“La voix humaine” e “Suor Angelica” all’Opera di Firenze

Opera di Firenze – Stagione Lirica 2015/2016
“LA VOIX HUMAINE”
Tragedia lirica in un atto di Jean Cocteau
Musica di Francis Poulenc
Elle  ANNICK MASSIS
“SUOR ANGELICA”
Opera in un atto di Giovacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Suor Angelica AMARILLI NIZZA
La Zia Principessa ANNA MARIA CHIURI
La Badessa ROMINA TOMASONI
La Suora Zelatrice SILVIA BELTRAMI
La Maestra delle Novizie  CLAUDIA MARCHI
Suor Genovieffa  PATRIZIA CIGNA
Suor Osmina  ELISABETTA ERMINI
Suor Dolcina  MARTA CALCATERRA
La Suora Infermiera  VALERIA TORNATORE
Prima Sorella Cercatrice  IRENE MOLINARI
Seconda Sorella Cercatrice  TONIA LANGELLA
Prima Conversa  SIMONA DI CAPUA
Seconda Conversa SILVIA MAZZONI
Una Novizia  PAOLA LEGGERI
Orchestra e Coro, Coro delle Voci Bianche del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Direttore Xu Zhong
Regia e scene  Andrea De Rosa
Costumi  Alessandro Ciammarughi
Luci  Pasquale Mari
Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro Regio di Torino e il Teatro San Carlo di Napoli
Firenze, 24 gennaio 2016
Il suicidio, o per lo meno il tentativo di attuarlo, è il fil rouge che unisce questi due atti unici. Il finale di La voix humaine è lasciato intenzionalmente vago, e se è vero che l’ultima immagine che abbiamo della protagonista è quella in cui si avvolge il filo del telefono intorno al collo (ma a quale scopo non è dato conoscere), è pur vero che il giorno prima aveva messo in atto un un tentativo di autodistruzione, quanto convinto non sappiamo dato che si pente chiedendo aiuto. Io propendo per la tesi che sia stato un tentativo di attrarre l’attenzione, in quanto chi ha veramente intenzione di togliersi la vita generalmente non lo annuncia. Il suicidio di Suor Angelica è al contrario tutt’altro che lucido ma come quello di quasi tutte le eroine pucciniane va inesorabilmente in porto.  Entrambe vengono catturate in un momento di estrema intollerabile tensione, e ad entrambe si chiede di esprimere un’infinita gamma di emozioni, altalenanti ed anche contrastanti, in un lasso di tempo tutto sommato ristretto.  Quello di “Elle”, l’innominata protagonista dell’opera di Poulenc è un vero tour de force per il soprano: per tre quarti d’ora assistiamo, quasi con imbarazzo, al disfacimento psicologico di una donna che si umilia quasi senza dignità per un uomo che non la merita.  Ho assistito a quest’opera due volte la scorsa stagione, per cui, per evitare di ripetermi, rimando alla recensione di uno di questi allestimenti per un’analisi un pochino più dettagliata di questo capolavoro del Novecento.  Anche ad un primo fugace sguardo alla partitura, o anche al solo libretto, si evince immediatamente che La voix humaine è un lavoro in cui (e questa è una caratteristica che deriva direttamente dal dramma teatrale di Cocteau) il risultato finale dipende quasi esclusivamente dalle decisioni interpretative della solista, del regista e in misura minore del direttore d’orchestra.  Eseguirla in forma di concerto come è avvenuto in quest’occasione ne riduce drasticamente l’impatto, soprattutto se l’interprete è un soprano fondamentalmente estranea a questa vocalità.  Annick Massis un’eccelsa belcantista dotata di voce da classico lirico leggero molto bella, duttile, agile ed anche espressiva allorché si muove nel repertorio a lei più congeniale: le sue eroine del primo Ottocento (e mozartiane) sono figure vive e emozionalmente partecipi, oltre che egregiamente cantate.  