Trieste, Politeama Rossetti:American Ballet

Trieste, Politeama Rossetti, Sala Assicurazioni Generali
“AMERICAN BALLET THEATRE ABT II – USA GREAT DANCE

Direttore artistico Wes Chapman
Coreografie Jerome Robbins, Roger Van Fleteren,
George Balanchine, Edwaarg Liang, Antony Tudor,
Jodie Gates

Musiche di Morton Gould, Karen LeFrak, Piotr I. Tchaikovsky,
Antonio Vivaldi, John Philip Sousa, Johann Pachelbel,
Ludwig Van Beethoven.
Trieste, 29 marzo 2o11
Giovani, belli e promettenti! Così potrebbe chiamarsi la serata che gli interpreti del American Ballet II ci hanno regalato il 29 marzo al Politeama Rossetti di Trieste. L’American Ballet II è la compagnia giovane dell’American Ballet Thetre, colosso americano con alle spalle 60 anni di storia di altissimo livello. A dirigere la formazione minore (se così si può definire un tale stuolo di talenti…) troviamo Wes Chapman che è stato Primo Ballerino della compagnia maggiore per diversi anni. A lui dobbiamo le indovinate scelte artistiche delle coreografie proposte.
Giovani perché l’età dei 15 danzatori arrivati a Trieste va dai 17 ai 21 anni. Ma, se li avete visti, vi sarete resi conto che, almeno professionalmente e tecnicamente, tutto sono fuorché giovani. Certo, qualche imprecisione, qualche sbavatura dovuta all’inesperienza si è vista ma il banco di prova è proprio il palcoscenico e siamo onorati di aver fatto da “cavie” per dei talenti che troveremo ancora per tanti anni sui palcoscenici mondiali.
Belli, nel senso artistico più che estetico, soprattutto gli uomini. Da un po’ di anni a questa parte, la danza sta diventando sempre più maschile. Dopo secoli di predominanza femminile, grazie all’arrivo di Nureyev in Occidente, il ruolo maschile ha vissuto una rinascita insperata. Ora, abbiamo in scena dei danzatori che, senza sacrificare la potenza tecnica tipicamente maschile, hanno saputo assorbire la cura e la bellezza delle linee dei piedi e delle gambe tipica delle danzatrici.
Promettenti perché, seppur il lacunoso programma di sala non ci permetta di citare il nome degli intepreti dei singoli brani, abbiamo visto sicuramente almeno un paio di futuri primi ballerini.
La serata inizia con una ripresa di “Interplay”, brano di Jerome Robbins del 1946: 65 anni e li dimostra tutti! Atmosfere jazz superate, coreografia che non stupisce più ma ricorda (in noi meno giovani) i balletti televisivi dei varietà del sabato sera. Bravi tutti i danzatori che dimostrano da subito di possedere una tecnica pulita e brillante. Interessante, invece, l’uso delle luci: Robbins chiede ai danzatori di posizionarsi in proscenio, dove la luce non batte, per creare così dei tableaux vivants di rara bellezza.
Il primo danzatore a stupirci è l’interprete di un manierato ma delicato passo a due di Roger Vanfleteren, intitolato “Pavlovsk”, ispirato alla tragica storia di un generale russo assassinato nel 1799: il danzatore ci regala attimi di grande tecnica e buona espressività, affiancato da una danzatrice corretta ma niente più.
Segue una spumeggiante esecuzione di “Allegro Brillante” di George Balanchine: leggerezza, velocità e musicalità, sono i tratti distintivi della coreografia e le doti che questi giovani possiedono tutte. Qualche imprecisione, instabilità sulle punte e insicurezza nell’esecuzione nella compagine femminile.
Il secondo tempo inizia con un estratto da “Ballo per sei” di Edward Liang, e notiamo subito quanto hanno lavorato sul partnering questi giovani: gli uomini riescono a recuperare queste donne…sull’orlo di un fuori asse! E lo fanno mantenendo controllo e postura: le prese scivolano via fluide e forti, dei giri si è detto e la qualità di movimento d’assieme è veramente ottima.
Due regali preziosi, per quanto riguarda la grande coreografia sono il passo a due da “Stars nad Stripes” sempre di Balanchine (e qui appare il secondo futuro primo ballerino: simpatico, tecnica esplosiva, un ragazzo moro e riccetto che rivedremo presto, credo nella compagnia principale dell’American Ballet Theatre!) e un gioiello di Antony Tudor: “Continuo”.
Cambio totale di registro per il gran finale: dai fondali semplici ma colorati alla nebbia che inspessisce le belle luci da concerto rock di Brian Sciarra, dai body e calze dei brani precedenti alla stilizzazione non banale delle marsine settecentesche ad opera di Melanie Watnick, veniamo sorpresi dalla bella coreografia di Jodie Gates “A taste of sweet velvet”. Si cambia completamente lo stile: destrutturazione del movimento (come l’altro innovatore del XX secolo, William Forsythe, ci ha insegnato), velocità, duetti che seguono terzetti e momenti più corali sull’immortale e bellissima musica del Secondo movimento della IX Sinfonia di Ludwig Van Beethoven. Stavolta viene alla ribalta un terzo danzatore: alto, statuario, dai bei lineamenti: si era molto speso nei brani precedenti ma senza mai primeggiare, mentre qui esce al suo meglio….l’off balance è decisamente il suo regno! Piacevolissima serata, pubblico entusiasta, partecipe e ben educato ai tempi e modi della danza, sala gremita.