Venezia, Palazzetto Bru Zane: “Sulle note del Grand tour” con Salome Jordania

Venezia, Palazzetto Bru Zane: Festival “Mondi riflessi”, 23 settembre-27 ottobre 2023
SULLE NOTE DEL GRAND TOUR”
Pianoforte Salome Jordania
Claude Debussy: Préludes – Les collines d’Anacapri. Très modéré; Estampes: Pagodes, La soirée dans Grenade, Jardins sous la pluie; Danse; Mel Bonis: Sevilliana, op. 125; Femmes de légende: Desdémona, op. 101, Phœbé, op. 30; Benjamin Godard: Scènes italiennes, op. 126: Tarentelle; Barcarolle no 3, op. 105; Maurice Ravel: La Valse
Venezia, 17 ottobre 2023
Sono più frutto dell’immaginazione che di un’esperienza realmente vissuta questi “mondi riflessi”, che ci svela il Palazzetto Bru Zane, attingendo a una vasta produzione francese tra Otto e Novecento: un repertorio certamente meritevole di essere indagato, in quanto nasconde gemme troppo spesso misconosciute. In effetti, l’esotismo dei compositori francesi non deriva da una rigorosa ricerca etnografica, bensì si ispira quasi sempre a scarne informazioni – provenienti da esposizioni universali, disegni, fotografie, racconti di viaggio –, che essi fondevano con la loro personale sensibilità, romantica o simbolista, per condurre gli ascoltatori verso destinazioni da sogno.
E in questo sogno si è beato anche il pubblico, accorso come sempre numeroso al Palazzetto Bru Zane, sedotto dal pianoforte di Salome Jordania, un’artista, che ha saputo porgere il dovizioso florilegio, previsto per questo concerto, attraverso un pianismo caratterizzato da una grande forza espressiva – assoluta, comunque, la nitidezza dell’impasto sonoro anche quando il discorso musicale si faceva più denso dal punto di vista armonico – come dal sottile cesello con cui veniva rifinita ogni sfumatura, grazie a un tocco particolarmente delicato. Il tutto senza mai cadere in modi ridondanti o sdolcinati, e scandendo ogni nota, con prodigiosa abilità, anche nei passaggi più rapidi. Onirico, icastico, evocativo, ricco di colori è risultato il Debussy offerto dalla pianista georgiana. Lo si è colto nelle Collines d’Anacapri, che all’inizio è una sorta di tarantella – percorsa da magiche risonanze e da esotici pentatonismi –, cui fa seguito una sezione più lenta – un soave e seducente canto interiore –, a sua volta seguita da una sezione, più vivace, che termina con una folgorante perorazione. Alcuni tratti distintivi della poliedrica creatività debussyana hanno affascinato anche in Estampes: in Pagodes i timbri, il modo pentatonico, il riferimento al “gamelan”, la sovrapposizione di diversi livelli sonori; nella Soirée dans Grenade la capacità di evocare una notte andalusa, scandita da un ritmo ossessivo di habanera; in Jardins sous la pluie l’efficacia impressionistica con cui vi si esprimeva musicalmente lo scrosciare dell’acqua, il fruscio delle foglie e il ritorno del sole. Il virtuosismo della scrittura – complice ovviamente l’abilità della pianista – si è ammirato nelle frenetica Danse, il cui semplice motivo principale – che si richiama alle notti parigine di inizio secolo –, percorre tutto il brano come un ritornello rasserenante. Un linguaggio più sobrio ha caratterizzato, in generale, i brani di Mel Bonis: La Sevillana, ultimo suo lavoro per pianoforte – dai colori spagnoli e l’impatto ritmico leggiadro –, che gioca col rubato e alterna spesso misure a sei e a cinque tempi; i due evanescenti ritratti femminili realizzati da Bonis – da collocare ai vertici della sua produzione pianistica – avvolti in un’aura malinconica (Phœbé, che come Mélisande evoca una sognante atmosfera notturna; Desdémona, che esprime timidamente la sua malinconia). Al tema del concerto era particolarmente attinente Tarentelle di Benjamin Godard, che prosegue sulla scia di una tradizione inaugurata nel primo Ottocento da compositori rimasti folgorati dai loro soggiorni iniziatici in Italia: un lavoro di estrema leggerezza, basato su motivi vorticosi, che assume un carattere danzante. Dello stesso autore, Barcarolle – vicino per la scrittura alle Romanze senza parole di Mendelssohn e per l’ispirazione melodica alla musica di Schumann – ha affascinato per la sua tinta “crepuscolare”, che nasce dalle sfumature di grande dolcezza del discorso musicale, fondato sulla ripetizione di un medesimo motivo. La serata si è degnamente conclusa con La Valse di Maurice Ravel. Composta su richiesta di Sergej Djagilev, fu da questi rifiutata, cosicché la sua prima esecuzione in pubblico avvenne in forma di concerto (1920). Impareggiabile Salome Jordania – che ha ripetuto e, se possibile, reso ancora più suggestivo l’incantesimo suscitato con le sue precedenti interpretazioni – nell’affrontare la trascrizione per pianoforte, firmata dallo stesso Ravel, di questa sua fortunata partitura: una sequenza di valzer, un’apoteosi del valzer viennese, in cui volteggiano frammenti di temi che si direbbero usciti dalla penna di Johann Strauss figlio, seppur recanti un’impronta tipicamente raveliana; un crescendo sonoro ed emotivo, il cui culmine si raggiunge nella coda finale, laddove la danza si fa sempre più vorticosa e scatenata, a suggellare l’evocazione di una Vienna al crepuscolo, ignara di trovarsi sull’orlo di un abisso, in cui tra breve sprofonderà. Un coinvolgente crescendo, che ha mandato pressoché in delirio il pubblico, che non la smetteva di applaudire, placandosi solo dopo aver ottenuto due fuoriprogramma: Kupelweiser Waltz di Schubert e Grande valse brillante op. 18 di Chopin.