Milano, Teatro alla Scala: “Don Carlo”

Milano, Teatro alla Scala, stagion d’Opera e Balletto 2008/2009
“DON CARLO”
Opera in quattro atti. Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle.
Traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini
Musica di Giuseppe Verdi
Filippo II FERRUCCIO FURLANETTO
Don Carlo
GIUSEPPE FILIANOTI
Rodrigo, Marchese di Posa
DALIBOR JENIS
Il grande inquisitore
ANATOLIJ KOTSCHERGA
Un frate
DIOGENES RANDES
Elisabetta
FIORENZA CEDOLINS
Eboli
DOLORA ZAJICK
Tebaldo
CARLA DI CENSO
Conte di Lerma
CRISTIANO CREMONINI
Araldo reale
CARLO BOSI
Voce dal cielo JULIA BORCHERT
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Daniele Gatti
Regia e scene Stéphane Braunschweig
Scenografo collaboratore Alexandre de Dardel
Costumi Thibault van Craenenbroeck
Luci Marion Hewletti
Milano, Teatro alla Scala, 4 dicembre 2008

Parto subito dalla parte registica e scenografica che ha destato unanime consenso almeno per quanto ho potuto sentire e vedere. Una scenografia minimal per ciò che concerne elementi e apparati scenici,che lasciava molto spazio ai movimenti e dava un’aura di leggerezza inusuale per quest’opera posta comunemente sulla stessa scia ideale dei vari Trovatore,La forza del destino e Macbeth ,opere oscure, che paiono talvolta ambientate solo di notte (quindi sempre e comunque “nere”, allestimento tradizionale o no). Allestimento nuovo anche in questo senso,che senza stravolgere alcunché, ha però il merito di reinventare una concezione paludata e anche un pò datata dell’opera. Fra gli elementi di “tradizione” , sul piano materiale è giusto citare i costumi d’epoca (veramente belli e mai troppo sfarzosi) ; idealmente invece, la presenza dei bambini che corrispondevano a 3 dei 5 protagonisti (Carlo,Elisabetta e Rodrigo).
L’aspetto che il regista ha tenuto più a sottolineare era infatti quello nostalgico, tanto presente nel dramma in questione. In questo senso andavano lette le numerose presenze didascaliche dei bambini in diversi punti dell’azione, nonchè l’immagine della foresta di fointanebleau sul fondo. Bella l’idea di porre, nella scena dell’autodafè,una sorta di collegio di cardinali che stavano seduti su alti scranni circondando la folla, un po’ meno quella di far comparire Carlo V vivo e vegeto e farlo avanzare fino al proscenio camminando tranquillamente, in modo che Don Carlo potesse appoggiarsi a lui senza troppi effetti speciali.
Gli interpreti:Ferruccio Furlanetto (Filippo II) assolutamente strepitoso. Un artista di gran mestiere, una voce che non tradisce le aspettative del pubblico, per colui che fu l’ultimo Filippo di Von Karajan, e che si conferma un cantante come pochi lo sono oggi. Un personaggio che pare cucito addosso a lui, per temperamento,presenza scenica e impasto vocale. Ascoltatelo vent’anni fa e poi oggi,è davvero difficile stabilire quale sia la migliore esecuzione. A lui la palma del migliore della serata.
Altra grande acclamata è stata Dolora Zajick,sicuramente la migliore nel cast femminile. Ha 57 anni e non lascia presagire alcuna smagliatura vocale né cedimenti stilistici di rilievo. Si conferma per quelli che sono sempre stati suoi pregi e difetti, e sono quasi sicuro che, ad oggi, i primi superino di gran lunga i secondi. Inutile quindi soffermarsi sulla pronuncia poco chiara o altre inezie simili; in tal caso di voce ce n’è eccome, e la parte della principessa infida le calza se non a pennello, almeno molto bene. Fra le due arie, meglio O don fatale, più nelle sue corde e nel suo stile. La più applaudita in ogni caso.
Una lieta sorpresa per me è stato il Rodrigo di Dalibor Jenis. Mai ascoltato prima di ieri, ma davvero un cantante su cui riporre le nostre speranze per il futuro. Una vocalità che a tratti ricordava Dietrich Fischer-Dieskau, sia per l’eleganza nel fraseggio che per la corposità dello strumento. Assolutamente a suo agio nel personaggio del marchese anche grazie a tratti fisici e somatici da vero “grande di spagna”. Meglio nel duetto del primo atto con Carlo e in quello con Filippo. Meno carismatico nell’aria, ma comunque corretto. C’è da dire che il calo di rendimento vocale ha condizionato tutti i protagonisti verso la fine.
Discreta la prova di Giuseppe Filianoti. Un tenore che personalmente non mi aspettavo per quest’opera,conoscendo anche poco la sua carriera. Vedendolo due o tre anni fa nel Mosè, non me lo sarei atteso oggi in Don Carlo (ma nel frattempo qualcosa sarà pur cambiato credo e spero, per giustificare questa scelta).Chiaramente si è difeso come poteva. Una vocalità la sua molto mobile ma non potentissima, che in questo contesto peccava di carenza di un peso vocale specifico . Un fraseggio energico e una forte immedesimazione (anche troppo ostentata) nella parte dell’infante isterico, che è Don Carlo, non possono però sopperire ai limiti che la sua voce ad oggi porta con sé almeno per questo tipo di ruoli, per cui secondo me, c’è ancora tempo. Il già citato calo di rendimento ha colpito soprattutto lui nell’ultimo atto: si avvertiva palesemente la fatica del reggere lo spartito verdiano.
Ora le note dolenti,che pure non hanno offuscato il successo della serata ma  che comunque lascia aperto l’eterno quesito sulla scelta dei cast alla Scala . Parliamo di Fiorenza Cedolins. Devo dire che i miei timori verso di lei si sono rivelati fondati. Un ruolo, quello di Elisabetta  che dopo tutto le starebbe anche bene,in quanto arride al suo temperamento e nella sua vocalità, se però non ci fossero vistosi difetti e precoci cedimenti vocali per una cantante, che all’età di 42 anni non mi pare proprio ci abbia lasciato delle perle memorabili finora. Una voce che si sente poco e risulta spesso intubata, stentorea anche negli smorzamenti e veramente ai propri limiti negli acuti della pur limitata parte (essendo oltretutto qui presentata qui l’edizione in quattro atti). Si è portata alla fine senza rischiare molto e aiutata comunque da un’interpretazione ben calibrata e un espressività vocale efficace per quando richiesto.Buona la prova del basso Anatolij Kotscherga, un grande inquisitore vestito da papa, dotato di una voce profonda e sonora anche se non proprio bella e pregnante,comunque adatto alla parte.Degni di nota il Tebaldo di Carla Di Censo e il frate di Diogenes Randes.
Daniele Gatti  si dimostra davvero un grande direttore. Mantiene tempi e dinamiche corretti e scevri da effetti estetici inutili o disgiunti dalla frase musicale. Una lettura coerente,vibrante e che teneva insieme ogni elemento dell’esecuzione, senza opprimere i cantanti in alcun modo. L’edizione scelta ,priva dell’atto di Fontainebleau ,non comprendeva i ballabili del secondo atto ma comunque veniva presentava come ” edizione integrale delle varie versioni in quattro e cinque atti,comprendenti gli inediti verdiani” come recitava la locandina.