In quest’esecuzione fiorentina molti fattori le remavano contro: la costrizione della forma oratoriale, il ricorso allo spartito sul leggìo (anche se non vi teneva gli occhi puntati è innegabile che la sua sola presenza contribuisse a far calare di molti gradi la temperatura emotiva) e, in maniera meno incisiva, la natura stessa dello strumento del soprano francese, che gioca le sue carte migliori nel registro acuto: il do 5 su “Folle!” temibile in quanto improvviso e difficile da preparare, e su cui spesso e volentieri si impiccano molte veterane del ruolo, tanto che non di rado viene semplicemente omesso, era emesso dal soprano francese in maniera quasi sfacciata ed insolente.  Al contrario la tessitura essenzialmente grave, talora mediosopranile, sottolineava non di rado la sostanziale, non dico estraneità, ma quanto meno la men che perfetta adesione della voce della Massis alla scrittura di Poulenc.  In ogni caso, ripetiamo, non era questo il limite maggiore alla scarsa resa emotiva, e sospendiamo il giudizio sulla “Elle” di Annick Massis fino al momento in cui potremo vederla calata nel personaggio, sostenuta da una vera e propria interpretazione registica, che era ben presente al contrario nella seconda parte della serata, Suor Angelica.  Andrea De Rosa, curatore della regia e delle scene, assecondato dal costumista Alessandro Ciammarughi, ha trasportato la vicenda nell’Italia meridionale del secondo dopoguerra, ma il cambiamento più radicale riguardava la funzione della protagonista, che invece di essere una suora suora, diventava una di quelle sventurate ragazze che nei corso dei secoli venivano dalle famiglie rinchiuse in convento in seguito a qualche peccato (generalmente di carattere sessuale) da loro commesso, e costrette a rimanervi spesso vita natural durante a lavorare come serve o sguattere non retribuite e a subire le vessazioni delle suore: chi ha avuto modo di vedere il film irlandese Magdalene (paese in cui quest’usanza è terminata solo nel 1996), capirà immediatamente di che cosa stia parlando.  Il convento immaginato da De Rosa è un manicomio grigio, sporco e squallido, gestito da religiose in cui Angelica è l’unica a dimostrare affetto verso le povere pazienti. Lo stanzone, che pare esser la sala di “ricreazione”, è diviso da una lunga grata dal proscenio, spazio in cui a volte Angelica , che ha la chiave del cancello, si reca per prendersi cura delle sue piante e che soprattutto diviene il regno della Zia Principessa, che non passa mai dall’altra parte della grata; poco prima della morte Angelica lascerà una via di fuga alle pazienti del manicomio, una delle quali le offre una bambola di stoffa, in cui la protagonista delirante e agonizzante crederà di vedere il figlioletto morto. Se si escludono le solite incongruenze che sorgono durante simili trasposizioni e cambiamenti, l’operazione nel complesso convince.  Merito anche di una compagnia di canto molto forte, soprattutto nelle parti di fianco, fra cui spiccavano Silvia Beltrami, una Zelatrice dal timbro di vero mezzosoprano sonoro, omogeneo e compatto, e Patrizia Cigna, una Suor Genovieffa dal suono morbido, dolce e perfettamente immascherato.  Ottima anche Romina Tomasoni nel ruolo della Badessa, mentre, pur sfoggiando un bel timbro, Claudia Marchi (la Maestra delle Novizie) ha evidenziato alcune leggere disuguaglianze di emissione.  Su un alto livello di comprimariato si assestavano anche tutte le altre interpreti: Elisabetta Ermini (Suor Osmina), Marta Calcaterra (Suor Dolcina, anche lei come Angelica degradata al ruolo di inserviente), Valeria Tornatore (Suora Infermiera), Irene Molinari (Prima Sorella Cercatrice), Tonia Langella (Seconda Sorella Cercatrice), Simona Di Capua (Prima Conversa), Silvia Mazzoni (Seconda Conversa), Paola Leggeri (Una Novizia).  Anna Maria Chiuri, una cantante che non di rado mi ha lasciato perplesso in altri ruoli, ha qui offerto una prova di alta classe, con un ritratto tridimensionale di questo personaggio, quello della Zia Principessa, sovente ridotto a una caricatura di un’implacabile virago.  