Fede simbolo mito secondo la cultura francese: Britten Messiaen Ravel alla RAI di Torino

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini” , Stagione Concertistica 2012-2013
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Juraj Valčuha
Soprano Sandrine Piau
Benjamin Britten:
“Les illuminations” op. 18, per voce e orchestra d’archi, su poesie di Arthur Rimbaud
Benjamin Britten / Colin Matthews: “Three Additional Songs for Les illuminations”
Olivier Messiaen: “Les offrandes oubliées”, meditation symphonique
Maurice Ravel: “Daphnis et Chloé”, balletto in tre parti di Mikhail Fokin (suite n. 1 e n. 2)
Torino, 15 Novembre 2012

I concerti della stagione RAI vanno rivelando di volta in volta una sempre più profonda coerenza di programmazione, capace di offrire al pubblico non soltanto la qualità delle esecuzioni, ma anche termini di confronto e sintesi precise in merito a forme di esperienza artistica ben contestualizzate nel tempo e nello spazio. Juraj Valčuha ha già diretto tre concerti su cinque dall’inizio della rassegna, e si conferma, oltre che interprete originale e raffinato, musicista attento e scrupoloso nella concezione di un programma e della disposizione dei brani al suo interno. L’ultima locandina si prospettava interamente centrata sulla cultura francese dei primi decenni del Novecento, dalle riflessioni religiose di un giovane Messiaen, autore di una breve e intensa Méditation symphonique, alla poesia simbolista delle Illuminations di Rimbaud, capace di affascinare un altro promettente compositore (e neppure francese) come Britten, alla grande arte coreutica e sinfonica di Ravel e dei Ballets Russes, sulla rivisitazione del romanzo greco di Dafni e Cloe (da Longo Sofista). Al termine del concerto l’ascoltatore aveva maturato un’idea per nulla stereotipata della cultura francese tra inizio secolo e Anni Trenta: non solo scintillii e joie de vivre, quanto piuttosto desiderio di confronto con la tradizione, mitica e religiosa, dal romanzo di età tardo-antica ai simboli centrali del Cristianesimo.
Quello delle Offrandes oubliées (1930) è un Messiaen ancora affascinato dalla robustezza dell’orchestrazione, come rivela il secondo movimento del brano (Le peché), anche se l’organico va rarefacendosi nella terza e conclusiva sezione (L’Eucharistie), assumendo l’aspetto ritmico-armonico dell’Apparition de l’Église éternelle (che segue di soli due anni) o di titoli che meglio identificano lo slancio mistico del compositore. Valčuha ha reso bene l’immobilità di questa musica, con sonorità molto trattenute, in particolare ad apertura e chiusura.
Al centro del programma erano collocate Les illuminations, composte da Britten nel 1939 su poesie di Arthur Rimbaud: un ventiseienne musicista inglese si cimentava con il testo simbolista che il poeta francese aveva realizzato tra 1871 e 1872 nel corso di un soggiorno londinese; un modo per congiungere spazi diversi grazie a sensibilità ugualmente diverse, eppure armonizzabili (grazie a elementi come l’indeterminatezza, l’ambiguità erotica, la digressione descrittiva, il simbolo). Dal progetto originario, che collegava tra loro quattordici liriche, Britten ne espunse quattro, di cui restano però abbozzi e indicazioni dettagliate; nel 2010 il compositore inglese Colin Matthews ha assemblato il lavoro preparatorio di Britten, e ricostruito l’orchestrazione di tre dei poemetti esclusi dal ciclo (sempre per archi e soprano), restituendo così un’integrazione alle Illuminations secondo il progetto di partenza, poi modificato.
