attendibile autobiografia Mes souvenirs:
“Una certa mattina d’autunno del 1881, ero abbastanza agitato, anche ansioso. Carvalho, allora direttore dell’Opéra-Comique, mi aveva affidato tre atti: la Phoebé di Henri Meilhac. Li avevo letti, riletti, niente mi aveva sedotto; cozzavo contro il lavoro da fare; ne ero snervato, spazientito!
Riempito di un bel coraggio, mi presentati da Meilhac… Il fortunato autore di tante opere incantevoli, di tanti successi, Meilhac, era nella sua biblioteca, in mezzo ai suoi libri rarissimi dalle rilegature meravigliose, una vera fortuna ammonticchiata in una parte dell’ammezzato nel quale egli abitava al numero 30 di rue Drouot.
Lo vedo ancora, mentre scrive su un piccolo guéridon, accanto a un’altra grande tavola del più puro stile Luigi XIV. Appena egli mi ebbe visto, sorridente amichevolmente e lietissimo, credendo che gli portassi delle notizie sul nostro Phoebé: ” È finito?” – Mi disse. A questo saluto, risposi illico, con un tono meno rassicurante: “Sì, è finito; non ne parleremo mai più!
Un leone messo in gabbia non sarebbe stato più mortificato. La mia perplessità era estrema, vedevo il vuoto, il nulla, attorno a me, il titolo di un’opera mi colpì come una rivelazione. – “Manon! “Gridai proprio io, mostrando col dito il libro a Meilhac. ” Manon Lescaut”, è Manon Lescaut che lei vuole?” –No! Manon, Manon e basta; Manon, è Manon!”
Nacque così l’idea di Manon il cui soggetto suscitò non solo gli entusiasmi del compositore, ma anche del librettista Henri Meilhac che aveva da poco stretto un nuovo e importante sodalizio artistico con Philippe Gille tanto che il libretto, scritto a quattro mani dai due poeti francesi, fu pronto in brevissimo tempo, secondo quanto riferito da Massenet:
“Venga a pranzare da Vachette”, mi disse Meilhac, le racconterò cosa avrò fatto… Recandomi a quell’invito, si può indovinare se avevo nel cuore più curiosità emotiva che appetito nello stomaco. Andai dunque da Vachette, e, là, sorpresa inenarrabile e del tutto adorabile, trovai, cosa? Sotto il mio tovagliolo… i due primi atti di Manon! Gli altri tre atti dovevano seguire, pochi giorni dopo. L’idea di fare quest’opera mi assillava da molto tempo. Era il sogno realizzato. Benché molto impegnato dalle prove di Hérodiade e molto provato dai miei frequenti viaggi a Bruxelles, lavoravo già a Manon nel corso dell’estate 1881.
Quanto affermato da Massenet, come spesso accade in Mes souvenirs, non è del tutto attendibile; appare impossibile, infatti, che il compositore francese abbia lavorato alla sua opera nell’estate del 1881 prima che fosse stato scelto il soggetto nell’autunno dello stesso anno. Nonostante le date non siano corrette, appare plausibile, invece, la descrizione delle modalità con le quali si svolse questa collaborazione:
“Durante quella stessa estate, Meilhac era andato ad abitare nel pavillon Henri IV, a Saint-Germain. Andavo lì a sorprenderlo, di solito verso le cinque della sera, quando sapevo che la sua giornata di lavoro era terminata. Allora, mentre passeggiavamo insieme, combinavamo dei nuovi aggiustamenti nel testo poetico. Fu là che stabilimmo l’atto del seminario e che per ottenere, all’uscita da questo, un contrasto più grande, richiesi l’atto del Transilvanie. Come mi piaceva questa collaborazione, questo lavoro nel quale ci scambiavamo le nostre idee senza mai offenderci, nel comune desiderio di arrivare, se possibile, alla perfezione! Philippe Gille veniva a prendere parte a questa utile collaborazione di tanto in tanto all’ora di cena e la sua presenza mi era tanto cara! Che teneri e dolci ricordi ho conservato da quel periodo, a Saint-Germain, nella sua magnifica terrazza, nel lussureggiante fogliame della sua bella foresta!
Senza seguire in modo troppo dettagliato i ricordi, per la verità, un po’ sbiaditi di Massenet, si può affermare con certezza che i primi schizzi dell’opera furono messi sul pentagramma tra l’autunno del 1881 e gli inizi del 1882, quando il compositore, una volta libero dall’impegno al Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles per Hérodiade, poté dedicarsi con una certa assiduità alla sua eroina. Per quella data, inoltre, la stesura del libretto, che, secondo Massenet, sarebbe stato scritto in brevissimo tempo, non era stata ancora completata o necessitava di alcuni ritocchi; ciò è possibile affermarlo con certezza analizzando una lettera del 7 maggio 1882 indirizzata a Meilhac, nella quale si legge:
“Sono estasiato al ricevere una nuova prova del lavoro assiduo del mio carissimo collaboratore”.
