Teatro Regio di Torino: “Le nozze di Figaro” (cast alternativo)

Teatro Regio – Stagione Lirica 2014-2015
“LE NOZZE DI FIGARO”
Dramma giocoso in quattro atti di Lorenzo da Ponte, dalla commedia La Folle Journée, ou Le Mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il conte d’Almaviva DIONISYOS SOURBIS
La contessa ERIKA GRIMALDI
Figaro GUIDO LOCONSOLO
Susanna GRAZIA DORONZIO
Cherubino SAMANTHA KORBEY
Marcellina ALEXANDRA ZABALA
Bartolo FABRIZIO BEGGI
Basilio BRUNO LAZZARETTI
Don Curzio LUCA CASALIN
Antonio MATTEO PEIRONE
Barbarina ARIANNA VENDITTELLI
Prima ragazza MANUELA GIACOMINI
Seconda ragazza RAFFAELLA RIELLO
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Yutaka Sado
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Maestro al fortepiano Carlo Caputo
Regia Elena Barbalich
Scene e costumi Tommaso Lagattolla
Luci Giuseppe Ruggiero
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino
Torino, 19 febbraio 2015

Come di consueto accade per i titoli d’un certo richiamo, anche per Le nozze di Figaro il Teatro Regio propone un cast alternativo per coprire alcune recite. L’allestimento è ovviamente identico a quello già descritto con dovizia di particolari nella recensione del collega Giordano Cavagnino, e non intendo riprendere il discorso su di esso; ma gli interpreti dei ruoli principali sono diversi, e l’impressione che se ne desume – non solo dalla lettura della recensione del collega, ma anche dalla personale partecipazione a una recita della cosiddetta prima compagnia – è che la serata, nel suo complesso, funzioni assai meno.
Innanzi tutto, emerge con maggiore evidenza, in ragione delle voci mediamente meno voluminose, un problema comune a tutte le rappresentazioni, voglio dire la presenza di un direttore quale Yutaka Sado, che sicuramente è carismatico – ho presenti le sue direzioni mahleriane, e un memorabile Peter Grimes di alcuni anni orsono –, ma non può essere considerato né un mozartiano né un esperto di belcanto. I tempi sono qua e là un po’ lenti, ma soprattutto l’orchestra è eccessivamente invadente: si perdono così la leggerezza della partitura di Mozart, e spesso anche le voci dei solisti, che negli ensemble – i quali, a dire il vero, non risultano sempre concertati alla perfezione – regolarmente sfuggono. Quando a sfuggire poi sono alcune frasi topiche, come quel «Sì, Madama, voi siete il ben mio» che dovrebbe essere cantato a voce spiegata da Figaro per attirare l’attenzione del Conte, e invece si percepisce a malapena, quasi che fosse sussurrato, l’efficacia teatrale di una scena rischia di essere fortemente compromessa.
In secondo luogo, i solisti principali, salvo alcune eccezioni, si caratterizzano per una somiglianza timbrica che penalizza la definizione dei caratteri, in un’opera che proprio di vividi ritratti si sostanzia. Si distingue il soprano Erika Grimaldi (Contessa), per lo strumento più polposo che le consente di dominare l’orchestrazione, e per la raffinata tecnica belcantistica, fondata su uniformità del legato e controllo della messa di voce; particolarmente espressiva è l’aria «Dove sono i bei momenti», nella quale la voce si ammanta di tinte ombrose. Si distingue altresì il basso Fabrizio Beggi, che, articolando opportunamente il fraseggio dell’aria, tratteggia Bartolo come figura tronfia e imponente; ma ne sa rendere evidente la trasformazione quando, pur esitante, accetta la ritrovata paternità. Tra gli altri, però, domina un senso di piattezza che induce lo spettatore, talvolta, a chiedersi chi stia effettivamente cantando; e questo non perché i solisti manchino di professionalità, si badi bene, ma perché forse sono stati assortiti con un po’ di leggerezza e hanno avuto poco tempo per rodare lo spettacolo e affiatarsi. Il sapido duettino «Via resti servita», nel quale la contrapposizione tra le rivali Susanna e Marcellina dovrebbe essere lampante in ogni dettaglio, rischia di annacquarsi per l’eccessiva somiglianza di timbro e registro delle due cantanti. Alexandra Zabala (Marcellina) è un’ottima professionista, ma è soprano, ed è costretta in una tessitura che non la valorizza, tanto più che è stata privata della sua unica aria (tagliata, al pari di quella di Basilio). La punta d’acidità di Grazia Doronzio non disdice al carattere pungente di Susanna, ma il personaggio, in particolare nel secondo atto, è rimasto a livello d’abbozzo; decisamente più riusciti gli ultimi due atti, con l’atmosfera complice della «Canzonetta sull’aria» e le sfumature finali di «Deh, vieni, non tardar». Con il Conte (il baritono Dionisyos Sourbis) e Figaro (Guido Loconsolo, presentato come basso ma in realtà anch’egli baritono) ci si trova ancora una volta di fronte a ruoli che dovrebbero essere individuati da una più chiara distinzione timbrica, e tendono invece ad assomigliarsi troppo. Infine, del mezzosoprano Samantha Korbey (Cherubino) si apprezza il miglioramento intervenuto, su una voce difficile, dalla prima presenza in scena al Regio nell’Otello inaugurale, e le si augura di proseguirlo nei restanti mesi di permanenza a Torino.
Tra le seconde parti – i cui interpreti, tranne le due ragazze soliste nel finale III, coincidono con quelli del primo cast – mi limito a ricordare il tenore Luca Casalin, specialista nei bozzetti macchiettistici, per l’appropriatezza e la limpidezza vocale con cui ha incarnato il giudice Don Curzio. E una menzione merita Carlo Caputo, nel suo ruolo di Maestro al fortepiano: è grazie alla sua mano e alla sua esperienza nell’accompagnamento delle voci che tutti gli interpreti, a partire dal protagonista, hanno saputo dare il meglio di sé nei recitativi più che nei numeri musicali.