Festival Bolzano Danza 2021: “Rivisitazioni”

Festival Bolzano Danza 2021, Teatro Comunale
“LES CYGNES SONT MORTS!”
Coreografia e interpretazione: Radhouane El Meddeb
Sounds creation: Jonathan Reig
Artistic Collaborator: Philippe Lebhar
Musica: “Le Cygne” di Camille Saint-Saëns (Le Carnaval des animaux)
Costumi: EKJO
Produzione La Compagnie de SOI
Prima assoluta
“CHILDS, CARVALHO, LASSEINDRA, DOHERTY”
Coreografie Lucinda Childs, Tânia Carvalho, Lasseindra Ninja, Oona Doherty
Concetto (La)Horde – Marine Brutti, Jonathan, Debrouwer, Arthur Harel
Produzione Ballet National de Marseille – (La) Horde
Interpreti: Sarah Abicht, Daniel Alwell, Mathieu Aribot, Nina-Laura Auerbach, Isaia Badaoui, Malgorzata Czajowska, Myrto Georgiadi, Vito Giotta, Nonoka Kato, Yoshiko Kinoshita, Angel Martinez Hernandez, Tomer Pistiner, Aya Sato, Dovydas Strimaitis, Elena Valls Garcia, Nahimana Vandenbussche
Prima Nazionale
Bolzano, 22 luglio 2021
Conosciuto e apprezzato al festival col toccante assolo poetico ed estremamente intimo quanto universale di amore per il padre, lasciato senza la possibilità di un addio (Bolzano Danza, 2017), Radhouane El Meddeb ritorna a Bolzano espressamente invitato dalla Fondazione Haydn per REQUIEM (SIA’ KARA’), un balletto su musiche del compositore Matteo Franceschini, dedicato a tutte le vittime del Covid. Il coreografo tunisino rimane tuttavia un solista per vocazione, uno stilnovista per nobiltà d’animo, una persona dotata della sensibilità in grado di cogliere lo spirito delle persone che ci hanno lasciato per evocarle dinnanzi ai nostri occhi. In LES CYGNES SONT MORTS! sono le anime dei numerosi migranti annegati nel Mediterraneo a rivivere grazie a lui che stavolta si esibisce nel foyer del piano nobile del teatro stabile cittadino; scenografia spoglia con un abbozzo di lago dei cigni in fondo: un mare alla de Chirico, che luccica d’oro e sembra fatto con le coperte termiche che avvolgono i profughi al loro arrivo sulle coste italiane. El Meddeb è al solito scalzo con addosso short e camicione nero di Ekjo Paris. A differenza di À MON PÈRE si muove molto attraverso lo spazio, si mostra in volto, occhi bassi a terra sul grande pavimento marmoreo che luccica e riflette i suoi movimenti come uno specchio d’acqua. Descrive spirali incedendo a passettini brevi e raccolti e, a braccia tese, gira su se stesso. Mostra i polsi nell’atto di prostrarsi a noi, ma non vi ravvediamo patetismo; tuttavia la reiterazione dell’atto giunge a sottolineare le note de “Le Cygne” di Saint-Saêns e questo ci commuove.
Il cigno ha il collo lungo, è tenuta alta e fiera la sua testa come alta la devono tenere quelli che guardano in faccia il proprio destino e lo affrontano, comunque vada. I migranti non hanno aspettative, ma forte è in loro il desiderio di rimanere a galla in un tratto di mare attraverso il quale la loro persona traghetta dalla sopravvivenza dalle sopraffazioni alla dignità di una vita decorosa. “Dalle mie parti a testa alta / Che se la abbassi per loro è fatta / Lo sai che io da questa parte / Ai piedi non ho più le scarpe / E quello che succede in mare / Quando perdi l’orizzonte?”. Sono questi i versi centrali della canzone “Dalle mie parti” dei Negramaro, brano vincitore dell’ultimo Premio Amnesty International Italia (il premio che unisce musica e diritti umani), per ribadire che l’amor proprio nutre l’orgoglio e questo deve avere la meglio sull’indifferenza della gente. Dopotutto proprio la “danza tremula” della famosa Anna Pavlova ha dato il titolo “La morte del cigno” alla sua interpretazione, per cui ciò che si vede e si gode di un balletto è ciò che risulta dalla combinazione di tecnica ed espressività offerta dal virtuosismo e dalla sensibilità dell’artista.
Proprio l’intento di regalarci emozioni sarebbe stato negli obiettivi delle quattro coreografe, Lucinda Childs, Tânia Carvalho, Lasseindra Ninja, Oona Doherty, grazie ai ballerini della compagnia di Marsiglia. I loro balletti, senza titolo, andati in scena in sala grande solo in parte l’hanno esaudito. La prima coreografia della Childs è pura espressione coreutica composta da innumerevoli plié relevé che vorrebbero forse alludere al “Grand pas” di Giselle, quando ella si eleva con tanta grazia e leggerezza ma porta con sé i patimenti del cuore. Tuttavia la danza contemporanea dalla danza classica non mutua il gesto come parola che serve per esprimere e raccontare qualcosa di preciso, o significare concetti. Quindi abbiamo trovato solo visivamente belle le varie parti del balletto giocate sul contrasto dei colori (dall’ocra al turchese) e della musica (da Nyman allo swing), anche se l’eterogeneità del corpo di ballo era fuori luogo: troppo visibile la differenza tra l’impostazione, l’aspetto fisico e la tecnica dei diversi ballerini e ballerine. Il secondo balletto, a cura della Carvalho ci mostra un gruppo coeso di danzatori che, sulla base sonora in stile Kabuki, compongono figure d’insieme come dei quadri: finali en ralenti con pose plastiche. Sinceramente ci sfugge il riferimento all’archetipo del cigno, leitmotiv del festival bolzanino. Notiamo dei calzini rossi, vistosi, indossati nella prima parte, sui costumi bianchi e nella seconda, su quelli neri, come trait d’union, ma nulla che voglia andare oltre la tecnica espressa nei loop della coreografia che fanno da quinta scenica agli assoli dei ballerini sulla ribalta. Dopo l’intervallo, il Ballet Marseille si è esibito nella coreografia di Lesseindra, la ballerina originaria della Guiana francese: un balletto en travesti molto glamour, diciamo pure uno spettacolo queer, già visto e rivisto, di quelli diventati un classico per l’entourage LGBTQ+ che ama Madonna e Lady Gaga e frequenta le disco di mezzo mondo. Il giovane rapper americano Lil Nas X una cosa del genere l’ha già sdoganata, anzi è andato, a ragione, ben oltre, rivendicando il suo orientamento sessuale. Il suo recentissimo “Industry baby” è un chiaro ed esplicito desiderio di inclusione per la potente forza con cui rivendica la sua identità. In fine il balletto della Doherty che non si è distinto, neanch’esso, né per tecnica né per espressività per regalarci un’emozione e lo abbiamo già dimenticato.  Foto di Andrea Macchia / Bolzano Danza