Il 7 gennaio 1882 il libretto non era, quindi, ancora pronto mentre la composizione della musica occupò Massenet fino all’autunno dello stesso anno. Nella versione per canto e pianoforte Manon fu completata, infatti, il 19 ottobre 1882 alle nove del mattino, come si evince da una lettera indirizzata alla moglie:
Ti scrivo ancora con le vertigini per il lavoro di due notti […] Ho terminato Manon stamattina, un attimo fa! Sentirai
mentre l’orchestrazione, iniziata il 5 febbraio 1883, fu completata il 15 luglio dello stesso anno alle 7 del mattino. A differenza di altre opere di Massenet e, in particolar modo, del Werther, Manon suscitò subito gli entusiasmi del direttore dell’Opéra-Comique, Léon Carvalho, e della moglie Marie Caroline Miolan-Carvalho in occasione dell’audizione preliminare. Lo stesso Massenet ricordò l’episodio:
“Eravamo nella primavera del 1883. Ero rientrato a Parigi e, terminata l’opera, fu fissato l’incontro da Carvalho, al 54 della rue de Prony. Vi trovai, con il nostro direttore, la signora Miolan-Carvalho, Meilhac e Philippe Gille. Manon fu lodata dalle nove di sera a mezzanotte. I mie amici si mostrarono affascinati. La signora Carvalho mi abbracciò con gioia, non cessando di ripetermi:” Avessi vent’anni di meno!“ Feci del mio meglio per consolare la grande artista. Volli che il suo nome fosse sulla partitura, e gliela dedicai”.
Adesso si tratitava solo di scegliere il cast per la prima rappresentazione e, se per le parti maschili la ricerca non fu difficile in quanto Talazac, Taskin e Cobalet, come affermato dallo stesso compositore, formavano uno stupendo cast, per il ruolo della protagonista si presentarono parecchie difficoltà. Massenet stesso scrisse sempre in Mes souvenirs:
“Per la Manon, ci fu una certa indecisione nella scelta. Molte, certamente, avevano del talento, anche una grande reputazione, ma non sentivo una sola artista che rispondesse a questo ruolo, come lo volevo, e che avrebbe potuto rendere la perfida e cara Manon con tutto il cuore che io vi avevo messo. Tuttavia avevo trovato in una giovane artista, la signora Vaillant-Couturier, delle qualità di seduzione vocale che mi avevano spinto ad affidarle la copia di molti passaggi della partitura. La facevo lavorare dal mio editore. Lei fu, infatti, la mia prima Manon.
In quel periodo, si rappresentava, alle Nouveautés, uno dei grandi successi di Charles Lecocq. Il mio grande amico, il marchese di La Valette, un Parigino di Parigi, mi ci aveva trascinato una sera. La signorina Vaillant – più tardi la signora Vaillant-Couturier – l’affascinante artista di cui ho appena parlato, vi occupava adorabilmente il ruolo di prima donna. M’interessò molto; aveva anche, ai miei occhi, una rassomiglianza stupefacente con una giovane fiorista del boulevard des Capucines. Senza mai aver parlato (provavo vergogna!) a questa deliziosa ragazza, la sua vista mi aveva ossessionato, il suo ricordo mi aveva accompagnato: era proprio la Manon che avevo visto, che io vedevo senza sosta davanti a me lavorando!”
Masssenet dovette, però, rinunciare al progetto iniziale di dare la parte di Manon alla Vaillant-Couturier, stella del Théâtre des Nouveautés, al quale era legata contrattualmente e il cui direttore non le concesse di esibirsi in un teatro diverso. Proprio al Théâtre des Nouveautés Massenet incontrò la sua futura Manon:
“Durante questo dialogo, avevo notato che l’eccellente marchese di La Valette era molto occupato da un grazioso cappello grigio tutto fiorito di rose, che, senza sosta, passava e ripassava nel foyer del teatro. In un momento, vidi questo grazioso cappello dirigersi verso di me.
”Un debuttante dunque non riconosceva più una debuttante?” – “Heilbronn”! Gridai. – “In persona!”… Heilbronn mi aveva appena ricordato la dedica scritta sulla prima opera che avevo fatto e nella quale era apparsa per la prima volta sulla scena. “Canta ancora?” – No! Sono ricca, e, eppure, glielo dirò? Il teatro mi manca; ne sono ossessionata. Ah! se trovassi un bel ruolo! – “Ne ho uno: Manon!” – “Manon Lescaut?” – “No: Manon… e basta”. –“Posso sentire la musica?” – “Quando vorrà”. – “Questa sera? – Impossibile! È mezzanotte…” – “Come? Non posso aspettare fino a domani. Sento che c’è qualche cosa. Cerchi la partitura. Mi troverà nel mio appartamento (l’artista abitava allora agli Champs-Elysées), il pianoforte sarà aperto, il lampadario acceso”… Detto fatto. Rientrai a casa per prendere la partitura. Le quattro e mezza suonavano quando cantai le ultime battute della morte di Manon”.
