Taranto, Festival Paisiello 2016: “Nina o sia la pazza per amore”

Taranto, Chiostro del Museo Diocesano MUDI, 12-13 settembre 2016
“NINA o sia La pazza per amore”
Commedia per musica in prosa e in verso, libretto di Giuseppe Carpani e Giambattista Lorenzi dalla comédie di Benoit-Joseph Marsollier
Musica di Giovanni Paisiello
Prima esecuzione in tempi moderni della prima versione del 25 giugno 1789
Edizione critica a cura di Lucio Tufano
Nina
GIUSEPPINA PIUNTI
Lindoro  FRANCISCO BRITO
Conte  ROCCO CAVALLUZZI
Susanna  MARIA LUISA CASALI
Giorgio  ANDREA VINCENZO BONSIGNORE
Villanelle  VALERIA LA GROTTA, CRISTINA FANELLI, MARIA CHIARA SCARALE, FLAVIA MURI
Villani  DOMENICO PELLICOLA, GIUSEPPE LUCENTE, LUCA SIMONETTI, FRANCESCO MASILLA
Orchestra del Giovanni Paisiello Festival
Direttore Giovanni Di Stefano
Regia e scene Stefania Panighini
Costumi Veronica Pattuelli
Disegno luci Walter Mirabile
Taranto, 12 settembre 2016
Per il bicentenario della morte di Giovanni Paisiello l’omonimo festival organizzato dagli Amici della Musica di Taranto ha proposto la messinscena di uno dei titoli più celebri del genius loci: La Nina o sia la pazza per amore. L’opera è tra le più note del catalogo paisielliano, complice l’attenzione riservatale in tempi recenti da celebri direttori e interpreti. In quest’occasione tuttavia è stata presentata la versione originale del 25 giugno 1789 in un atto, mai più eseguita in tempi moderni in quanto preferita alla seconda versione in due atti del 1790 o a quella con i dialoghi cantati revisionata da Lorenzo Da Ponte nella Vienna di Mozart. Sulla base dell’ottima edizione critica, curata dal musicologo Lucio Tufano, il pubblico della città natale di Paisiello ha potuto così ascoltare una Nina stringata e drammaturgicamente più lineare. Unica intrusione della versione 1790 è stata la canzone del pastore, posta a mo’ di prologo con l’accompagnamento di un’autentica zampogna calabrese che ha suggestionato fin da subito l’uditorio, tornando poi al centro dell’opera per dare corpo sonoro alle allucinazioni della pazza per amore. La regia di Stefania Panighini, qui curatrice anche della scenografia, ha inteso abbinare la pazzia al mondo dell’inconscio e dell’infanzia facendo agire in scena due bambini, ‘doppi’ di Nina e Lindoro, impegnati in controscene emozionanti, in particolare quella del commiato finale di Nina dal suo doppio bambina che appariva come un addio rivolto all’età dell’innocenza. Lo spazio claustrofobico abitato dalla protagonista è stato pensato come una grigia casa in rovina al cui interno si posizionava una luna piena, allusione espressionista alla sfera dell’irrazionale, e un albero secco, simbolo dell’obnubilamento della ragione. Unica nota di colore il rosso vivo di alcuni papaveri, richiami all’amore perduto verso Lindoro, e di un libretto dove Nina appunta di continuo frammenti della sua nevrosi; libretto che alla fine dell’opera ella getterà via, segno dell’avvenuta guarigione che tuttavia viene messa in dubbio dalla sua scomposta risata collocata a pochi secondi dalle ultime battute dell’opera. Considerando che il testo librettistico del 1789 lasciava intuire che l’unica via di evasione dal dolore per Nina era offerta dalla lettura, la regista ha dunque pensato di riempire il palcoscenico di enormi libri praticabili congeniali a un continuo dinamismo scenico. Stefania Panighini si è mostrata infatti sensibile nel far coincidere con naturalezza il movimento dei cantanti sulla scena con gli snodi formali della musica paisielliana, dando in tal modo vita a una sorta di partitura gestuale che ha reso ancor più incisiva l’azione drammatica. Tra le tante idee della regista, preoccupata di bilanciare la staticità del dramma con un turbinio di azioni, è risultata spiazzante ma credibile quella che ha immaginato una liaison amorosa tra il conte e la governante di Nina (Mozart del resto insegna che i conti hanno un debole per le Susanne…) esplicitata da un bacio focoso al termine dell’aria di Susanna. A rendere prezioso l’allestimento sono stati i bellissimi costumi di Veronica Pattuelli, in parte ispirati alle atmosfere decadentistiche del Tim Burton di Sposa cadavere. Ottima l’intesa tra la regista e il disegno luci di Walter Mirabile che ha scandito i momenti topici di un’azione tutta interiore, quasi inconsistente e proprio per questo di non facile resa scenica.  