Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena: “Don Carlo”

Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Stagione Lirica 2023/2024
DON CARLO”
Opera in quattro atti su libretto di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini tratto dall’omonima tragedia di Friedrich Schiller. Versione Milano
Musica di Giuseppe Verdi
Filippo II re di Spagna MICHELE PERTUSI
Don Carlo, infante di Spagna PIERO PRETTI
Elisabetta di Valois ANNA PIROZZI
Rodrigo, marchese di Posa ERNESTO PETTI
Il grande Inquisitore RAMAZ CHIKVILADZE
Un frate ANDREA PELLEGRINI
Tebaldo, paggio di Elisabetta e Una voce dal cielo MICHELA ANTENUCCI
La principessa Eboli TERESA ROMANO
Il Conte di Lerma e L’araldo reale ANDREA GALLI
Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini
Coro Lirico di Modena
Direttore Jordi Bernàcer
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Joseph Franconi-Lee
Scene e costumi Alessandro Ciammarughi
Luci Claudio Schmid
Modena, 3 novembre 2023
Trepida l’attesa per questa nuova produzione, che si profila come fiore all’occhiello della stagione. Dopo la versione dell’opera in forma di concerto e trasmessa in streaming durante le restrizioni Covid-19 nel 2021, il Comunale di Modena è finalmente riuscito a portare in scena l’allestimento completo. Nell’atmosfera carica di aspettative, tra il vociare degli spettatori, spiccano dei fantomatici opera blogger che ci lasciano perplessi nella loro ambiguità che oscilla tra amore per l’opera e il desiderio di mettersi in mostra. In questa grande “soirée” l’opera è proposta nella versione Milano in quattro atti, più breve rispetto alla versione Modena presentata per la celebrazione del compositore nel bicentenario verdiano del 2021. Malgrado le promesse fatte dal regista Joseph Franconi Lee, l’imbarazzante riferimento a influenze registiche di Luchino Visconti (come riportato nel programma di sala), suscita domande critiche. Ci si chiede, se anziché sviluppare una propria idea, questa sovrapposizione possa talvolta sembrare un tentativo di capitalizzare sul successo preesistente. E indubbiamente vero che non basta citare i grandi maestri per creare delle grandi opere e questa produzione ne è la dimostrazione. L’assenza di una guida è evidente nella regia piatta e statica, nei “tableaux vivants” mal riusciti e disordinati. Questa mancanza di direzione si riflette sugli interpreti, relegati come “animali in gabbia” costretti a vagare in scena senza motivo apparente, privi di coerenza scenica, poiché è evidente il disagio dell’interazione tra i personaggi. La parte visiva affidata a Alessandro Ciammarughi si presenta, purtroppo, come un’accozzaglia di elementi scenici e fondali, una sorta di approccio al risparmio che trasuda negligenza. Chiaro “l’accontentarsi” di lasciare molti dettagli “al grezzo” con la struttura dei praticabili a vista poco gradevoli all’occhio. La presenza dei fondali dipinti offre comunque un richiamo al passato, una certa nostalgia di un’epoca, che potrebbe aprire nuove opportunità per un dialogo tra tradizione e presente l’opera contemporanea. Di bella eleganza i costumi,  un vero punto luminoso in uno spettacolo così monotono e statico. Le luci di Claudio Schmid fisse dall’inizio alla fine, a parte qualche raro momento di intensità, non hanno creato atmosfere. Sul podio Jordi Bernàcer padroneggia tutte le difficoltà tecniche di una partitura complessa. Bernàcer si destreggia calibrando con tutto rispetto la rappresentazione regalandoci una lettura corretta di un’opera che dagli albori non ha mai convinto del tutto nonostante l’enorme fatica compositiva. Lascia un senso di incompiutezza la riduzione dei colori, in contrasto con l’approccio verdiano, e il taglio nell’introduzione dell’autodafé. Sottotono la prova dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini che parte in pompa magna e non decolla con passaggi da sistemare e in alcuni momenti un eccesso di volume che penalizza le voci impedendone il giusto risalto.Nel ruolo di Don Carlo troviamo Piero Pretti che restituisce l’uomo, sospeso tra l’incertezza e l’oscurità della sua mente, con la follia che sussurra promesse di libertà come in Sarò tuo salvator, popol fiammingo, io sol. Sicuro nel fraseggio e negli acuti con buona impostazione del registro centrale in cui il personaggio trova la sua più autentica espressione. Michele Pertusi, nonostante una sottolineata stanchezza interpretativa, mantiene intatta la grandezza del suo Filippo II. Ogni fatica, ogni gesto e ogni nota e ogni parola incarnano momenti da grande interprete come nell’aria Ella giammai m’amò lasciando il pubblico in visibilio. E’ come se il personaggio riecheggiasse nell’esperienza del cantante stesso. Ogni fraseggio e accento appare estenuato come a riflettere la sua vita, conferendo al re di Spagna una risonanza personale e più reale. Pienezza e corposità timbrica donano all’Elisabetta di Valois di Anna Pirozzi un’aurea matriarcale che, come un abbraccio materno, sostiene dal dolore e dalla rassegnazione. Incantano i suoi filati e i suoi pianissimo come parole dolci sussurrate ad un bambino. Nonostante la difficoltà del ruolo svettano i folgoranti acuti come potenti grida e la struggente intensità come nell’ultimo atto con il Tu che le vanità. La Pirozzi si consacra come una regina dell’arte verdiana che conquista a ragion veduta l’ammirazione del pubblico modenese. Non riesce il Rodrigo Ernesto Petti. La sua figura appare come dietro un vetro inaccessibile al pubblico, troppo rigida e incapace di fluire con la corrente dell’azione. Seppure dotato di un ottimo timbro e estensione vocale, il baritono sembra riluttante verso gli accenti e a cantare con una dinamica più leggera di un mezzoforte. Una limitazione che rende l’ascolto meno coinvolgente e priva la sua interpretazione di quella profondità emotiva che il personaggio richiede. Ancora una volta il ruolo del Grande Inquisitore sembra non adattarsi alle doti vocali del basso Ramaz Chikviladze che con il suo timbro chiaro sembra non raggiungere la profondità vocale necessaria del ruolo a cui siamo stati abituati. La Principessa Eboli di Teresa Romano ha regalato momenti di grande presenza scenica, in parte dovuta al suo temperamento naturale. Un carattere che nel tempo ha offerto ad alcuni personaggi una propria dimensione unica, ma che in alcuni casi, anche a causa della forte emissione, carica troppo per poi essere sistematicamente fuori tempo. Troppo spinta e insicura nella dizione il Tebaldo e Una voce dal cielo di Michela Antenucci. Buona la performance, ma eccessivo nel vibrato, del Frate di Andrea Pellegrini. Bene Il Conte di Lerma e L’araldo reale di Andrea Galli.Nota di merito al Coro Lirico di Modena diretto da Giovanni Farina. Foto Rolando Paolo Guerzoni