In realtà questo incontro, che, secondo quanto ricordato da Massenet, appare del tutto casuale, fu favorito dall’editore Hartmann. Il 19 gennaio 1884 Manon andò in scena all’Opéra-Comique diretta da Jules Danbé e fu un trionfo tale da essere replicata per circa 80 serate consecutive. Alla fine dello stesso anno Manon fu rappresentata all’Her Majesty’s Theatre di Londra con Marie Roze protagonista, mentre Marie Heilbronn riportò l’opera a Parigi nell’autunno del 1885. Dopo questa data, per alcuni anni, Manon non calcò più le scene, essendo morta la Heilbronn, prima Manon, il 31 marzo 1886. Dopo 10 anni di silenzio a causa dell’incendio che distrusse l’Opéra-Comique, Manon fu ripresa alla riapertura del teatro da Sibyl Sanderson con la quale raggiunse la duecentesima replica, mentre per la cinquecentesima serata si esibì Marguerite Carré. Non tutti i giornali apprezzarono questa nuova opera e, se Moreno dalle pagine dell’autorevole rivista «Le Menstrel»concluse il suo articolo, affermando:
“Ecco dunque ancora un’opera che viene a fare il più grande onore alla nostra arte nazionale, per la quale l’anno sarà particolarmente felice: Lakmé, Henry VIII, Sigurd e Manon, senza dimenticare il grazioso balletto di Dubois La Farandole,
ironico e, per molti aspetti, discutibile in quanto poco attento ai reali pregi dell’opera, fu il commento di Henry Maret su «Le Radical» il 23 gennaio 1884:
“Povera Manon! Chi ti avrebbe predetto che un giorno saresti stata circondata da tutto questo baccano! Tu, graziosa fanciulla di quel secolo elegante e leg-gero, dei piccoli versi di piccole case, eccoti, con musica saccente, eguagliata alle Walkiries e alle eroine dei Nibelunghi!… non so se, come si è detto, il si-gnor Massenet ha letto, per caso, Manon Lescaut. Ma non ne dubiteremmo molto dal sentire il suo dramma lirico. Di quel pastello semplice e grazioso, egli ha fatto un affresco spaventoso. Che baccano, buon Dio! Pur concedendo che egli non abbia compreso una parola del libretto che doveva mettere in musica, studiamo la sua partitura al di fuori di ogni preoccupazione di colore locale”.
L’Opera.
Tratto dal romanzo settecentesco, Histoire du Chevalier des Grieux et de Manon Lescaut dell’Abate Prévost, il libretto, per quanto attiene alla fabula, mantiene una certa fedeltà al suo modello letterario, del quale rifiuta, tuttavia, l’intento moralistico espresso dallo scrittore nella prefazione:
“Ho intenzione di ritrarre un giovane cieco, che rifiuta di essere felice, per pre-cipitare volontariamente nelle estreme sventure; che, con tutte le qualità con cui si forma il più brillante merito, preferisce, per sua scelta, una vita oscura e vagabonda, a tutti i vantaggi della fortuna e della natura, che prevede le sue disgrazie, senza volerle evitare, che le sente e che ne è sopraffatto, senza ap-profittare dei rimedi che gli si offrono senza sosta e che possono in ogni momento finire; infine un carattere ambiguo, una mescolanza di virtù e di vizi, un contrasto perpetuo di buoni sentimenti e di azioni malvagie”.
La narrazione degli eventi, condotta nel modello letterario in prima persona da Des Grieux, fu adattata con grande cura alla scena teatrale dai librettisti che colsero l’occasione non solo per spostare l’attenzione dal cavaliere alla protagonista trasformata quasi in una femme fatale, piena di sensualità e di un fascino misterioso, ma anche per disegnare dei veri e propri spaccati della società francese e dei milieux frequentati dai due amanti.
Massenet, da parte sua, riuscì ad esaltare tutti gli aspetti del testo poetico facendo un ritratto fedele e puntuale sia dei personaggi che degli ambienti con rapidi e precisi tocchi rappresentando in modo efficace non solo la bella protagonista, ma anche le scene corali. Lo stesso preludio si presenta come uno splendido acquerello con il quale, con poche pennellate, Massenet introduce il pubblico nell’ambientazione settecentesca dell’opera e nello stesso tempo raffigura la protagonista Manon, circondandola di un fascino misterioso.