Giovanni Di Stefano, avvezzo alle partiture di Paisiello, ha diretto la giovane orchestra del Paisiello Festival con verve straordinaria assicurando una vettorialità all’intera opera che poteva essere compromessa dalle continue interruzioni dei dialoghi recitati. Coraggiosi alcuni stacchi di tempo rapidissimi che hanno infranto alcune abitudini esecutive in nome di un rispetto delle agogiche originali. Ottima anche la differenziazione delle dinamiche e la cura riservata alla chiarezza timbrica nei numerosi segmenti concertanti. Giuseppina Piunti ha dato voce al personaggio di Nina – difficile sul fronte mimico e ambiguo su quello vocale in quanto sospeso tra soprano e mezzo-soprano – con un’intensità encomiabile specialmente nei lunghi recitativi parlati, da lei affrontati con una competenza attoriale rarissima nel mondo dei cantanti d’opera. Nella celeberrima aria Il mio ben quando verrà la scelta di vibrare ogni nota poteva sì allontanarsi da una corretta interpretazione stilistica ma di certo garantiva una presa emotiva straordinaria, quasi a materializzare in canto le emicranie della follia. La voce del tenore argentino Francisco Brito – ottimo anche come attore – è squisita per il timbro e la varietà dei colori dinamici, per la fantasia nelle variazioni improvvisatorie, per l’abbinamento di delicatezza e potenza, per la padronanza assoluta degli acuti e la pienezza nei gravi. Memorabile il suo Lindoro nel lungo e tormentato monologo Questo è dunque il loco usato dove l’interazione con il suo doppio bambino e con il gioco cangiante di luci ha realizzato un momento di teatralità purissima. Bellissima per chiarezza e adeguatezza al personaggio anche la Susanna di Maria Luisa Casali, soprano di coloratura agile e ricco di sfumature nell’aria Per l’amata padroncina, inserita ex novo da Paisiello rispetto alla fonte francese. Molto bravo Andrea Vincenzo Bonsignore, baritono dalla voce brillante e omogenea nei registri, che ha conquistato il pubblico, coinvolgendolo anche in platea, nella parte buffa, l’unica di tutta l’opera, di Giorgio (per la regista è un buontempone ottimista che se non vede stelle con il suo cannocchiale è pronto a gettarne alcune di carta luccicante). Buona, anche se migliorabile nella varietà delle dinamiche, la voce del basso Rocco Cavalluzzi che ha interpretato con adeguatezza la figura dolente del conte padre di Nina. Degna di menzione la prova dei componenti dell’ottetto vocale (Valeria La Grotta, Cristina Fanelli, Maria Chiara Scarale, Flavia Muri, Domenico Pellicola, Giuseppe Lucente, Luca Simonetti, Francesco Masilla), cui erano affidati i ruoli di villani e villanelle, trattati dalla regista alla stregua di singoli personaggi ben individualizzati sul piano prossemico e vocale con segmenti in assolo; nell’insieme, pur essendo otto giovani voci, hanno reso l’effetto di un folto e compatto coro operistico.  Calorosissima l’accoglienza del pubblico che ha fatto registrare il sold out per le due sere. Vedere nella cornice di Taranto vecchia, splendida e al tempo stesso decadente, circa duecento persone in fila nell’attesa di ascoltare la musica di Paisiello è la più grande delle conquiste di un festival che ambisce a far riappropriare Taranto del suo patrimonio identitario.