Napoli: “Pulcinella” di Francesco Nappa per il San Carlo Opera Festival  

Napoli, San Carlo Opera Festival 2019
“PULCINELLA”
Musica Igor Stravinskj, Mario P. Costa, Peder Mannerfelt
Coreografia Francesco Nappa
Installazioni Lello Esposito
Pulcinella DANILO NOTARO
Pimpinella GIOVANNA SORRENTINO
Furbo SALVATORE MANZO
Capo banda GIUSEPPE CICCARELLI
Soprano LAURA CHERICI
Tenore FRANCESCO CASTORO
Basso MIRCO PALAZZI
Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Maurizio Agostini
Direttore del Corpo di Ballo Giuseppe Picone
Napoli, 10 giugno 2019
Torna al San Carlo il lavoro di Francesco Nappa ispirato al simbolo per eccellenza della città di Napoli, il “Pulcinella” creato nel 2017 per il Massimo partenopeo in una visione tutta personale di una delle pietre miliari del repertorio novecentesco. Per l’analisi drammaturgica rimando a uno studio da me pubblicato sulla rivista scientifica «Sig.Ma», dal quale si estraggono alcune riflessioni (vedi il link).  Qui mi limiterò a sottolineare un concetto che ha avuto una certa fortuna nei pieghevoli del San Carlo (e che, ad oggi, ancora compare lievemente modificata ma chiara nella sua natura e senza attribuzione sul sito del Teatro sotto la voce dedicata al balletto, nonostante le ripetute segnalazioni della sottoscritta), ossia che in questa creazione l’evoluzione del soggetto è un pretesto per destrutturare un personaggio ricostruendolo in una modernità che non ha rinunciato agli aspetti più primitivi della sua storia, in una comunità che veste costumi ipermoderni ma usa un linguaggio coreico che sa far sfoggio della  tecnica e della giusta mimica attingendo, nei momenti caratterizzanti, al repertorio gestuale partenopeo e costruendo quadri di un impressionismo contemporaneo efficace, specie nelle sequenze descrittive che si dipanano attraverso le azioni delle masse. Di qui la scelta di svincolarsi dalla tradizione non solo coreica, ma anche da una tradizione secolare che appartiene alla storia della maschera tout court. È universalmente noto quanto essa (detta dai teatranti napoletani, “a mezza sòla”) abbia dominato le scene e abbia trovato, reincarnandosi in diverse altre maschere di paesi di cultura non mediterranea come l’anglosassone Mr. Punch o l’asiatico Petruk, declinazioni differenti senza perdere la forza originaria, divenendo peraltro oggetto di rappresentazioni artistiche pittoriche, scultoree, letterarie, cinematografiche e, con Léonide Massine, protagonista di una storica messa in scena  ballettistica. I viaggi di Pulcinella e le sue contaminazioni con altre culture hanno permesso alla maschera di rinnovarsi costantemente, sia pure preservando gran parte della propria natura, per incarnare lo spirito di un popolo che non muore mai. La sua straordinaria forza mediatica la rende strumento di comunicazione per il lecito e l’illecito, il detto e il non detto, il comico e il tragico. Pulcinella, al di là di ogni disquisizione sulla sua origine e sulla sua natura, è una maschera “radicata in una storia teatrale secolare” – come scrive Mattia Ringozzi – che ha trovato il proprio spazio in ambiti “di utilizzo ‘alto’ […] approfondito da autori ed intellettuali al fine di raccontare, o più spesso criticare il paese in maniera diversa, talvolta attraverso una sottile simbologia”. Esiste poi il Pulcinella popolare, in declinazioni sia malinconiche sia sovversive, che ha dalla sua parte la forza dirompente della parola, poiché tradizionalmente si esprime, e ha la meglio sui suoi interlocutori, con un “diluvio verbale” che si inquadra in un sistema comunicativo tipicamente teatrale fatto di più codici: fisico, spaziale, scenografico. I diversi cambiamenti che i grandi interpreti hanno apportato al carattere della maschera, se da una parte ne hanno “corrotto” l’aspetto  originale,  dall’altra  ne  hanno  determinato  la sopravvivenza e la freschezza agli occhi di un pubblico sempre nuovo. Da Petito a Scarpetta fino a Eduardo, la maschera di Pulcinella – sensibile all’influenza pirandelliana – si fa uomo e di questo diviene metafora. Per quanto riguarda il teatro di prosa, la svolta storica si rileva nel passaggio dal Pulcinella petitiano a quello scarpettiano per l’approdo borghese del personaggio, in un momento storico di transizione fra il XIX e il XX secolo. Volendo immaginare un percorso analogo nella danza teatrale, c’è da sottolineare che l’evoluzione della maschera si verifica in assenza di una delle sue caratteristiche principali: la parola. In quest’ultimo ambito, difatti, il suo carattere è per tradizione affidato alla gestualità, in un marcato utilizzo della schiena e degli arti. La recente visione della messa in scena di Nappa risiede in una risistemazione dell’oggetto maschera, dal volto della persona fisica allo spazio scenico, strumentale a una sua umanizzazione progressiva; la gestualità non necessita, così, di essere esasperata a causa della copertura del volto, ma è libera di delineare un Pulcinella-uomo tra altri uomini. La maschera che l’uomo-Pulcinella qui non indossa è calata dall’alto (con qualche distrazione dei macchinisti per la recita in disamina) in diverse misure e insieme agli oggetti della superstizione popolare. Pulcinella la vede e in essa trova il riflesso di se stesso, o meglio di quello che la tradizione vede in lui, che nel lavoro di Nappa è ‘solo’ un uomo innamorato. La persona esce dal personaggio: le 140 installazioni di Lello Esposito, scultore e pittore napoletano che lavora sui simboli della città declinandoli nelle forme più diverse, fanno da scenografia ma anche da elemento che ricostruisce il personaggio tradizionale. La maschera che Pulcinella non indossa – in quanto elemento di separazione tra individuo e società – è così sempre in scena.

