Torino, Teatro Regio: “Madama Butterfly”

Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera 2023
“MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in due atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dall’omonimo dramma di David Belasco
Musica Giacomo Puccini
Cio Cio San (Madama Butterfly) BARNO ISMUTALLAEVA
B. Pinkerton MATTEO LIPPI
Sharpless DAMIANO SALERNO
Suzuki KSENIA CHUBUNOVA
Goro MASSIMILIANO CHIAROLLA
Il principe Yamadori MICHELE PATTI
Lo zio bonzo DANIEL GIULIANINI
Il commissario imperiale ROCCO LIA
Kate Pinketon IRINA BOGDANOVA
La madre di Cio Cio San DANIELA VALDENASSI
Lo zio Yakusidé FRANCO RIZZO
L’ufficiale del registro ROBERTO CALAMO
La zia MARIA DE LOURDES RODRIGUES MARTINS
La cugina EUGENIA BRAYNOVA
Il figlio di Butterfly LUDOVICO DI LAURO
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Dmitri Jurowski
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Damiano Michieletto ripresa da Elisabetta Acella
Scene Paola Fantin
Costumi Carla Teti 
Luci Marco Filibeck
Torino,  18 giugno 2023
La breve stagione primaverile del Teatro Regio si chiude nel segno di Puccini con la ripresa dell’ormai storico allestimento di “Madama Butterfly” firmata da Damiano Michieletto. Produzione nata nel 2010 e più volte ripresa sul palcoscenico torinese può essere valutata con maggior distacco ora che sono passato i furori polemici del debutto per riconoscerne meriti e limiti.
La scelta del regista è molto radicale. Michieletto rinuncia a tutta l’iconografia tradizionale spostando la vicenda nel nostro presente e leggendo la vicenda esclusivamente come una squallida storia di turismo sessuale. La scena è un moderno quartiere orientale dominato da cartelloni pubblicitari e insegne al neon che alternano segni dell’invadenza culturale occidentale (panini, liquori) e immagini sessualmente ammiccanti di gusto orientale tra idol e waifu in stile anime. Il riferimento è a contesti come Kabukicho il quartiere a luci rosse di Tokyo ma con richiami più generici al mondo asiatico (i neon alternano caratteri giapponesi ad altri di ambito indomalese).
La casa di Butterfly è una struttura in plexiglass trasparente che Goro usa esibire le sue ragazze tra il via vai di un mercato che vende cibo ai clienti, è un mondo sopraffatto dal degrado e dalla violenza a tutti i livelli (i bambini del quartiere bullizzano Dolore durante l’interludio) in cui fin dall’inizio non si vede alcun barlume di speranza. La recitazione è molto curata in tutti i suoi dettagli e innegabilmente lo spettacolo è dotato di un’efficacia drammatica non trascurabile. Tutto è convincente? Purtroppo no perché la scelta così unidirezionale sacrifica la complessità di rimandi del lavoro pucciniano. Il Giappone del periodo Meji che le cannoniere del commodoro Perry avevano destato dal suo secolare torpore era un mondo in vorticoso divenire. Una società lacerata tra tradizione e modernità, spaesata tra riferimenti crollati e altri non ancora affermati. Un mondo in divenire dove la brutalità del colonialismo trovava facile modo di sfruttare strutture sociali pensate per una realtà diversissima e piegarle per i propri egoismi. Questa realtà è sottesa all’universo di Butterfly e più volte nell’opera queste tensioni tornano a stridere – l’invito del Mikado che facilmente si collega alle rivolte aristocratiche contro la modernizzazione, le tensioni religiose che esplodono nell’invettiva dello zio Bonzo – tutti elementi che la modernizzazione sacrifica implacabilmente. Altra assenza è quella della natura che isola e protegge il nido e che qui scompare completamente travolta dalla megalopoli tentacolare ma la cui assenza lascia un’innegabile senso di vuoto.
Attesa ma altalenante la direzione di Dmitri Jurowski che dell’opera da una lettura  sinfonica che ne esalta la ricchezza strumentale con sonorità piene e ricche e una cura particolare per i colori orchestrali.  Una concertazione molto bella sul piano sonoro ma caratterizzata da tempi fin troppo allentati e da una mancanza di tenuta drammatica con la tensione che andava a perdersi nell’edonismo sonoro.
L’uzbeka Barno Ismatullaeva subentrata nel ruolo del titolo dopo l’infortunio di Valeria Sepe mostra un materiale interessante ma da maturare. La voce è ragguardevole. Autentico soprano lirico spinto dal timbro pieno e robusto e  omogeneo su tutta la gamma con gravi pieni e acuti ricchi e squillanti. Manca lo scavo del personaggio, l’approfondimento espressivo essenziale in questo ruolo. Nel primo atto non emerge quel senso d’ingenuità che la protagonista dovrebbe trasmettere. Se con il  prosieguo della vicenda l’accento si fa più intenso e partecipe, la tragicità è un po’ generica, che tradisce uno studio ancora in fase di decantazione.
Spicca il Pinkerton di Matteo Lippi. Uno dei giovani tenori più interessanti della scena italiana alle prese con un ruolo che gli calza e pennello. Bellissima voce lirica della più schietta scuola italiana, acuti facili e brillanti, grande comunicativa. Forse solo un po’ troppo simpatico per un personaggio così negativo.Damiano Salerno è uno Sharpless di buona pasta vocale e che coglie il buonismo formale e impotente con cui la regia caratterizza il personaggio. Membro dello staff del Regio Ksenia Chubunova sfoggia come Suzuki una voce molto interessante, calda e corposa, molto suggestiva. Massimiliano Chiarolla (Goro) emerge per il forte spessore interpretativo pur con una voce non sempre gredevolissima. Ben centrati lo Yamadori di Michele Patti e lo zio Bonzo di Daniel Giulianini come tutte le parti di fianco. Ottime prove per coro e orchestra. Sala non gremita – anzi con ampi spazi vuoti – nonostante la popolarità del titolo. Il primo autentico fine settimana estiva può non aver aiutato ma resta il dubbio che stia emergendo una certa stanchezza del pubblico nei confronti di questo tipo di allestimento.