Teatro Coccia di Novara: “Suor Angelica” & “Cavalleria rusticana”

Novara, Teatro Coccia, Stagione d’Opera 2019-2020
SUOR ANGELICA
Opera in quattro quadri su libretto di Giovacchino Forzano.
Musica di Giacomo Puccini
Suor Angelica MARTA MARI
La Zia Principessa ANASTASIA BALDYREVA
La Badessa LUCREZIA VENTURIELLO
La Suora Zelatrice ELENA CACCAMO
La Maestra delle novizie EVA MARIA RUGGIERI
Suor Genovieffa GIULIA DE BLASIS
Suor Osmina VERONICA NICCOLINI
Suor Dolcina LAURA ESPOSITO
La Suora Infermiera VERONICA SENSERINI
Prima novizia VALENTINA SACCONE
Seconda novizia LAURA SCAPECCHI
Prima cercatrice ISABEL LOMBANA MARIÑO
Seconda cercatrice SOFYA YUNEEVA
Prima conversa SABRINA SANZA
Seconda conversa GALINA OVCHINNIKOVA
CAVALLERIA RUSTICANA
Melodramma in un atto, su libretto di Giovanni Targioni Tozzetti e Guido Menasci, dalla omonima novella di Giovanni Verga
Musica di Pietro Mascagni
Santuzza DONATA D’ANNUNZIO LOMBARDI
Turiddu AQUILES MACHADO
Alfio SERGIO BOLOGNA
Mamma Lucia ANASTASIA BOLDYREVA
Lola MARTA MARI
Orchestra Filarmonica Pucciniana
Coro Ars Lyrica
Coro di Voci Bianche della Fondazione Teatro Goldoni
Direttore 
Daniele Agiman
Maestro del Coro Chiara Mariani
Maestro del Coro di Voci Bianche Laura Brioli
Regia Gianmaria Aliverta
Scene Francesco Bondì
Costumi Sara Marcucci
Luci Elisabetta Campanelli
Nuovo allestimento in coproduzione Teatro Goldoni di Livorno, Teatro Coccia di Novara e Teatro Sociale di Rovigo
Novara, 14 dicembre 2019
Pochi sanno che Puccini e Mascagni, i due giganti della musica verista, erano amici, e addirittura erano stati coinquilini a Milano. Non ci deve dunque apparire troppo strana la scelta del Teatro Coccia di Novara di anteporre alla sempre celebrata “Cavalleria rusticana”, la pucciniana “Suor Angelica”, secondo capitolo del “Trittico”, e, di conseguenza, operina a sé, di gusto eminentemente crepuscolare (l’ispirazione nemmeno troppo velata è la “Sonata in bianco minore” di Sergio Corazzini, accanto a Govoni, Palazzeschi, Pascoli, Ada Negri e compagnia), di certo meno famosa dell’atto unico di Mascagni. La produzione di questo dittico riserva però risultati alterni. Senza dubbio i punti di forza sono alcune componenti del cast: Marta Mari è una Suor Angelica convincente, dalla linea di canto pulita e il curatissimo fraseggio. Il coinvolgimento scenico che dimostra, spesso fatto di piccoli dettagli, si ritrova pienamente nel canto, con bellissimo dispiego di  mezzevoci e filati. La ritroviamo, poi, nell’insolito ruolo, usualmente mezzosopranile, di Lola: anche qui bella la resa vocale, meno quella scenica – senza dubbio penalizzata da un costume poco adatto alla sua figura. In ogni caso, anche come Lola la giovane interprete bresciana può ben dirsi soddisfatta del suo lavoro. Altrettanto positiva la prova di Donata D’Annunzio Lombardi, una Santuzza appassionata ma capace di grande cura espressiva, anche scenicamente molto presente. La D’Annunzio Lombardi si riconferma vocalista dalla tecnica solida e così come altre volte (soprattutto nei ruoli del Puccini maturo), delinea con naturalezza le molte sfumature che il grande Verismo vuole conferire ai suoi personaggi (spesso, a torto, grossolanamente identificati solamente con indoli aggressive e volumi roboanti). Giudizio favorevole anche per il mezzosoprano russo Anastasia Boldyreva, chiamata a mettere in luce una tessitura contraltile sicura ed elegante. Il fraseggio è senz’altro da arricchire, specialmente nel ruolo della Zia Principessa – ruolo tra i più complessi della produzione per contralto. Come Mamma Lucia, invece, la situazione è decisamente più semplice, anche se fatichiamo a vedere l’attraente Boldyreva nei panni