Teatro alla Scala: Le infinite sfumature di “Giselle”

Milano, Teatro alla Scala
“GISELLE”
Balletto in due atti di Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges da Théophile Gautier
Musica di Adolphe Adam
Coreografia di Jean Coralli e Jules Perrot
Ripresa coreografica di Yvette Chauviré
Giselle Svetlana Zakharova
Il Principe Albrecht Roberto Bolle
Bathilde Caroline Westcombe
Berthe Monica Vaglietti
Hilarion Marco Agostino
Passo a due dei contadini Vittoria Valerio, Antonino Sutera
Sei amiche di Giselle Marta Gerani, Daniela Cavalleri, Martina Arduino, Stefania Ballone, Denise Gazzo, Lusymay Di Stefano
Myrtha, Regina delle Willi Virna Toppi
Due Willi Alessandra Vassallo, Emanuela Montanari
Direttore Patrick Fournillier
Scene e costumi di Alexandr Benois rielaborati da Angelo Sala e Cinzia Rosselli
Milano, 14 ottobre 2016
 
“Ogni volta l’interpretazione è diversa sia per Giselle sia per Albrecht. I russi restituiscono il balletto mutandone i dettagli e così facendo, cambiano il tessuto della danza stessa. Non si tratta altro che di nuances psicologiche”. Così parlava di Giselle persino Merce Cunningham, il grande maestro della danza contemporanea americana. Un balletto classico prende vita nelle infinite sfumature degli artisti che lo incarnano hic et nunc per rispondere al pubblico di oggi, come all’epoca della sua importazione in Italia (a Torino in prima assolu”ta con la coreografia di Natalie Fitz-James, 1842) fu accolto in modo controverso e addirittura “forgiato al gusto italiano” nella versione scaligera di Antonio Cortesi del 1843 in cinque atti, dove appare anche il personaggio dell’eremita che viene consultato da Gisella – il nome italianizzato – e sua madre per verificare la veridicità dell’amore di Alberto.
Ma per tornare ai nostri giorni, Svetlana Zakharova e Roberto Bolle rinnovano raffinatamente anche le loro precedenti interpretazioni, celebrate dalla critica e dall’uscita di un dvd blockbuster nel 2005.
Mentre persiste il successo della ripresa coreografica di Ivette Chauviré fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso – il periodo di ritorno all’ordine della danza classica dopo gli anni tragici del secondo conflitto mondiale – appare completamente rinnovata l’interpretazione delle parti pantomimiche e la restituzione coreografica della coppia Giselle-Albrecht, oltre ogni intento di tipo filologico o di fedeltà alla tradizione. Ma quale meraviglia generano tali tradimenti…
Zakharova è una Giselle che riesce a far persino dimenticare la mitica Carla Fracci, cara ai milanesi, quanto la Lucia manzoniana che sembrava ispirarla. La naturalezza dell’étoile russa ha stemperato ogni gesto pantomimico attraverso la leggerezza del movimento, che diventa partitura danzata anche quando si tratta di sottrarre gli occhi allo spasimante Albrecht: Giselle rilascia la testa verso il basso per poi farsela alzare da un gesto veloce e impulsivo di Albrecht, desideroso di guardarla negli occhi per conquistarla nonostante una certa ritrosia virginale. Bolle è un principe spavaldo, tanto sicuro di sé e della sua danza, quanto misero nel suo cedere alle convenienze sociali del matrimonio con la principessa Bathilde. Un gesto rivela il suo stato sospeso, di pausa, di gioco, di desiderio che si libera nel villaggio di Giselle: quando Bathilde lo rimprovera di non essere vestito adeguatamente, Albrecht le risponde “la mia testa era altrove, cacciavo”, con una precisa analogia allo stato onirico di James ne La Sylphide.
Il gioco di nascondersi, sorprendersi, inseguirsi, afferrasi costituisce il filo rosso che disegna le relazioni fra i due innamorati, una prossemica che rivela la sempre più intima fiducia, nonostante i segnali inutili di Berthe o di Hilarion, che cercano di preservare Giselle dal mal di cuore, dovuto al troppo danzare che non è altro che il troppo amare. E il passo a due dei contadini contribuisce esattamente a rafforzare il senso del desiderio e dell’entusiasmo generato dall’amore: Vittoria Valeria e Antonino Sutera, alter ego di Zakharova e Bolle, sono brillanti, leggiadri e precisi nel loro allegro, adagio, salti, equilibri sulle punte e coda finale. Il trionfo dell’Amore.
Ma una spada divide la felicità della povera Giselle e del nobile Albrecht: la spada ritrovata da Hilarion per rivelare il traditore. E Giselle impazzisce per il dolore, si getta con leggerezza fra le braccia materne che sole possono accoglierla e di fronte all’amato-odiato Albrecht riceve l’ultimo sguardo, il colpo mortale che la trafigge e la fa cadere a terra – con i piedi sempre a punta, perché la danza come l’amore, non muore mai, nonostante tutto.
E così il secondo atto si concentra intorno alla tomba di Giselle, che a mezzanotte viene accolta nel regno delle Willi, pur continuando ad amare Albrecht, che le porta quei gigli, simbolo di castità, quasi a discolparsi della sua inettitudine. Myrtha, la regina delle Willi, comanda con il ramoscello di mirto di far danzare fino alla morte anche Albrecht, come già successo per Hilarion. Ma Giselle si oppone a questo rito fatale e protegge Albrecht da Myrtha e dal corpo di ballo delle Willi eteree e crudeli, aprendo le sue lunghe braccia e usando il suo corpo come scudo.
Cos’è altro il passo a due in cui il Leitmotiv del loro amore viene ulteriormente rallentato nella esecuzione orchestrale? Uno stratagemma sublime – di tradizione russa come ne Il Lago dei cigni – per far rivivere un’ultima volta la loro danza insieme, l’ultimo atto d’eterno amore fatto di promenade, attitude penché, lift…come se l’anima di Giselle, ancora attaccata alla sua vita danzata potesse solo in questo modo distaccarsi dal suo corpo e dall’amato per svanire definitivamente all’alba. E ad Albrecht non resta che allontanarsi da lei con in mano la rosa bianca che non ha mai colto… (ph. Brescia e Amisano)