“Otello” al Teatro Regio di Parma

Teatro Regio, Festival Verdi 2015
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti. Libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Otello RUDY PARK
Jago
MARCO VRATOGNA
Cassio
MANUEL PIERATTELLI
Roderigo
MATTEO MEZZARO
Lodovico
ROMANO DAL ZOVO
Montano
STEFANO RINALDI MILIANI
Un araldo
MATTEO MAZZOLI
Desdemona
AURELIA FLORIAN
Emilia
GABRIELLA COLECCHIA
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Daniele Callegari
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia, scene, costumi Pier Luigi Pizzi
Luci Vincenzo Raponi
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, 4 ottobre 2015
Se c’è una cosa che il teatro di Verdi rifugge come la peste è l’estetismo fine a se stesso. A maggior ragione quando il suo infallibile istinto teatrale si fonde con quello di un altro geniaccio della drammaturgia come Shakespeare. Ahinoi, la cosa si verifica puntualmente in questo “Otello” parmigiano, nuovissimo allestimento del Festival Verdi. Regia, scene, costumi sono di Pier Luigi Pizzi, che da decenni sfoggia la medesima idea di teatro musicale, basata su scene piacevoli (stavolta meno del solito) e costumi curati (in questo caso scelti con scarsa coerenza: i coristi sono all’insegna di un Medio Oriente pastello, Jago veste in nerissimo leather, a Otello toccano improbabili teli monocromi che forse vorrebbero esaltarne la sua estrazione culturale altra e invece lo rendono solo più goffo). Qui Cipro è stilizzata, tratteggiata con volumi tridimensionali color sabbia. Al primo atto il fondale si accende di stelle, al secondo appaiono striminziti arboscelli dorati. Spiace assai che i due corridoi laterali che costeggiano la sala del trono nel terzo atto restino inutilizzati: da lì Otello potrebbe ascoltare non visto il dialogo fra Cassio e Jago. Invece niente. Cosa resta nella memoria? Un’immagine: Desdemona al quarto atto, sconsolata, sola, in algida luce, dondola davanti a quel talamo dove di lì a poco morirà, in posa non dissimile dalla donnona dell’“Incubo” di Füssli. Insomma, se si vuole cercare un po’ di teatro bisogna sperare che i membri del cast ci mettano del loro. E spiace dire che è il protagonista il primo a difettare di presenza scenica.
Il coreano Rudy Park ha difatti sostanza vocale generosa: timbro scuro, acuti sicuri sempre. Sbalorditivo è il suo “Esultate” o il do alle parole “Quella vil cortigiana”. Ma in scena è inerte laddove addirittura non caricaturale, il fraseggio è quel che è e sbaglia pure troppi attacchi (bontà del direttore riprenderlo). Se il duetto del secondo atto si salva è perché accanto a lui c’è Marco Vratogna, uno Jago forse poco elegante (sicuramente il timbro è fin troppo cupo e certe salite all’acuto nel primo atto non sono d’intonazione impeccabile) ma di verve indiscutibile: l’accento è protervo senza strafare, veemente e non monocorde, il suo Credo è cantato e recitato con pertinenza. Opaca, piccola a confronto dei due colleghi, la Desdemona di Aurelia Florian. Voce corretta ma di timbro poco interessante, duretta qua e là, di gravi troppo poco sonori, azzecca però la Canzone del salice e l’Ave Maria finale. Merito anche di Daniele Callegari, che le costruisce attorno una cornice di grande morbidezza, complice una Filarmonica Toscanini in grande spolvero, virtuosa nelle sezioni degli archi, generosa senza sbracare fra le file degli ottoni. Una lettura, quella di Callegari, che non lesina in grandi effetti sonori (impressionante, in tal senso, l’attacco del primo atto o il finale del terzo).
Grandi escursioni dinamiche, insomma, ma anche tempi spediti, adatti alla narrazione, pizzicati esplosivi, pianissimi timbrati. Bello il Cassio di Manuel Pierattelli: voce chiara e qualche insicurezza nelle salite in acuto, ma nel complesso la sua performance è molto credibile. Ottimo il Roderigo di Matteo Mezzaro, ben scandito il Montano di Stefano Rinaldi Miliani. Meno a fuoco il Lodovico di Romano Dal Zovo e l’araldo di Matteo Mazzoli. Corretta anche se di timbro non troppo piacevole Gabriella Colecchia nel ruolo di Emilia. E il Coro del Teatro Regio diretto da Martino Faggiani colpisce per quantità e qualità di suono: la parola di Boito ne esce scolpita, la musica di Verdi ne riceve il miglior servizio.