Roma, Teatro Vascello: “Hybris” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella

Roma, Teatro Vascello Stagione 2023 2024
HYBRIS
di Antonio Rezza Flavia Mastrella
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e con la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Sughi
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Daria Grispino
luci e tecnica Alice Mollica
organizzazione generale Tamara Viola, Stefania Saltarelli
macchinista Andrea Zanarini
produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello, Teatro di Sardegna
coproduzione Spoleto, Festival dei Due Mondi
Roma, 03 Gennaio 2024
Nella mitologia greca, il termine “Hybris” assume il significato di tracotanza, rappresentando un amalgama di eccesso, prevaricazione, superbia e orgoglio. Il culmine dell’Hybris si raggiunge quando l’uomo, perdendo il senso dei propri limiti, sfida gli dei in virtù di un potere smisurato. Questa concezione trova riscontro anche nella tradizione cristiana, incarnando il fulcro del peccato originale, definito come l’atto di “farsi simile a Dio”. Chi si lascia guidare dall’Hybris si lascia inebriare dal potere, assumendosi il ruolo di un superuomo con il desiderio di plasmare il corso della storia e delle vite altrui. Questo atteggiamento si traduce spesso in diffidenza, paura e gelosia del potere, rendendo l’individuo impermeabile alle critiche e incapace di collaborare con gli altri. L’origine del potere è spesso motivata dalla genuina volontà di aiutare il prossimo e servire la società. Talvolta, si è convinti che la propria visione sia la migliore e che conquistare il potere significhi realizzare soluzioni risolutive per numerosi problemi, cadendo nella “tentazione del bene”, dove il bene stesso diventa l’origine del male. Questo fenomeno è riscontrabile in molte ideologie politiche. In ogni caso, la gestione del potere, anche in ruoli minimi o formali, diventa problematica, subentrando l’Hybris greco o il peccato originale cristiano. Ogni forma di potere, dal politico al presidente di un’associazione, può generare questo effetto, conducendo l’individuo a liberarsi dalla condizione di “esseri finiti” e a cercare di assaporare un po’ di immortalità durante l’esercizio delle proprie funzioni. Questo processo psicologico, sebbene semplice in sé, si complica con l’aumentare delle responsabilità ed è amplificato dalla rispettabilità sociale associata a un ruolo specifico. Più riconoscimento il ruolo offre, più l’Hybris è in agguato, trasformando le persone in mere rappresentazioni del proprio ruolo, con la perdita dell’identità personale.  In un’epoca moderna che sembra aver ridotto la presenza di Dio nella vita umana, emerge l’interessante riflessione su chi possa essere considerato Dio, se non l’Io. Questo porta alla conclusione del processo di umanizzazione del divino con la definitiva divinizzazione dell’umano, amplificando il peccato di Hybris al massimo livello. Un paradosso si manifesta quando è l’essere umano stesso, nei suoi rapporti con gli altri, a peccare di superbia verso sé stesso. Queste riflessioni emergono  nell’anarchico lavoro “Hybris” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella in scena al Teatro Vascello di Roma. In scena, una porta con il suo telaio si erge come elemento centrale, diventando il fulcro di una coreografia teatrale che la vede trasportata, aperta e richiusa innumerevoli volte. La porta, più che uno strumento quotidiano, è il confine dinamico tra il mondo esterno e la dimensione domestica, incarnando il volto stesso della casa. Il suo gesto, che oscilli tra l’apertura e la chiusura, assume un significato preciso e profondo nelle nostre vite. Al di là dell’aspetto puramente fisico, l’ atto di “varcare una soglia” si configura come un momento teatrale, raffigurando la separazione o la comunicazione tra due sfere. Questo gesto non si limita alla demarcazione dello spazio fisico tra interno ed esterno, ma si estende a un passaggio tra due livelli distinti: il noto e l’ignoto, il profano e il sacro. Come nella casa, dove la porta definisce il confine tra il mondo estraneo e quello domestico, la porta di un tempio o di una chiesa assume il ruolo di identificare il passaggio tra il mondo profano e quello sacro. A seconda che si schiuda o si richiuda, diventa un simbolo eloquente di separazione o comunicazione, contribuendo a plasmare e distinguere questi due universi scenici. “HỲBRIS” si focalizza interamente sulla figura scenica di Rezza, dove i corpi degli altri attori diventano semplici sparring partner, sfidati dalla carica verbale e dal confronto psicofisico del “performer” (Dice Rezza in merito a questa espressione: ” Quindi io sono Antonio Rezza nell’esercizio delle mie funzioni, perché il termine performer è stato abusato e se ne appropria anche chi non ne ha alcun diritto.” Maria Grazia Sughi interpreta la madre, Chiara Perrini la fidanzata, mentre Ivan Bellavista, una presenza storica nei palchi rezziani, assume il ruolo di un uomo in nero con occhiali scuri, incapace di conformarsi e, quindi, soggetto a essere trattato con disprezzo e annientamento. Nonostante Rezza e Mastrella mantengano salda la loro identità distintiva e il loro percorso sia più un incessante girovagare intorno a sé stessi, è doveroso elogiare la loro capacità di rimanere comunicativi ed efficaci. Rezza, abile giocoliere psico-linguistico, utilizza neologismi e barbarismi per disintegrare i personaggi e i loro nomi, colpevoli di adagiarsi nella quiete apparente del focolare domestico, che, in realtà, isola e spegne le differenze individuali, cancellando così la personalità di ognuno. Non ci sono compromessi: o lo si ama o lo non si ama. I temi sono tantissimi e toccati con forte impatto.  Le bestemmie nell’ultimo tratto dello spettacolo, esposte attraverso un assordante fischietto, rivelano la vera essenza di questa Hybris: la ribellione a Dio che ci rende divini. Il pubblico di Rezza si presenta come una corte di devoti, conoscenti e ammiratori affezionati, disposti persino ad acquistare i suoi libri al termine della rappresentazione in un apposito banchetto. Nel corso dello spettacolo, il pubblico dimostra di possedere un’apprezzabile dimestichezza con le battute, anticipando le risate con un cinismo condiviso. Gli applausi fragorosi e l’entusiastica partecipazione durante l’esibizione sono il risultato di una connessione consolidata, ma, onestamente, senza alcuna sorpresa; sembra che qui il copione sia già ben noto, e la platea non fa che confermare il proprio ruolo di complice in questo affascinante gioco teatrale. Qui per le altre date.