Al brillante e frivolo tema della scena della festa di Cours-la-Reine dell’atto terzo (Es. 1), con cui si apre il preludio, segue quello, appena disegnato dal flauto e dall’ottavino, della Chanson des archers (Es. 2) e ripreso, nella parte finale, dal violoncello solista. La protagonista, avvolta di fascino e di mistero, è presentata con il tema dell’aria di Des Grieux dell’atto quarto, Manon! Sphinx étonnant, qui affidato alla calda voce del clarinetto sostenuto dagli archi (Es. 3).
Questo alone di affascinante mistero caratterizza la protagonista già quando questa si presenta nella sua prima aria Je suis encore toute etourdie avvolta in un’aura di ingenuità e di fascino non priva di una certa sensualità. Tutto questo è realizzato con un vago 6/8, con il quale la giovane donna manifesta tutte le emozioni da lei provate durante il suo primo viaggio. È una pagina tenera, affascinante e sensuale ottenuta grazie alla melodia avvolgente e ritmicamente libera (Es. 4) accompagnata da un’orchestra discreta che sottolinea, quasi pennella, il canto di Manon.
Nell’Andantino lento, Voyons, Manon, plus de chimeres, la fanciulla esprime tutta la sua malinconia in un languido e singhiozzante tema spezzato da pause (Es. 5) che rappresenta icasticamente i sogni giovanili che presto dovrà abbandonare quando le porte di un chiostro si chiuderanno dietro di lei. Meno dettagliata e più stereotipata appare, invece, l’immagine che di Des Griex ci ha consegnato Massenet; i suoi casti e nobili sentimenti trovano il loro sfogo in un tema ampio che copre due ottave (Es. 6) e che sarà sviluppato maggiormente nel preludio all’atto secondo, dove, in un sapiente gioco di contrasti, si contrappone a un altro, esposto dai violini, che rappresenta la frivolezza di Manon (Es. 7). I due amanti si muovono in quadri d’ambiente finemente disegnati; un vero e proprio capolavoro è nel terzo atto la Promenade du Cours-la-Reine aperta da uno splendido preludio dalla struttura tripartita che ricorda formalmente una gavotta. La prima parte è interamente costruita sul tema già udito nel preludio dell’atto primo (Es. 1), mentre il Trio si basa su un tema brillante affidato ai fiati (Es. 8).
In questa caleidoscopica scena c’è spazio per rappresentare sia l’intera popola-zione nelle sue diverse classi sociali sia un Lescaut scanzonato e impegnato nella ricerca dei piaceri, mentre l’orchestra si divide su due piani dando vita a due diversi organici, quello completo della sala e quello ridotto, quasi settecentesco, dietro le quinte.
Mirabile è anche il secondo Tableau del terzo atto, Le parloir du Séminaire St. Sulpice, aperto da un corale, affidato all’organo che cede il posto a un’esposizione di fuga a tre voci dal soggetto di ascendenza bachiana, che, insieme al successivo coro femminile di Dévotes, condotto in perfetto stile barocco con armonie alla suddivisione, rappresenta con precisione l’ambiente austero e sacro della scena in contrapposizione allo spazio aperto e brillante di quella precedente. All’inizio del quarto atto il pubblico è introdotto in un altro preciso quadro d’ambiente, quello dell’Hôtel de Transilvanie, una casa da gioco di lusso nella quale trascorrono il loro tempo Lescaut, Poussette, Javotte, Rosette e Guillot, la cui atmosfera misteriosa e poco salubre è perfettamente resa da un tema pieno di ansia, esposto dal clarinetto e dal fagotto in una scrittura di vaga ascendenza čajkovskijana (Es. 9).
In questa bolgia, disegnata da Massenet con rara efficacia, giunge Des Grieux che intona con slancio Manon, Sphinx étonant, sul tema già sentito nel preludio, ma il dramma è imminente e si consuma con l’arresto di Des Grieux mentre la musica segnala nettamente questo cambiamento nel finale dell’atto.
Aperto dal tema della Chanson des archers, già ascoltato nel preludio, il brevissimo ma intenso quinto atto, ambientato per la Route de Havre, è interamente incentrato sul drammatico duetto che vede protagonisti i due infelici amanti. In una scrittura densa, che esalta il carattere passionale della scena, vengono riproposti, in un affascinante procedimento à rebours, i temi musicali che hanno caratterizzato quest’infelice amore. Se il tema di On l’appelle Manon, che, qui esposto dalla calda e sensuale voce del corno inglese, nell’atto primo aveva rivelato la passione dei due giovani, è autentico protagonista della scena, il suggello del dramma è affidato, invece, al tema della seduzione (Es. 10), N’est plus ma main già ascoltato nel secondo tableau dell’atto terzo, Le parloir du Séminaire St. Sulpice, che, prima intonato a gran voce dai due amanti, viene alla fine declamato a piena orchestra.