Cremona, Teatro Ponchielli, Festival Monteverdi 2023: “L’incoronazione di Poppea”

Cremona, Teatro Ponchielli, Monteverdi Festival 2023
L’INCORONAZIONE DI POPPEA”
Dramma per musica in un prologo e tre atti su libretto di Giovanni Francesco Busenello

Musica  Claudio Monteverdi
Poppea ROBERTA MAMELI
Nerone FEDERICO FIORIO
Ottavia JOSÈ MARIA LO MONACO
Ottone ENRICO TORRE
Seneca FEDERICO DOMENICO ERALDO SACCHI
Arnalta CANDIDA GUIDA
Drusilla CHIARA NICASTRO
Lucano/1° soldato/2° famigliare LUIGI MORASSI
Liberto/2° soldato/console LUCA CERVONI
Mercurio/3° famigliare/tribuno/littore MAURO BORGIONI
Nutrice/1° Famigliare DANILO PASTORE
Fortuna FRANCESCA BONCOMPAGNI
Amore/Valletto PAOLA VALENTINA MOLINARI
Pallade/Virtù/Damigella GIORGIA SORICHETTI
Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua
Direttore  Antonio Greco
Regia, scene, costumi e luci Pier Luigi Pizzi
Datore luci Oscar Frosio
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli in coproduzione con OperaLombardia, Teatro Verdi di Pisa, Teatro Alighieri di Ravenna
Cremona, 23 giugno 2023
Corona la quarantesima edizione del Monteverdi Festival questa nuova “Pizzesca” produzione della Coronatione di Poppea, estremo lavoro teatrale del Divin Claudio. Estremo biograficamente, ma anche artisticamente: la ricerca degli “affetti” perviene qui, nel vivo impasto umano della corte neroniana, ai suoi massimi esiti: ben lungi dalla schiettezza degli eroi cortigiani dell’Orfeo. Anzi, anticortigiano fin nel midollo è il pensiero politico di Busenello, l’indiscusso e, almeno al suo tempo, principale Autore dell’opera. Perché invece la monteverdianità del capolavoro è oggetto di misurazioni critiche; soprattutto per quel celebre, geniale, sempre attesissimo finale duettato. È considerata la prima opera in musica di soggetto storico, e non inaugura tuttavia il genere. Quello storico, a ben guardare, è più un pretesto: per un’opera d’argomento filosofico.Delle due partiture arrivate a noi, una veneziana e una napoletana, con ogni probabilità discendenti da un medesimo capostipite latitante, il Maestro Antonio Greco ha scelto la prima, ricorrendo alla seconda per i ritornelli strumentali. E poi, allo strumentale napoletano a quattro parti, ne ha aggiunta una quinta scritta per quest’occasione con l’Orchestra Monteverdi Festival/Cremona Antiqua. La sua concertazione serve nobilmente il dramma con vasta gamma espressiva, e risulta tanto più evocativa ed efficace quanto più è asciutta ed essenziale, nettissima e precisa nelle intenzioni. Per Pier Luigi Pizzi questa produzione segna l’inizio del terzo anno del settimo decennio di attività lavorativa, e nono di vita. Della rinascita barocca, almeno italiana, è più che un protagonista: un “padre”. I suoi allestimenti di opere sei e settecentesche appartengono ormai all’immaginario collettivo. Tant’è vero che c’è anche chi ritiene d’averne avuto a sufficienza della silenziosa, pulitissima eleganza dei suoi iper-classici tableaux vivants, e del loro vuoto pneumatico di forme assolute, paragonabile a certe tendenze astratte della pittura primorinascimentale.
Ma sarebbe quanto meno semplicistico ridurre Pizzi al luogo comune di scenografo travestito da regista, così come relegarlo al pur gloriosissimo secolo passato. Nella sua continua reinvenzione di se stesso è rimasto sempre riconoscibile, ma ha saputo coniugare l’edonismo visivo, che gli è sempre stato congeniale e che lo ha reso celebre, al gioco intellettualistico della regia, al cui tavolo si è seduto più tardi, all’inizio della sua inesaurita maturità. La nettezza del suo pensiero teatrale emerge con estrema evidenza plastica nella formidabile cura del dettaglio: dello spazio scenico, dei costumi, delle luci e, non ultima, della recitazione. Che non rinuncia mai, e perché dovrebbe?, ad una teatralità deliziosamente manierata. L’erotismo, che tanta parte ha nell’opera, viene trattato nel modo più esplicito: ma quasi con indifferenza, con garbato voyeurismo.
Non mancano poi idee schiettamente registiche: per esempio Ottavia che preferisce la morte all’esilio, e si suicida. Non prima, però, del lacerante addio a Roma, in cui al proprio timbro carezzevole e generoso Josè Maria Lo Monaco accompagna una accentazione intimamente declamatoria e quanto mai pregnante. Il cadavere resta in scena finché Nerone, spogliatalo del diadema, non lo scosta con il proprio piede imperiale. Nerone è Federico Fiorio, controtenore veronese dotato di voce non la più grande ma limpida, chiara e luminosissima. Le ambiguità caratteriali emergono dall’ottima recitazione, dallo sguardo straniato e dal sorriso inquieto. Al suo petto saldo e perfettamente depilato contendono gli sguardi le gambe indisciplinate di Roberta Mameli, Poppea, gambe ognora fuggenti dai morbidi e lucidi panneggi del lungo peplo. La voce è ammaliante, gli attacchi talvolta aspri e dispettosi, talaltra dolcissimi e fondenti: a tratteggiare la psicologia birbantella di una donna dagli istinti immediati e crudeli di una bambina. Enrico Torre, cose da altri secoli, passa dal coro della Sistina alle assi del palcoscenico: longilinea ed elegante la figura, dolcissima la sensibilità dell’interprete, tonda, morbida e dal timbro personalissimo la voce. Seneca, granata vestito, ha tutta la compiaciuta gravità d’un togato veneziano, mista alla ieratica semplicità d’un mistico orientale. E tutta la voce sontuosa e morbida, innervata da dizione e fraseggio scultorei, eppure naturalissimi, di Federico Domenico Eraldo Sacchi. Chiara Nicastro è una Drusilla ottima musicalmente benché di non debordante personalità scenica. Vengono poi le due nutrici, vestite del tipico viola Pizzi, Candida Guida e Danilo Pastore: ma solo al secondo, en travesti, tocca scoprire le gambe. Cantano entrambi con il necessario spirito, governato da un sobrio buongusto.Esuberante e prorompente il Lucano di Luigi Morassi: sia musicalmente, per la voce robusta, sonorissima e svettante, che fisicamente, stretto in stivali, pantaloni e giubba di pelle nera aderentissima. Il cast è affollato e composto di incastri e sovrapposizioni, tutto di ottimo livello. Ma vanno ricordate ancora le voci delle umanissime allegorie, Francesca Boncompagni (la Fortuna), Giorgia Sorichetti (Virtù) e Paola Valentina Molinari (Amore), che si segnala per temperamento. Su questo magnifico spettacolo si alzeranno ancora i sipari del Teatro Sociale di Como nel novembre prossimo, del Fraschini di Pavia a dicembre, del Verdi di Pisa e dell’Alighieri di Ravenna nel gennaio 2024.