Roma, Teatro Vascello:” Salveremo il mondo prima dell’alba”

Roma, Teatro Vascello
SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA
Uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo
Drammaturgia Gabriele Di Luca
Con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Massimiliano Setti, Roberto Serpi, Ivan Zerbinati
Regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
Musiche originali Massimiliano Setti
Scenografia e luci Lucio Diana
Costumi Stefania Cempini
una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
In collaborazione con Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale
Roma,06 Marzo 2024
Nel loro ultimo lavoro scenico, “Salveremo il mondo prima dell’alba”, i registi  Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi, componenti della talentuosa compagnia Carrozzeria Orfeo, operano una svolta tematica audace. Dopo un’esplorazione profonda nei meandri delle esistenze marginalizzate — gli ultimi, gli emarginati, coloro che la società ha relegato ai suoi confini più ombrosi — la loro nuova creazione scenica si avventura nei territori dell’opulenza e del successo esteriore. Quest’opera si configura come un’incursione critica nel microcosmo dell’élite, un’indagine sulle vite di coloro che abitano i vertici della piramide sociale: i primi, i trionfatori, l’aristocrazia contemporanea del capitale. Attraverso una scrittura scenica che intreccia sottilmente i fili del tragico e del comico, Di Luca, Setti e Tedeschi disvelano la paradossale prigionia dei loro protagonisti: esseri che, sebbene baciati dal successo materiale, si ritrovano incatenati in un vortice di responsabilità soffocanti, obblighi opprimenti e un’insoddisfazione esistenziale che si annida profondamente nelle loro coscienze. Sul palcoscenico si svela una verità inquietante: i tormenti dell’anima e le angosce profonde non risparmiano nessuno, nemmeno chi sembra avvolto in ogni lusso materiale. “Salveremo il mondo prima dell’alba” prende vita in un futuro non troppo lontano, all’interno di una clinica di riabilitazione esclusiva, posizionata su un satellite che orbita la Terra, simbolo supremo di un elitismo sfrenato. Qui, le anime in pena si confrontano con le catene delle dipendenze moderne — emotive, sessuali, lavorative, chimiche — in una lotta disperata per ritrovare la propria essenza smarrita. La trama tesse il racconto di una società avvolta in un velo di tristezza, malgrado l’onnipresenza di immagini di gioia illusoria diffusa sui social. Questa dicotomia culturale rivela un vuoto di autenticità e di impegni sociali significativi, spazzati via dall’unico credo imperante: la produttività incessante. Il testo mette in luce una realtà crudele, dove il fallimento è un tabù, il dolore un disonore da occultare, segno indelebile di fragilità e fallimento. In questo contesto, la “resilienza” diventa il grido di battaglia di un capitalismo senza volto, una virtù apparentemente eroica che, nella pratica, tradisce un’indifferenza brutale verso il dolore altrui. Questa nozione si trasfigura in un dogma cinico, un’esortazione a sopportare ogni avversità, rinnegando il proprio io più intimo, il proprio dolore, in nome di un imperativo assoluto: produrre senza sosta. Con un linguaggio drammaturgico affilato e una messinscena evocativa, lo spettacolo invita a una riflessione critica sulle dinamiche oppressive della nostra era, esponendo le contraddizioni e l’insostenibilità di un modello culturale che glorifica la disconnessione emotiva e il sacrificio dell’io in favore di un’illusoria forza interiore e autosufficienza. Questa opera si erge a manifesto contro la mercificazione dell’esistenza umana, sfidando lo spettatore a interrogarsi sulla vera natura della felicità e del successo in un mondo che sembra aver dimenticato il valore dell’autenticità e della condivisione emotiva. La narrazione si avvale di una scenografia innovativa e di soluzioni registiche avant-garde per immergere lo spettatore in un’esperienza teatrale totalizzante, che interpella direttamente le sue convinzioni e stimola una riflessione critica sul significato dell’esistenza in un’epoca dominata dal consumismo e dalla prestazione. Con questa pièce, Carrozzeria Orfeo non solo conferma il suo impegno verso un teatro che sia specchio delle contraddizioni del nostro tempo, ma eleva anche il discorso artistico a una nuova dimensione, dove l’esplorazione dei confini esterni della società serve a illuminare quelle zone d’ombra interne all’individuo, spesso nascoste dietro le facciate luccicanti del successo. In un palcoscenico vibrante di voci e presenze, emerge con prepotenza la magia interpretativa della compagnia di Modena, tessendo insieme una trama densa di interrogativi, effimere apparizioni di tematiche che spaziano dall’intelligenza artificiale alle sfide climatiche, dalle cicatrici lasciate dalle guerre alle ombre della violenza, dagli echi aspri degli haters all’aridità dell’analfabetismo emotivo. Questa varietà tematica, pur nella sua fugacità, non disperde la coesione dello spettacolo, ma anzi, ne sottolinea l’unità e l’intensità, in un affresco corale che cattura e riflette la complessità del nostro tempo. Gradualmente, lo spettatore viene introdotto a un mosaico di esistenze. Tra queste, spicca la coppia composta da Omar (interpretato da Sergio Romano), astuto imprenditore nel campo delle farine biologiche, fuggiasco da un passato familiare terrestre, e il suo dolce compagno Patrizio (Roberto Serpi), il quale nutre il desiderio profondo di adottare un bambino. La narrazione si arricchisce poi della figura di William (Ivan Zerbinati), un capitalista dall’indole malevola, dedicato giorno e notte alla fabbricazione di fake news senza il minimo scrupolo, e del suo domestico, Nat (Sebastiano Bronzato), un immigrato bengalese caratterizzato da un arto artificiale e una passione per l’etologia, elemento ricorrente nelle opere di Di Luca che spesso include personaggi dall’identità extracomunitaria. Completa il quadro Jasmine (Alice Giroldini), popstar in balia di una tempesta emotiva scatenata dal doppio tradimento del suo produttore-compagno e della madre, coinvolta sentimentalmente con quest’ultimo. Carrozzeria Orfeo dimostra ancora una volta la propria abilità nel costruire personaggi riccamente sfaccettati, ognuno portatore di un intimo universo di contraddizioni, debolezze e aspirazioni.  A guidare questa comunità disfunzionale nella ricerca di un possibile riscatto è un coach, impersonato con sottile autoironia da Massimiliano Setti, il quale, nonostante le evidenti difficoltà, mantiene un’infrangibile speranza nel potere trasformativo del cambiamento. La sua figura emerge come catalizzatore di un processo di introspezione e, forse, di guarigione, offrendo allo spettatore non solo momenti di riflessione ma anche di identificazione con i tormenti e le speranze dei personaggi. In questo scenario che sembra presagire un inesorabile declino, si scorgono però sprazzi di speranza. Questi sprazzi di luce invitano a credere nella possibilità di rinascita e rigenerazione, anche nelle condizioni più avverse. @photocreditManuelaGiusto