Torino, Teatro Regio: “Tosca”

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera e di balletto 2019/2020
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal dramma “La Tosca” di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca ANNA PIROZZI
Mario Cavaradossi MARCELO ÁLVAREZ
Il barone Vitellio Scarpia AMBROGIO MAESTRI
Il sagrestano ROBERTO ABBONDANZA
Spoletta BRUNO LAZZARETTI
Cesare Angelotti ROMANO DAL ZOVO
Sciarrone GABRIEL ALEXANDER WERNICK
Un carceriere GIUSEPPE CAPOFERRI
Un pastorello VIOLA CONTARTESE
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino, coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” di Torino
Direttore Lorenzo Passerini
Maestro del coro Andrea Secchi
Maestro del coro di voci bianche Claudio Fenoglio
Regia Mario Pontiggia
Scene e costumi Francesco Zito
Luci Bruno Ciulli
Produzione Teatro Massimo di Palermo
Torino, 19 ottobre 2019
Dopo l’interlocutorio allestimento de “Les pêcheurs des perles”, il Teatro Regio torna a Puccini, compositore con cui il teatro subalpino ha storicamente un rapporto privilegiato, e il risultato è subito di ben altra qualità. Peraltro, di tutti i titoli del catalogo pucciniano Tosca è forse uno dei meno frequenti a Torino e in più l’ultima produzione – risalente al gennaio 2012 – non aveva convinto molto per l’insoddisfacente regia di Grinda e per un cast non pienamente all’altezza delle aspettative.
La nuova produzione ha reso invece pienamente giustizia al capolavoro pucciniano pur con qualche inevitabile puntualizzazione. In primo luogo, la parte visiva si è rivelata perfettamente all’altezza. Creato per il Massimo di Palermo, lo spettacolo di Mario Pontiggia – con scene e costumi di Francesco Zito – si riallaccia alla più nobile tradizione relativa a quest’opera rimanendo fedele al suo contesto  – così dettagliatamente definito nel libretto da rendere problematica qualche variazione – cercando di riproporlo con immagini di suggestiva bellezza fisica e di animarlo in modo teatralmente vitale. Da entrambi questi punti di vista lo spettacolo ha pienamente soddisfatto. Nel primo atto la scenografia riproduce Sant’Andrea della Valle stravolgendone però le prospettive e ribaltando la cupola del Maderno il cui interno risultava visibile in prospettiva; il secondo, che ritrae le stanze di Palazzo Farnese decorate di stucchi e arazzi, aveva nell’insieme un taglio suggestivamente pittorico; originale la scenografia del terzo visto dall’interno della loggia di Giulio II con, ai lati delle quinte, porte che si aprono sulle scale che conducono all’appartamento di Alessandro VI.
La recitazione è curata, le scene d’insieme hanno il giusto movimento, l’inserimento di alcune controscene non guasta ma aggiunge una nota leggera dove il libretto la concede – il sagrestano che, ritirando il paniere, ne approfitta per rubare un po’ di salame – oppure contribuisce a creare elementi di tensione come il patriota che irrompe durante il “Te Deum” sventolando la bandiera della repubblica romana prima di essere violentemente gettato a terra dagli scherani di Scarpia.
Passando al versante musicale, va in primo luogo riconosciuto il merito a Lorenzo Passerini di aver salvato queste prime recite dopo che l’indisposizione di Daniel Oren aveva rischiato di comprometterne l’andata in scena. Il giovanissimo direttore ha saputo reggere con sicurezza le fila dello spettacolo offrendo una direzione forse non troppo personale sul piano interpretativo ma di buona resa complessiva dimostrando di possedere qualità interessanti anche se ancora da maturare. Passerini ha saputo sempre garantire la perfetta tenuta fra buca e palcoscenico e ha accompagnato con sensibilità i cantanti anche se, a tratti, si è percepita una comprensibile tensione.
Nell’insieme più che apprezzabile il trio dei protagonisti su cui si regge gran parte l’opera. Anna Pirozzi (Floria Tosca) dispone di un materiale vocale impressionante per potenza ed estensione; l’artista può sfoggiare, infatti, un’autentica montagna di suono capace di riempire il teatro come poche altri voci. Se il timbro è bello, caldo e morbido, con piacevoli screziature brunite specie nel settore medio grave, l’emissione però non è sempre impeccabile e specie nei momenti più lirici emergeva qualche incertezza di controllo. Sul piano espressivo la sua è una lettura molto drammatica, molto passionale che si esalta nella estroversione del canto; a ben vedere si tratta di un approccio un po’ “semplicistico”, “vecchio stile”, mentre, almeno in alcuni punti, sarebbe stato preferibile un gioco espressivo più vario e sfumato ma qui si rischia di scivolare nella sfera del gusto personale.
Marcelo Álvarez (Mario Cavaradossi) è apparso nel complesso in buona forma. Certo i lunghi anni di carriera si sentono: la voce – sempre di grande suggestione per timbro e colore – a tratti risulta impoverita e la tecnica di canto non è mai stata un portento di ortodossia specie nel passaggio verso gli estremi acuti in cui un senso di fatica era ben percepibile. La voce però nell’insieme ha mantenuto il suo fascino di fondo, il personaggio è perfettamente posseduto e l’interpretazione – seppur senza particolari ricerche interpretative – arriva diretta agli spettatori in virtù di una generosità che non gli si può certo negare. Rispetto ad altre occasioni è apparso più misurato nell’accento e anche – per certi aspetti – nella recitazione.
Nessun appunto da avanzare allo Scarpia di Ambrogio Maestri, maestoso nella figura e nella voce, perfetto nella dizione, ottimamente cantato e ancor meglio interpretato. Momento culminante dello spettacolo, il finale del primo atto dove l’imponente cavata di Maestri, unita alla sempre impeccabile prova del coro torinese, ha offerto una lettura veramente elettrizzante del “Te Deum”. Se ben note sono le qualità vocali di Maestri, quello che maggiormente ha colpito è il taglio interpretativo dato al personaggio. Il suo è uno Scarpia elegantemente aristocratico, mai scomposto o sopra le righe, sempre in possesso di totale autocontrollo ancor più pericoloso nella sua malvagità lucida e freddamente burocratica; in definitiva è apparso un libertino dalla raffinata crudeltà autenticamente sadiana.
Ottima presenza vocale e totale assenza di inflessioni caricaturali per il Sagrestano di Roberto Abbondanza; Bruno Lazzaretti, che ricordavamo come interprete mozartiano e barocco, è uno Spoletta in punta di forchetta, impeccabile tanto vocalmente quanto dal punto di vista interpretativo. Buoni mezzi vocali per l’Angelotti di Romano Dal Zovo e funzionali alla riuscita complessiva le prove di Gabriel Alexander Wernick (Sciarrone) e Giuseppe Capoferri (Un carceriere).
Come sempre impeccabile la prova del coro del Teatro Regio allo stesso modo del coro di voci bianche e brava e ben impostata Viola Contartese nei panni del Pastorello giustamente affidato ad una voce bianca. Sala stranamente non gremita considerando la popolarità del titolo – forse per l’orario – ma successo calorosissimo per tutti gli interpreti.