Félicien David (1810-1876): “Herculanum” (1859)

Opéra in in quattro atti su testo di Joseph Méry e Térence Hadot. Véronique Gens (Lilia), Karine Deshayes (Olympia), Nicolas Courjal (Nicanor), Edgaras Montvidas (Hélios), Julien Véronèse (Magnus). Flemish Radio Choir, Brussels Philarmonic, Hervé Niquet (Direttore). Registrazione: Bruxelles, 27 febbraio- 7 marzo 2014. Edizione Palazzetto Bru Zane & Ediciones Singulares ES1020

Félicien David (1810-1876) è stata una figura di primo piano sulla scena musicale francese intorno alla metà del secolo, a cavallo fra la generazione di Meeyerber – sistematicamente presente alla mente di David – e quella di Gounod che trova in lui spesso un sorprendente anticipatore. Se il maggior successo del compositore provenzale è stata l’opéra-cominque orientaleggiante “Lalla Rokh”, è stato “Herculanum” il titolo che nel 1859 gli ha aperto le porte dell’Opéra con straordinario successo.
Il lavoro si inserisce pienamente in un gusto spettacolare di derivazione meeyeberiana e nonostante le dimensioni non eccessive della partitura contiene tutti gli elementi tradizionali del grand’opéra con in più quelle suggestioni languidamente erotiche che il pubblico parigino del tempo associava alle atmosfere orientali in qualche modo recuperate nell’ambientazione romana-campana dell’opera. Ma forse proprio questa ricerca di spettacolarità ha nuociuto alla fortuna dell’opera rispetto ad un temperamento prevalentemente lirico a cui si univa l’inconsistenza teatrale di un libretto che non potrebbe essere più lontano dai capolavori di Scribe.
La rilettura in chiave escatologico-cristiana dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. era venuta di moda fin da “The Last Days of Pompeii” di Edward Bulwer-Lytton del 1832, ma qui il tema appare decisamente confuso. La vicenda si gioca sulla contrapposizione fra la coppia cristiana Lilia ed Hélios e quella dei fratelli pagani Olympia e Nicanor che cercano di sedurli traviandoli dalla retta via finché l’ira divina non provocherà l’eruzione del vulcano per cancellare la corruzione pagana e concedere una riunione post-mortem agli amanti cristiani; il tutto condito da suggestioni orientaliste di maniera – che l’allestimento della prima ulteriormente caricava con scene cariche di citazioni mesopotamiche alquanto improprie che nei giorni seguenti alla prima scatenarono l’ironia dei vignettisti parigini – e da apparizioni diaboliche con tanto di possessione di Nicanor da parte di Satana in persona con conseguente balletto diabolico ormai divenuto di pragmatica dopo il trionfo di “Robert le Diable” in una tradizione continuata fino al “Faust” di Gounod.
Fortunatamente la musica di David si pone su ben altro piano e merita pienamente gli entusiasmi di Berlioz. Raffinatissimo orchestratore, David gioca con i timbri orchestrali con assoluta maestria ma è capace anche di comporre melodie di grande impatto emotivo. La contrapposizione fra le due coppie risulta molto più compiuta sul piano musicale che su quello teatrale con i cristiani chiamati ad esprimersi su linee melodiche chiare e nitide in cui già si sentono i futuri sviluppi del repertorio prettamente lyrique e la componente pagana che recupera virtuosismi di matrice post-rossiniana (specie per Olympia) e mollezze orientali. Notevoli i brani corali e i pezzi d’insieme come il trascinante coro degli schiavi ribelli del IV atto o il finale dove David sfrutta tutti gli elementi a disposizione per rendere il clima catastrofico del momento.
Un’esecuzione concertante o una registrazione discografica sono quindi il modo ideale per valutare i meriti musicali della partitura prescindendo dai limiti drammaturgici e questa nuova produzione realizzata dalla fondazione Palazzetto Bru Zane coglie nel pieno l’obbiettivo.
Alla guida della Brussels Philarmonic, Hervé Niquet offre una prestazione per certi aspetti sorprendente. Lo ricordavamo interprete raffinato e sensibile del repertorio tardo-barocco francese, lo ritroviamo pienamente padrone del gusto e dello stile del secondo impero senza perdere nulla in brillantezza sonora e cura del dettaglio. La sua è una direzione impetuosa, trascinante ma anche capace di esaltare i languori esotici delle scene di Olympia perfettamente assecondato tanto dall’orchestra, tanto dall’ottimo Flemish Radio Choir particolarmente sollecitato da David.
La compagnia di canto è estremamente omogenea e di ottimo livello complessivo. Véronique Gens (Lilia) è “liliale” come il nome del suo personaggio e appare vocalmente in ottima forma, firmando una delle sue prove più intense. Il bel colore lirico e luminoso è perfetto per la parte – da segnalare “Je crois au Dieu “ nel III atto con il suo andamento ascendente e la contrapposizione fra l’elemento angelico e quello demoniaco che sembra anticipare il fanale del “Faust” – di una dolcezza quasi materna nelle scene con Hélios in cui Lilia ha spesso la funzione di richiamo all’ordine morale analogamente a quanto è Micaela nei confronti di Don José. A quest’angelo incarnato non potrebbe esserci maggior contrapposizione di quella offerta dalla Olympia di Karine Deshayes frivola e “charmante”, piena di brio e di vitalità tanto da conquistare inevitabilmente l’attenzione. La voce è chiara ma compatta, omogenea, sicura su tutta la gamma;  la tecnica è ottima e le permette di venire a capo con bravura delle non facili colorature di “Tout est soumis à ma puissance”.
Nicolas Courjal (Nicanor) è un baritono nobile dal canto pulito ed elegante che si adatta perfettamente alla scena con Lilia del II atto ma dispone anche di una dizione autorevole e scolpita che unita ad un timbro decisamente robusto e sonoro dà il giusto rilievo alla scena diabolica che apre il III atto. Già apprezzato in altre occasioni, Edgaras Montvidas (Hélios) si conferma tenore lirico di notevoli qualità dalla voce sonora e squillante e da un’elegante morbidezza che trova proprio nel repertorio francese il suo terreno di naturale elezione. Con la sua robusta voce di autentico basso Julien Véronèse dà rilievo al ruolo del profeta Magnus tutto concentrato nel suo  fanatismo.