Nella sua interpretazione si avvertiva che questa donna non è una sadica psicopata, ma un’anziana nobildonna, mistica per di più, profondamente radicata nelle sua convinzione di aver preso la giusta decisione per il bene della sua famiglia, per il quale anche i singoli membri della stessa devono esser sacrificati se necessario.  Tale concezione si rifletteva anche in una vocalità assai più morbida e omogenea di quanto abbia notato in passato, con discese nel registro contraltile facili e prive di effettacci di petto di dubbio gusto.  Amarilli Nizza è da anni una delle interpreti più richieste per il ruolo di Suor Angelica, e una delle pochissime a render giustizia a tutte e tre le eroine del Trittico.  Da sempre artista disposta a gettarsi senza rete nelle esigenze vocali e interpretative dei vari ruoli, la Nizza è la classica cantante attrice che riesce ad esser quasi sempre convincente grazie alla sua immedesimazione emotiva, anche se, come in questa recita fiorentina, lo strumento appariva spesso riottoso e non sempre incline a piegarsi alle esigenze di un canto legato.  Non pochi erano i momenti in cui era palese lo sforzo della cantante, soprattutto in zona centrale, di trovare un appoggio che le permettesse un’emissione fluida esente da spigolature; “Senza mamma”, cantata con un timbro appannato e un poco ingolato, e conclusa con un la naturale calante, è passata quasi inosservata.  Come al solito, il soprano milanese, dotato di un registro acuto facile e penetrante, gioca le carte migliori quanto la scrittura vocale si fa frastagliata, come in tutta la scena finale, in cui ha fortunatamente sostituito  quei glissandi discendenti previsti da Puccini (piccolo passo falso del compositore) con rantolii agonizzanti ben più strazianti.  In definitiva, nonostante abbia assistito a molte altre sue esecuzioni di Suor Angelica in cui era in forma vocale migliore, anche questa volta Amarilli Nizza è riuscita a centrare il personaggio, facendone una giovane donna che, benché stroncata dall’implacabilità della società, mostra un’indubbia dignità e un pudico spirito di ribellione.  Xu Zhong possiede un innegabile senso del teatro, ma il volume orchestrale in La voix humaine era senz’altro troppo alto e non teneva conto delle caratteristiche vocali della protagonista, prediligendo inoltre tempi invariabilmente veloci che non riflettevano se non in parte gli innumerevoli “cambi di marcia” previsti dalla partitura.  Il direttore cinese ha invece affrontato l’opera pucciniana con un passo molto più congruo producendo sottili cambi dinamici, rimanendo fedele ai segni espressivi della partitura, osservati meticolosamente, lanciandosi con passione negli interludi orchestrali, riempiendo di grazia la musica “ricreativa” della prima parte e imprimendo un angosciante senso di minaccia al lento ingresso della Zia Principessa.
Lunedì 25 gennaio, proprio mentre scrivevo questa recensione, Denise Duval, prima interprete di Thérèse/Tirésias in Les mamelles de Tirésias, nonché creatrice dei ruoli protagonistici di La dame de Montecarlo La voix humaine, è scomparsa all’età di novantaquattro anni.  Fu la cantante prediletta di Poulenc, la sua musa; Poulenc stesso ammise che de La voix humaine, la Duval non fu solo prima interprete, ma co-compositrice.  Persino Blanche de la Force, protagonista de Les dialogues des Carmelites, benché creata da Virginia Zeani in occasione della prima assoluta al Teatro alla Scala, fu in realtà confezionata a misura delle doti vocali e interpretative della cantante francese, che la cantò alla prima parigina alcuni mesi dopo. Foto © Pietro Paolini – TerraProject – Contrasto