dell’anziana vedova – vocalmente qualche tinta più senile contribuirebbe a rendere più credibile l’interpretazione. Per quanto riguarda i vari ruoli in  “Suor Angelica”, l’esito d’insieme è senz’altro buono, riuscendo a dare davvero una resa collettiva delle abitanti del chiostro, delle loro speranze condivise, della loro familiarità; le prove che si fanno maggiormente ricordare in positivo sono quelle della Badessa di Lucrezia Venturiello (voce piena e ricca di colori, al servizio di un ruolo ben caratterizzato) e di Giulia de Blasis, una Suor Genovieffa dalla linea di canto pulita e dal timbro  pastoso e morbido. Del cast maschile di “Cavalleria rusticana”, l’Alfio di Sergio Bologna è interpretato con la sicurezza di un artista di grande esperienza, pur senza troppo piglio; il Turiddu di Aquiles Machado (forse non in serata), è stato manchevole sia dal punto di vista tecnico-vocale che da quello scenico, che per la dizione approssimativa. Certo, il timbro è bello, la sonorità ampia e sana, ma non bastano queste caratteristiche a costruire a dovere un personaggio, ancor più uno complesso e sfaccettato come quello creato da Verga. Senz’altro il contesto realizzato sul palco dal team creativo non si può definire d’aiuto perché la credibilità o la grazia emergano: la regia di Gianmaria Aliverta alterna, infatti, (pochi) lampi di genio a diverse scelte per lo meno opinabili – talvolta guidate da facili simbolismi (come le vesti schizzate di fango delle suore, ad eccezione, naturalmente, dell’immacolata Suor Angelica), altre da ragioni imperscrutabili (il costume della Zia Principessa, moderno, in un contesto che strizza, sia da libretto che da scenografie, l’occhio al Seicento). Bella l’idea di una scena unica “rivoltata” per entrambi gli atti unici: “Suor Angelica” ambientata all’interno di un monastero, “Cavalleria” nell’adiacente Chiesa e immediatamente fuori da essa. Simpatiche, ma fuori luogo, le caratterizzazioni di alcuni personaggi: la Suora Zelatrice sadomaso e arcigna fuor di misura, che pare uscita da “L’indiscreto fascino del peccato” di Almodóvar (pellicola che adoriamo, ma troppo distante dalle diafane atmosfere crepuscolari), e un Alfio venditore ambulante di chincaglierie religiose kitsch e variopinte, che perde la sua nota sanguigna e ostentatamente virile per trasformarsi in un grottesco imbonitore (con, peraltro, un Bologna in evidente imbarazzo). Le scene di Francesco Bondì sono belle, forse un po’ troppo ridondanti (i fondali in velluto rosso alla lunga stemperano l’atmosfera, così come il cuore gigante pugnalato, più adatto al tatuaggio di un marinaio che al rigore che dovrebbe contraddistinguere queste opere), ma ben costruite e ben congeniate sui vari livelli – un brillante uso delle proiezioni accanto a scenografie à l’ancienne. Discutibili ci sono parsi, invece, i costumi di Sara Marcucci, tra una Badessa/Papessa e una Lola mortificata in una modesta camicetta e minigonna H&M. Ottima la resa del Coro Ars Lyrica diretto da Chiara Mariani, specialmente nella potente ed evocativa Messa dell’opera di Mascagni. La direzione del Maestro Daniele Agiman ci è parsa generalmente corretta, col pregio di tenere pienamente sotto controllo scena e buca. Senz’altro le ricche parti orchestrali di “Cavalleria” gli hanno concesso di far emergere lo stesso languore riservato a “Suor Angelica”, più che la bruciante energia che si vorrebbe trasudasse da quelle pagine. Il pubblico, nella non gremita sala del Coccia, riconosce a tutti i propri meriti con applausi generosi sul finale, mentre l’unico strappato a scena aperta è quello alla celebre “Senza mamma”, giusto coronamento della notevole prova di Marta Mari.