Venezia, Peggy Guggenheim Collection: “Marcel Duchamp e la seduzione della copia” seduce la laguna

Venezia, Peggy Guggenheim Collection
MARCEL DUCHAM E LA SEDUZIONE DELLA COPIA
A cura di Paul B. Franklin
Venezia, 13 marzo 2024
“Pour copie conforme” – copia certificata, queste le parole con cui lo stesso Duchamp diede il proprio avallo alla prima e alla seconda copia, o ricostruzione, della sua “opus magnum” : la sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (1915-1923) eseguite rispettivamente da Ulf Linde per la mostra “Röselse i konsten” a Stoccolma nel 1961 e da Richard Hamilton nel 1966 per la mostra “The almost complete work of Marcel Duchamp” alla Tate di Londra.
Ennesimo, (e non ultimo) gesto ironico-provocatorio di uno degli artisti più influenti del XX secolo, che della “meta-ironia” ha fatto l’architrave di tutta la sua produzione artistica. Nato a Blainville-Crevon nel 1887, all’interno di una famiglia versata nelle arti (figurative e musicali), Duchamp, inizia la propria produzione artistica interiorizzando le principali correnti pittoriche del suo tempo: l’impressionismo (Paesaggio a Blainville 1902), i fauve (Corrente d’aria sul melo del Giappone 1911), fa propria la lezione di Cézanne (Ritratto del padre 1910), raggiunge e oltrepassa il cubismo (Giovane triste in treno – 1911-12, Nudo che scende le scale n°2 – 1912). Gli iniziali insuccessi sul piano del pubblico riconoscimento, la sua personale ricerca artistica, e la volontà precisa di non vivere da artista professionista, lo spinsero ad allontanarsi tanto dagli ambienti artistici, quanto dalla concezione formale/tradizionale del fare arte, concependo invece un’arte più cerebrale, un’arte che ponesse l’Idea al centro. Così, nel 1918, a soli 31 anni, Duchamp abbandona la pittura ad olio per dedicarsi agli scacchi. Al contrario di quanto possa sembrare però, aver abbandonato la pittura “retinico-olfattiva” non comportò la fine della produzione artistica di Duchamp che, già nel 1913, aveva realizzato il primo (Ruota di bicicletta) di quei “gesti artistici” che successivamente definì “Ready-made” e che rappresentano tout court la concezione artistica dada di cui Duchamp fu uno dei massimi rappresentanti. I Ready-made, oggetti di produzione industriale (quindi multipli) e di uso comune, (uno scolabottiglie, un pettine, un orinatoio), che vengono elevati allo status di opere d’arte per il solo fatto di essere stati scelti e firmati dall’artista, esemplificano quella “bellezza di indifferenza” con cui Duchamp demolisce tanto la concezione dell’ artista-demiurgo, quanto quella dell’opera d’arte originale, contrapposta alla copia. Proprio queste sono le tematiche che vengono approfondite nell’esposizione. In una celebrazione senza precedenti del genio creativo di Marcel Duchamp, una delle figure più enigmatiche e influenti dell’arte moderna, un’istituzione museale di primo piano come il Peggy Guggenheim di Venezia apre le sue porte alla prima mostra personale dell’artista mai organizzata fino ad oggi. Questo evento esclusivo si avvale di prestiti eccezionali da alcune delle più prestigiose istituzioni e collezioni sia pubbliche che private a livello internazionale, tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Philadelphia Museum of Art, il Museum of Modern Art di New York, il Solomon R. Guggenheim Museum di New York, e la raffinata collezione veneziana di Attilio Codognato. Attraversando l’arco temporale della carriera di Duchamp con una cura quasi filologica, la mostra propone al pubblico oltre sessanta opere in un percorso espositivo riccamente articolato che spazia dalle sue sperimentazioni pittoriche e disegni ai celebri ready-made, senza trascurare le opere che sfuggono alle definizioni più convenzionali, come “La scatola verde” del 1914. Questa diversità nell’esposizione non solo riflette l’eclettismo dell’artista, ma invita anche a una riflessione più ampia sul concetto di arte stessa. L’esibizione è impreziosita dalla presenza di contenuti multimediali e interviste d’archivio che offrono una finestra sugli intricati processi creativi di Duchamp, demistificando la complessità e la meticolosità dietro alcune delle sue creazioni più significative. Tra queste, emerge come fulcro dell’intera mostra la “Scatola in una valigia” (1935-1941), un’opera che incarna in maniera emblematica l’innovativo approccio di Duchamp all’arte: concepita come un museo portatile, contiene riproduzioni in miniatura di 69 delle sue opere, fungendo da metafora del viaggio dell’artista attraverso l’arte e della sua capacità di trasformare lo spazio espositivo in un’esperienza intima e personale. La versione deluxe qui esposta, la I/XX realizzate da Duchamp, acquistata da Peggy Guggenheim nel 1941, sottoposta per l’occasione a due interventi conservativi condotti dall’ Opificio delle pietre dure di Firenze, è una valigia ricoperta in pelle di vitello contenente cartone, legno, tela rigida, tela cerata, velluto, ceramica, vetro, cellophane, gesso, filo di ferro, elementi in ferro e ottone, riproduzioni a stampa tipografica, collotipia e litografia su carta, cartoncino, trattati con tempera, acquerello, pochoir, inchiostro, grafite, resine vegetali e gomme naturali e chiusa da una serratura Luis Vuitton e si compone di un totale di 180 elementi che assemblati riproducono perfettamente 69 opere dell’artista, (da Sonata a Tu’m, dal Grande Vetro a 50cc air de Paris). Contenitore di copie, prodotta in multipli, progettata ed assemblata più come un oggetto industriale che opera d’arte, ognuna delle venti “Scatole in una valigia” contiene anche un originale, nel caso specifico il coloriage original di “Il re e la regina attraversati da nudi veloci” 1937: manifesto tangibile della complessità del pensiero e del fare di Duchamp sempre in silenzioso ed ironico equilibrio tra provocazione e tradizione. Gli spazi del Guggenheim sono caratterizzati da una straordinaria ricerca della perfezione, dove ogni oggetto e opera d’arte trova la sua collocazione ideale, creando una connessione estetica e di significato che si integra perfettamente nel percorso evolutivo dell’artista. Le opere sono messe in risalto da un’illuminazione studiata ad hoc, con luci ben puntate e vibranti che ne valorizzano le tonalità e le forme, rendendo ogni dettaglio nitido e ogni colore vivido, in una celebrazione della bellezza e della creatività che lascia il visitatore senza parole. A rendere l’esperienza ancora più immersiva e significativa, la presenza straordinaria in mostra di Germano Chilelli, uno studioso indipendente la cui competenza e passione per l’arte ha trasformato la visita in un dialogo aperto e coinvolgente. Chilelli, con la sua straordinaria capacità di comunicare e la profonda conoscenza del settore, è riuscito a dialogare con il pubblico, rispondendo con competenza ai numerosi quesiti e arricchendo la comprensione delle opere esposte. La mostra è ulteriormente arricchita da un catalogo illustrato di pregio, pubblicato da Marsilio Arte, che comprende un saggio del curatore Paul B. Franklin.