Roma, Teatro Argentina: “L’Albergo dei poveri” di Maksim Gor’kij adattamento di Emanuele Trevi di Massimo Popolizio

Roma, Teatro Argentina
L’ALBERGO DEI POVERI
uno spettacolo di Massimo Popolizio

tratto dall’opera di Maksim Gor’kij
riduzione teatrale Emanuele Trevi
con Massimo Popolizio
e con Giovanni Battaglia, Gabriele Brunelli, Luca Carbone, Martin Chishimba, Giampiero Cicciò, Carolina Ellero, Raffaele Esposito, Diamara Ferrero, Francesco Giordano, Marco Mavaracchio, Michele Nani, Aldo Ottobrino, Silvia Pietta, Sandra Toffolatti, Zoe Zolferino
scene Marco Rossi

costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Noto anche come “I bassifondi” o “Sul fondo”, il monumentale dramma di Maksim Gor’kij, che fece la sua prima incursione teatrale a Mosca nel lontano 1902, ottenne una nuova identità nel 1947 grazie alla penna e alla regia magistrale di Giorgio Strehler, che lo battezzò “L’albergo dei poveri” in occasione della storica inaugurazione del Piccolo Teatro di Milano. È proprio sotto questo nome che Massimo Popolizio ha deciso di far rivivere l’opera al pubblico, consapevole del suo valore emblematico, poetico e storico. “L’albergo dei poveri” è un colossale dramma corale, che si distingue per il suo equilibrio sapiente tra pathos, denuncia sociale, amara comicità e riflessione filosofica e morale sul destino umano, unendo le tinte drammatiche dello Shakespeare più profondo. Il gran numero di attori in scena richiede alla regia un ritmo incalzante, capace di seguire le evoluzioni delle situazioni e dei punti di vista, mentre l’angustia dello spazio evocato, un rifugio di miseri e ubriaconi, amplifica la tensione fino al parossismo. Questa sfida, affrontata da illustri maestri della regia teatrale e cinematografica come Stanislavskij, Strehler e Kurosawa, è ora ripresa da Massimo Popolizio, il cui stile e la cui sensibilità sembrano destinati a scrivere un nuovo capitolo di questa saga di interpretazioni. Sebbene il mondo che circonda lo spettacolo sia diverso da quello del 1902 o del 1947, e il concetto stesso di “povertà” abbia subito mutamenti, l’energia drammatica e la lucidità disperata dei personaggi di Gor’kij rimangono intatte. Con il suo adattamento curato da Emanuele Trevi, il testo mantiene intatta la sua potenza visionaria e la sua capacità di scrutare negli abissi dell’animo umano, offrendo al pubblico una riflessione profonda e attuale sul destino dell’umanità e una denuncia delle ingiustizie ancora presenti nella nostra società. Il palcoscenico non è la cornice di un solo racconto, ma è pregno di storie intrecciate. Ogni personaggio emerge con la propria vicenda, dipinta non solo con parole, ma con il palpito del cuore, la forza del carattere, e l’urgenza disperata dell’anima. E in questo affollato scenario si staglia la figura di Luka, il pellegrino scapestrato, il saltimbanco dell’anima, che danza e canta sotto il peso degli anelli, dei braccialetti e delle collane sacre, simboli di una vanità intrisa di una spiritualità tutta sua. Le sue parole echeggiano nel teatro dell’esistenza, sollevando il sipario su temi profondi: Dio, la coscienza, l’angoscia per chi languisce nella fame, o per chi assiste impotente alla fine imminente dell’amata. Eppure, non c’è spazio per la retorica in questo dramma umano. Meglio plasmare il proprio universo, sussurra Luka, piuttosto che piegarsi a una verità che potrebbe rivelarsi solo un’illusione, un inganno crudele per l’anima in cerca di rifugio. E così, tra le luci del palcoscenico e il suono dei violini, Luka invita il pubblico a creare il proprio regno di verità, anche se incerto e fugace, piuttosto che sprofondare nell’oscurità della delusione, prigioniero delle catene di un dogma che sembra inattaccabile. In questo dramma dell’interpretazione, Massimo Popolizio si distingue per la sua capacità di immergersi con autenticità nei panni del pellegrino, raggiungendo un’intensità emotiva che non si smentisce mai, senza per questo trascurare l’essenza stessa dell’interpretazione. La carne stessa si fa voce, parole e azioni, eppure è un compito arduo, un viaggio nell’abisso dell’animo dove si possono incontrare verità scomode e oscure. Eppure, con fiducia e determinazione, Popolizio si affida completamente all’adattamento magistrale di Trevi, consapevole che solo così potrà far emergere pienamente quegli aspetti oscuri e complessi dei suoi personaggi, portandoli alla luce con una sincerità che tocca il cuore dello spettatore. Ci riesce con grande intesità ed alle volte con imbarazzante verità. Tra le note fragorose della vita, ognuno dei personaggi si lascia trasportare da un vortice di emozioni e sensazioni, mentre la vodka, con la sua presenza onnipresente, diventa il filo conduttore che li lega tutti in un’ebbrezza comune, una danza sfrenata nella notte oscura dell’anima umana. Assolutamente straordinari e intensi sono tutti gli attori del numeroso cast che anima questa scena teatrale. Ogni interprete porta con sé un bagaglio emotivo e una profondità d’interpretazione che cattura lo spettatore fin dal primo istante. Le scene di Marco Rossi sono caratterizzate da un’imponente altezza e profondità, arricchite da praticabili che si trasformano in letti e da corridoi che si estendono fino a perdersi nel centro scenico, da cui tutti gli attori si lanciano in corse mozzafiato. La scenografia, con la sua maestosità e la sua versatilità, crea un ambiente suggestivo e dinamico che incanta lo spettatore e offre agli interpreti uno spazio ricco di possibilità espressive. È un palcoscenico vivo e pulsante, dove ogni movimento e ogni gesto sono parte integrante di una coreografia teatrale che cattura l’attenzione I costumi di Gianluca Sbicca sono un valore aggiunto, un mosaico di suggestioni che abbracciano un vasto spettro di esperienze umane. Dai richiami agli homeless di Termini, con il loro abbigliamento logoro e trasandato, fino ai suggestivi abiti di preghiera musulmani, ogni dettaglio cattura l’essenza dei personaggi, anche quelli di estrazione borghese, che pur vivendo una vita agiata si trovano sull’orlo dell’abisso. I costumi diventano una sorta di linguaggio silenzioso, capace di raccontare storie complesse e vibranti. E la musica, con i suoi suoni balcanici, contribuisce a tessere l’atmosfera surreale e incantata dello spettacolo. Talvolta dissonante, talvolta melodiosa, la colonna sonora accompagna i personaggi nel loro viaggio emotivo, creando un contrappunto audace e suggestivo che sottolinea la ricchezza e la varietà delle esperienze umane rappresentate sulla scena. Il pubblico ha accolto lo spettacolo con entusiasmo e partecipazione, manifestando il proprio apprezzamento con applausi convinti. Qui per le atre date.