Firenze: L’orchestra giovanile italiana inaugura la nuova stagione degli Amici della Musica

Firenze, Teatro della Pergola, Stagione Amici della Musica, 2023/24
Orchestra Giovanile Italiana
Direttore Gábor Takács-Nagy
Pianoforte Anna Geniushene
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Concerto n.1 per pianoforte e orchestra in si bemolle minore, op.23;Sinfonia n.4 in fa minore, op. 36
Firenze, 14 ottobre 2023
Uno sguardo internazionale ha caratterizzato il concerto inaugurale della stagione 2023-2024 degli Amici della Musica di Firenze che ha visto protagonisti l’Orchestra Giovanile Italiana, la pianista di origine russa Anna Geniushene e il direttore ungherese Gábor Takács-Nagy nell’ interpretazione di due monumenti della musica della seconda metà del XIX secolo. Il Concerto, il più importante scritto da Čajkovskij ed uno dei più celebri e significativi della letteratura per pianoforte e orchestra, presenta una scrittura pianistica insidiosa per le complessità tecniche sommate ad una partitura concepita in un rapporto più di contrasto che dialogico. Sottesi rimandi soprattutto lisztiani necessitano di un continuo e raffinato equilibrio tra solista e orchestra. Durante l’esecuzione riaffioravano alla mente alcuni giudizi di Rubinstein sulla quasi ineseguibilità pianistica a causa della partitura tecnicamente molto impervia che ancora oggi dà del filo da torcere ai concertisti. Il levare solenne ed imperativo dei 4 corni segna l’inizio dell’Allegro non troppo e molto maestoso ove, annunciato l’incipit tematico dall’orchestra, si inserisce con solenni e possenti accordi il pianoforte, lasciando l’esposizione del melos ai primi violini e violoncelli. L’inizio (Re bemolle maggiore) contraddistingue la relazione tra solista e orchestra finché non si presenta il tema scherzoso e ben caratterizzato ritmicamente nel successivo Allegro con spirito che, in un continuo scambio di sguardi, ha evidenziato una buona intesa fra la solista e il direttore. Degna di merito in questa prima parte, escludendo il ruolo di catalizzatore del direttore, è stata la grande tenuta della spalla, sempre primus inter pares, efficiente nelle intrigate situazioni della partitura. In sostanza solista, orchestra e direttore sono riusciti ad esprimere, all’interno di un rapporto dialettico, lirismo e virtuosismo imprescindibili per affrontare il Concerto. Sono seguiti lunghi applausi del folto pubblico, ringraziato da un più tranquillo e sereno fuori programma da parte della giovane pianista. Con la Sinfonia n. 4 in fa minore, nella seconda parte del programma, oltre a confermare la natura monografica di un concerto focalizzato su un periodo compositivo piuttosto fecondo di Čajkovskij (dal 1874 con il Concerto fino al 1878 con la Sinfonia) e contrassegnato da una fiorente e significativa produzione di lavori di vario genere, rappresenta anche la stagione di un uomo e di un artista desideroso di vivere una nuova esistenza. In quest’opera è presente la figura di Nadežda Filaretovna von Meck, destinataria di una lettera a mo’ di commento da parte del compositore, ospitato a Firenze nel 1878 dalla sua mecenate, dedicataria proprio della Sinfonia in programma. L’intento della missiva è quello di illustrare il pensiero compositivo nella costruzione formale della Sinfonia. Ecco spiegarsi, nell’avvicendamento delle letture dei giovani musicisti prima di ogni movimento, l’intenzione di voler informare gli ascoltatori di ciò che sottende il programma di quest’opera, almeno «per quanto è possibile esprimere con parole ciò che significa». Un’operazione tra didattica e filologia in cui, se da un lato si interrompeva l’effluvio sonoro dei singoli movimenti, dall’altro si offriva un significativo orientamento di un vertiginoso dualismo costituito dal racconto di una realtà bisognosa di infrangersi in una visione più onirica come scrive Čajkovskij: «È lo stato malinconico» di una «torma di ricordi», che, pur sfociando nella tristezza, tuttavia «è dolce immergersi nel passato». Il tutto trova la sua traduzione sonora grazie ad una raffinata tavolozza di colori ben evidenziata da ogni sezione dell’orchestra. Prendendo ad esempio il Terzo movimento (Scherzo. Pizzicato ostinato) secondo il racconto del compositore «È fatto di arabeschi capricciosi, di immagini inafferrabili […] non si è gioiosi né tristi» tanto da sembrare «immagini strane, selvagge, incoerenti» pur nel ritorno alla serena tonalità di Fa maggiore. È bastato ascoltare il tema di otto battute nel preciso pizzicato degli archi per apprezzare il virtuosismo della sezione e soprattutto gli esiti di una non semplice concertazione del direttore, sempre pronto a catturare l’attenzione dei giovani musicisti. Ancora più cameristico è risultato il Trio con l’ingresso dei legni (ottavino compreso) ed alcuni ottoni e timpani per poi far rientro nell’arabesco pizzicato degli archi ora desideroso di continuare a dialogare tanto da coinvolgere tutte le sezioni dell’orchestra. L’apparente quiete degli archi, raggiunta sull’accordo di tonica, dura pochissimo perché l’Allegro con fuoco traghetta l’ascoltatore in «Un quadro di grande festa popolare». Musicalmente è un assistere ad una collocazione strutturata dei temi evidenziando forte contrasto tra il tema costituito da rapidi passaggi degli archi e legni con un altro dal carattere popolare, il tutto chiaro grazie al rondò che regge l’impianto formale. Sul piano dell’orchestrazione colpisce inoltre l’inclusione del triangolo, piatti e grancassa nella sezione delle percussioni contribuendo, dal punto di vista percettivo, a definire contrasti strutturali, portando altresì a delineare zone armoniche più accese e dagli effetti significativi in cui il desiderio che si palesa è l’incontro tra i suoni, tra i singoli strumenti dell’orchestra che ora diventano personaggi desiderosi di fare festa perché nonostante tutto è possibile «Gioire della gioia altrui. Vivere è possibile!». Lasciandosi coinvolgere da questa musica gli ascoltatori hanno gradito il reiterato finale come bis, in un autentico scambio di intenti tra musica, orchestra e direttore che, soprattutto nella seconda parte del programma, ha mostrato doti di grande ammaliatore. Foto Marco Borrelli