Novara, Teatro Carlo Coccia: “La Bohème”

Novara, Teatro Coccia, stagione 2023
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, ispirato al romanzo di Henri Murger “Scene della vita di Bohème”
Musica di Giacomo Puccini
Mimì VALENTINA MASTRANGELO
Musetta ELEONORA BOARETTO
Rodolfo MARIO ROJAS
Marcello SIMONE ALBERGHINI
Schaunard ITALO PROFERISCE
Colline ABRAMO ROSALEN
Benoît – Alcindoro MATTEO MOLLICA
Parpignol ZHENG HUI
Orchestra filarmocica italiana – Banda di Oleggio
Coro As.Li.Co – Coro di voci bianche del Teatro sociale di Como
Direttore José Luis Gomez
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Marco Gandini
Scene Italo Grassi
Costumi Anna Biagiotti
Luci Ivan Pastrovicchio
Novara, 17 dicembre 2023
La chiusura della stagione 2023 del Teatro Coccia e anche il prodromo di quella 2024 quasi totalmente dedicata a Puccini nel centesimo anno dalla morte. A fare da spartiacque è stata una produzione più che valida di “La bohème” – allestimento proveniente da Teatro del Giglio di Lucca – che ha pienamente soddisfatto le attese di un pubblico accorso in buon numero.
La parte musicale poteva soffrire della pluralità delle componenti interessate ma bisogna riconoscere a José Luis Gomez di aver saputo amalgamare ottimamente complessi diversi per estrazione e provenienza in una lettura omogenea e ben armonizzata.
Gomez non si limita a mantenere un buon equilibrio tra le parte mi riesce a far suonare con proprietà l’eterogenea compagine cogliendo il giusto carattere di ciascun quadro. Sul piano espressivo si apprezza una direzione moderna e pulita che non indulge nel facile sentimentalismo pur non mancando di abbandono.
“La bohème” è il sogno di una gioventù ormai perduta e un cast di cantanti giovani riesce a dare all’opera quella spontaneità e quella freschezza che a volte manca in edizioni più paludate. La produzione novarese n parte ci riesce specialmente nel settore femminile che si è particolarmente distinto.
Valentina Mastrangelo ed Eleonora Boaretto erano entrambe al debutto nei rispettivi ruoli ed entrambe hanno dimostrato di possederli già pienamente. La Mastrangelo è stata di gran lunga l’elemento vincente della produzione. Voce di soprano autenticamente lirico limpida e luminosa, omogenea in tutta la gamma ed estremamente duttile alle esigenze espressive del ruolo si trova perfettamente a suo agio nei panni di Mimì. L’interprete è espressiva e partecipe e tocca momenti di autentica commozione nella seconda parte dell’opera. Scenicamente assai avvenente recita anche con gusto e sensibilità dando al personaggio tocchi di una certa maliziosa dolcezza – ad esempio nel I atto – pienamente riusciti.Voce non grande ma facile e squillante la Boaretto è una Musetta di irresistibile comunicativa, vocalmente precisa e sicura ed espressivamente perfettamente a suo agio nei panni del personaggio. Anche per lei un debutto perfettamente riuscito. Il versante maschile vede brillare il Marcello di Simone Alberghini. Unico veterano del cast ci è apparso in ottima forma vocale e sul piano espressivo conosce ogni sfumatura del personaggio cui da particolare rilievo. Mario Rojas conferma qui pregi e difetti già rilevati nella “Rondine” torinese. Rispetto a quest’ultima ci è parso più partecipe e coinvolto sul piano espressivo. La voce è innegabilmente bella e non manca di gusto e musicalità ma il materiale vocale non sempre appare perfettamente controllato e il cantante non sembra aver ancora raggiunto quella quadratura che si vorrebbe in questi ruoli e questo lo spinge a un canto a tratti quasi troppo prudente. Italo Proferisce è uno Schaunard di buon materiale vocale al netto di qualche forzatura in acuto e Abramo Rosalen affronta con eleganza e musicalità la parte di Colline. Matteo Mollica interpreta  con ironia ma senza eccessi il doppio ruolo di Alcindoro e Benoit mentre Zeng Hui è sicuro come Parpignol.
Poeticamente tradizionale la regia di Marco Gandini – con scene di Italo Grassi. L’ambientazione è quella prevista dal libretto e ritroviamo tutti gli elementi dalla tradizione ma al contempo si nota un gusto onirico e simbolico. L’essenzialità delle strutture, la prevalenza del bianco – in contrasto con i vivaci costumi di Anna Biagiotti – danno all’insieme un tono astratto e nostalgico. Con il procedere degli atti il regista procede per sottrazione, l’impianto scenico si svuota e si concentra su pochi e significativi elementi. Quello che assistiamo è il gioco della memoria e della nostalgia – ricordiamo che nel romanzo di Murger tutto è rivissuto nel ricordo. Di fronte alla tragicità degli eventi il contesto perde significato mentre pochi elementi essenziali si imprimono in modo indelebile. Questa dimensione nostalgica e resa con grande efficacia e senso poetico dal regista. Va inoltre notato un ottimo lavoro sulla recitazione, particolarmente importante nei confronti di una compagnia di giovani, molti debuttanti nei rispettivi ruoli. Buona presenza di pubblico e caloroso successo per tutti gli interpreti.