Gaetano Donizetti (1797 – 1848): “Il furioso all’isola da San Domingo” (1833)

Melodramma giocoso in due atti su libretto di Iacopo Ferretti. Simone Alberghini (Cardenio), Cinzia Forte (Eleonora), Francesco Marsiglia (Fernando), Leonardo Galeazzi (Bartolomeo), Marianna Vinci (Marcella), Filippo Morace (Kaidamà). Orchestra e coro del Bergamo musica festival, Fabio Tartari (maestro del coro), Giovanni Di Stefano (direttore), Francesco Esposito (regia), Michele Olcese da un progetto di Emanuele Luzzati (scene), Santuzza Calì (costumi). Registrazione: Bergamo, Teatro Donizetti, ottobre 2013. T.Time: 125′ 1 DVD BONGIOVANNI AB20033.
Solo i pregiudizi a lungo invalsi verso il genere semi-serio possono spiegare la limitatissima fortuna di un’opera della qualità del “Il furioso all’isola da San Domingo”. Composta da Donizetti nel 1833, più o meno fra “L’elisir d’amore” e “Lucrezia Borgia”, l’opera si inserisce in una delle stagioni più felici della produzione donizettiana e se forse non ha la tenuta complessiva degli autentici capolavori, le pagine più ispirate – come l’aria d’entrata di Cardenia o il duetto del II atto fra questi ed Eleonora – si pongono fra i momenti più alti dell’arte del compositore bergamasco. L’opera è inoltre di primario interesse sia sul piano drammaturgico sia su quello dell’evoluzione delle tipologie vocali. Liberamente tratta da Cervantes, rappresenta un’ulteriore variazione sul tema della follia di cui Donizetti – quasi presago del proprio infelice destino – ci ha offerto alcune delle maggiori rappresentazioni ma, se l’opera romantica ha reso esclusiva femminile il tema, qui si torna ad una follia maschile quali ne aveva conosciute il barocco – si pensi al “Tamerlano” di Händel o alle infinite variazioni sul mito di Orlando – ma che nel repertorio romantico trova solamente un’altra attestazione, anch’essa donizettiana, quella del “Torquato Tasso”. Sul piano vocale la parte di Cardenio scritta per un giovane Giorgio Ronconi – il futuro padre del “Nabucco” verdiano – segna un passo importante verso la definizione del baritono vero e proprio usato qui già in ruolo protagonistico.
Il “Donizetti festival” ha quindi fatto opera meritoria riallestendo il titolo nel 2013 anche per la ripresa – a cura di Francesco Esposito – del delizioso spettacolo firmato a suo tempo da Emanuele Luzzati e Santuzza Calì che dell’opera danno una dimensione magica e atemporale, immersa in un paradiso tropicale dai vivacissimi colori che domina i fantasiosi costumi che si muovono fra il verde intenso della vegetazione dal chiaro sapore naïf – un po’ alla Rousseau – e l’intenso blu del mare. La regia segue con correttezza la vicenda ma forse manca il bersaglio nel cogliere lo sfuggente confine fra i generi, in quanto prevale qui un taglio decisamente buffo – pur ottimamente eseguito e senza cadute di gusto ma appare un po’ sacrificata la parte patetica e sentimentale della vicenda.
Sulla stessa linea si pone anche la concertazione di Giovanni Di Stefano che dirige con brillantezza e slancio ma con un gioco chiaroscurale che avrebbe potuto essere più ricco e variegato oltre a riscontrarsi qualche imprecisione sulla tenuta collettiva. L’orchestra e il coro pur senza vette particolari si disimpegnano con professionalità dando una buona lettura di una partitura decisamente impegnativa specie per le masse corali. Il cast offre una prestazione nell’insieme positiva. Simone Alberghini non è il baritono puro che la parte richiederebbe e non ha quella nobiltà di canto che in più punti si è portati a desiderare – e che era di Bruson quando lo spettacolo di Luzzati fu montato la prima volta – ma canta con gusto e musicalità, regge bene la tessitura decisamente acuta per il suo tipo di vocalità e interpreta con convinzione rendendo un ritratto più che convincente di un personaggio assai complesso. Convince meno Cinzia Forte soprattutto sul piano strettamente vocale dal momento che l’interprete è attenta e sensibile, l’accento sempre curato e partecipe e la recitazione perfettamente centrata sfruttando anche l’innegabile fascino scenico. Sul piano del canto si apprezzano la linea molto curata e il bel registro mediano morbido e carezzevole mentre si nota qualche difficoltà in acuto dove la voce tende a impoverirsi e soprattutto nel registro grave dove risulta povera di suono e con eccessiva tendenza al parlato specie nella cavatina di sortita. Francesco Marsiglia (Ferrando) mostra tutte le doti che si sarebbero apprezzate negli anni successivi. Voce leggera ma musicalissima, agile e precisa con emissione morbida e flautata e solo un certo senso di prudenza sugli estremi acuti. L’interprete è più immaturo ma il personaggio, abbastanza monocorde, non è troppo penalizzato al riguardo. Filippo Morace affronta il moro Kaidamà con buona presenza vocale e soprattutto con ottimo gusto, senza esagerazioni o facili gigionerie cui pure il personaggio potrebbe invogliare cogliendo anche accenti di sincera umanità. Efficaci il Bartolomeo di Leonardo Galeazzi e la Marcella di Marianna Vinci.