I tre pezzi aggiuntivi, eseguiti in première mondiale a Glasgow soltanto nel 2010 e ora proposti per la prima volta a Torino, hanno preceduto il Britten più noto; ed è stata, anche se contraria all’impostazione storico-cronologica, scelta felice, perché ha permesso a Sandrine Piau di scaldare la voce, e di rendere splendidamente il celebre attacco J’ai seul la clef de cette parade sauvage. La voce di questo soprano è molto ferma, omogenea, non conosce incrinature; ed è apprezzabile che la cantante non se ne compiaccia mai, perché questo brano incantato e straniante non tollererebbe auto-referenzialità di sorta. Bravissima nelle messe di voce, nei mezzi toni, nei pianissimi, nei passaggi in cui la musica richiede di cantare a piena voce, Sandrine Piau valorizza anche un suo personale accostamento “madrigalistico” alla partitura di Britten, da esperta vocalista barocca qual è, specie nelle sezioni in cui l’orchestrazione lo suggerisce (per esempio, il pizzicato degli archi in IIIb. Antique è la base perfetta, di ritmo danzante, per l’espressività della solista). Proprio perché impostata sulla fermezza, la voce brunita della Piau non cede mai all’emissione di note fisse, tipica della vocalità di impostazione anglosassone (per musica barocca e non), ed è concentrata sullo studio dell’intensità: si avverte soprattutto nelle differenti modalità con cui enuncia la frase-guida, che compare tre volte, Io solo ho la chiave di questa parata selvaggia!, oltre che nei numerosi passaggi virtuosistici e nelle agilità belcantistiche. Il direttore accompagna la cantante con grande abilità, perché sa contenere le sonorità dell’orchestra d’archi in volumi sobri, funzionali all’astrazione simbolista della pagina.
La prima parte del concerto si chiude dunque con grande apprezzamento del pubblico nei confronti del soprano e dell’orchestra: la bellezza e la sicurezza della voce, la trasparenza degli archi e la precisione di attacchi e ritmi sono state i valori-guida delle tre esecuzioni.
Nella seconda parte il protagonista, insieme all’orchestra, è stato soprattutto Valčuha, e non soltanto come direttore. Anziché proporre una delle due suites sinfoniche che Ravel approntò nel 1913 a partire dai numeri del balletto Daphnis et Chloé, Valčuha ha infatti preparato una nuova selezione, scegliendo personalmente dai tre quadri della partitura originale del 1912. L’antologia è risultata molto equilibrata, tra pagine di sonorità soffuse (come la Danse lente et mystérieuse des Nymphes dalla parte I, o il famoso Lever du jour dalla parte III) e altre più concitate (la Danse guerrière della parte II, o lo strepitoso baccanale con cui il balletto si conclude); ma non è mancata la lunga sezione, più propriamente narrativa, con il racconto degli amori di Pan e Siringa (la Pantomime tratta dalla parte III). Le variazioni di ritmo hanno dunque caratterizzato la nuova suite, in cui molti momenti puntavano sulla valorizzazione del singolo strumento: il flauto in sol (Luigi Arciuli, protagonista nella scena di Pan e della sfortunata ninfa), il primo violino (Roberto Ranfaldi), il clarinetto piccolo (Franco Da Ronco), il controfagotto (Bruno Giudice), l’oboe (Francesco Pomarico), le arpe (Margherita Bassani e Stella Farina), i corni (Corrado Saglietti e i suoi colleghi), le numerose percussioni e molti altri ancora; tutti hanno eseguito con straordinaria intensità le pagine dalla più composita e innovativa partitura di Ravel, quella che innova l’orchestrazione nel sinfonismo novecentesco. Ma soprattutto, ad aver reso affascinante l’ascolto (e quindi ad aver entusiasmato il pubblico) è stato un “suono di fondo”, una sorta di pedale timbrico che ha accompagnato l’intera esecuzione, e l’ha distinta per omogeneità e coesione: Valčuha ha saputo individuare una tinta sonora che amalgamava perfettamente i contributi di archi, fiati, percussioni, tale da riconoscersi anche nei passaggi più grandiosi e di più ampio volume. Su tale colore di fondo, dal suono morbido e ovattato, emergevano striature e gradi diversi di luminosità, grazie agli interventi dei singoli strumenti o di intere famiglie; e nulla andava perduto della bellezza autenticamente coloristica e impressionistica della partitura. Tutto è sembrato vertere sulla pagina più celebre, il Lever du jour del terzo quadro, con quell’«intrico di micropolifonie» di cui ha parlato Enzo Restagno (nel suo libro Ravel e l’anima delle cose, Milano 2009), che hanno avvolto di una luce indefinibile la sala dell’Auditorium RAI “Arturo Toscanini”: dalla vicenda avventurosa dei due giovinetti dell’antica Grecia una luce di mistero, di sensualità, di liberazione.