L’humanitas che Nappa fa emergere trova una propria “voce” già nell’incipit, poiché la partitura che Igor Stravinskij seppe abilmente ri-creare, da Giovanni Battista Pergolesi, Domenico Gallo, Fortunato Chelleri, Alessandro Parisotti e Anonimo subisce qui inserti musicali di natura diversa, in tre punti drammaturgicamente strategici. Il primo inserto è collocato in apertura, in cui il solo iniziale di Pulcinella prende forma ariosa sulle note della canzone Era de maggio, del 1885, su versi di Salvatore Di Giacomo e musica di Mario Pasquale Costa. E questo per due ragioni dichiarate: la prima è il riferimento al mese in cui venne messa in scena la prima assoluta del balletto di Léonide Massine, il 15 maggio del 1920 all’Opéra di Parigi, mentre la seconda riguarda il contenuto del testo, in cui il ritorno dall’amata nel mese delle rose è il ritorno di Pulcinella dalla sua Pimpinella. Così gli altri due inserti musicali (Lines describing circles di Peter Mannerfelt e la litania della Madonna delle Grazie) creano un ritmo interessante nella drammaturgia voluta dal coreografo. Risulta evidente che il lavoro di Nappa sia stato incanalato nei binari di un corpo di ballo dalla natura classica. E questo non è un aspetto trascurabile, poiché le possibilità tecnico-stilistiche del danzatore determinano il risultato scenico di un lavoro che configura come un processo di incorporazione che dovrà, a sua volta, rendere intellegibili al pubblico le idee del coreografo – spesso indotto piegare le proprie idee a un linguaggio fruibile da parte dei tersicorei. Difatti la risposta dei corpi dei danzatori non è apparsa, specie nella recita seguita per questa edizione, adeguata al linguaggio richiesto, mostrandosi scolastica e non fluida: poco precisi i momenti di insieme e l’impressione generale è stata quella di una noncuranza trasandata. Nessun evidente coinvolgimento emotivo nelle masse, fatte di singole monadi, ognuna impegnata per sé. Anche i protagonisti non hanno assecondato l’intenzione del movimento: poco fluido nella gestione del vocabolario richiesto Danilo Notaro (danzatore di bel talento per il balletto classico) nel ruolo di Pulcinella  – ricordiamo nel primo cast Carlo De Martino, insieme a Claudia D’Antonio,  con ottimi risultati per la passata edizione – mentre la Pimpinella di Giovanna Sorrentino non aggiunge nulla di proprio ed esegue con impaccio le sequenze prescritte. Anche chi si distingue nei virtuosismi tecnici appositamente cuciti addosso dall’autore, ovvero il brillante Salvatore Manzo, non presenta uno stile adatto, benché sappia compensare calamitando l’attenzione del pubblico sulla sua tecnica eccezionale.
D’altra parte, la mancanza di un investimento economico che permetta l’ampliamento dell’organico fa sì che il numero esiguo di danzatori faccia ricadere i ruoli sempre sulle stesse individualità, non permettendo una crescita di confronto più ampia, né di poter trovare sempre persone giuste per un determinato ruolo. Un pensiero del genere, in un momento in cui anche i pochi precari faticano a essere stabilizzati, potrebbe sembrare fuori luogo, ma in un Ente come il San Carlo l’ambizione dovrebbe essere altissima  – come lo sono le aspettative del pubblico – perché solo puntando al massimo è possibile immaginare produzioni che reggano il confronto internazionale.
Alquanto sotto tono l’esecuzione canora dei tre cantanti implicati in partitura Laura Cherici (soprano), Francesco Castori (Tenore), Mirco Palazzi (Basso) – così come la prestazione dell’orchestra diretta dal Maestro Maurizio Agostini.
Nonostante l’afa di una pomeridiana estiva, il Teatro ha registrato una platea e tre ordini di palchi quasi esauriti, a dimostrazione del successo del titolo proposto e della voglia di andare ad applaudire la danza. Ultimo appuntamento con Pulcinella venerdì 12 luglio, con Sara Sancamillo nel ruolo di Pimpinella e Alessandro Staiano in quello del Capobanda. (foto Francesco Squeglia)