Georg Friedrich Händel 260: “Tamerlano” (1724) – “Alcina” (1735)

Opera seria in tre atti su libretto di Nicola Francesco Haym. Christophe Dumaux (Tamerlano), Jeremy Ovenden (Bajazete), Sophie Karthäuser (Asteria), Delphine Galou (Andronico), Ann Hallenberg (Irene), Nathan Berg (Leone), Caroline D’Haese (Zaida). Les Talens Lyrique, Christophe Rousset (direttore), Pierre Audi (regia), Patrick Kinmonth (scene e costumi), Matthew Richardson (luci), Registrazione, Bruxelles La Monnaie/Die Munt, gennaio 2015. 2 DVD Alfa Classics EDV 1857
Il cofanetto edito da Alfa Classics riunisce due spettacoli handeliani andati in scena a Bruxelles nel 2015 e accomunati dalle firme di Christophe Rousset come direttore – affiancato dai suoi fedelissimi Les Talens Lyrique – e di Pierre Audi per la regia. I titoli scelti per l’operazione sono due dei maggiori capolavori del teatro barocco “Tamerlano” e “Alcina” e ad accomunarli vi è anche un altro fattore di cui bisogna tener attentamente conto nella valutazione delle scelte stilistiche. Entrambi gli spettacoli sono stati infatti concepiti per il teatrino del castello di Drottningholm che per le sue particolarità impone scelte che possano valorizzare il piccolo palcoscenico e che siano realizzabili con gli originari macchinari teatrali settecenteschi che ancora sopravvivono nel teatrino svedese.
Tamerlano risulta il titolo più compiuto da tutti i punti di vista. L’opera è forse il risultato più alto di Händel sul piano dell’efficacia drammaturgica e della capacità di indagine psicologica dei personaggi. Lontano dall’enfasi di altri lavori “Tamerlano” è principalmente dramma di affetti, indagine di psicologie condotta con un rigore e con una pregnanza teatrale che dovrebbe far riflette su come ancora – specie in Italia – si sottovaluti la qualità teatrale dell’opera barocca. Nello scontro fra le psicologie estreme del tiranno tartaro vincitore e del vinto sultano turco – anche musicalmente fra le creazioni più originali e moderne di tutto il catalogo händeliano – si snoda un’enciclopedia delle emozioni al cui centro brilla la nobile figura del principe greco Andronico portatore di quei valori di equilibrio che lo elevano sui barbari, entrambi a loro modo vittime di passioni incontrollate.
Costretto anche dalle particolarità del palcoscenico, Audi punta su un allestimento di rigorosa essenzialità con quinte nere scandite da lesene classicheggianti definiscono lo spazio – e si riconosce la lezione del teatro di Pizzi con tutta la sua stilizzata eleganza – che nel finale lasciano spazio alle pure strutture lignee del palcoscenico – qui ricostruite ma autentiche a Drottningholm – così da isolare al massimo le emozioni dei personaggi. I costumi evocano un Settecento di classica sobrietà e di grande eleganza – anche se un po’ latita il colore esotico che pure la vicenda inevitabilmente sembra richiedere –  e semplicemente strepitoso è il gioco di luci creato da Matthew Richardson capace di creare chiaroscuri di grande suggestione, quasi in grado di rendere visibili i tormenti dei personaggi. La recitazione – fatto salvo qualche piccolo eccesso come i tratti inutilmente caricaturali di Leone – è naturale e coinvolgente, riuscito esempio di come si possa avere un taglio teatralmente moderno senza inutili forzature e attualizzazioni.
Rousset dirige con la ben nota maestria, brillante, teatrale, capace di rendere al meglio i contrasti su cui si regge la partitura. Ricca la tavolozza cromatica, così come variate e sempre teatrali sono le scelte ritmiche e agogiche. Il suono luminoso, morbido, setoso dell’orchestra è innegabilmente seducente e fa risaltare con ancor maggior rilievo le accensioni e le rotture. Rousset conosce questa musica alla perfezione e sa renderla con una ricchezza che teme pochi confronti.
La compagnia vocale non è alla stessa altezza ma nell’insieme fornisce una prestazione più che sufficiente. L’elemento più debole del cast è il Tamerlano di Christophe Dumaux che, pur elegante, raffinato, ottimo interprete e perfettamente a suo agio nella scelta registica che nel ruolo vede più un subdolo manipolatore che un guerriero vittorioso ed eroico pur nella sua barbara indole, conta su una voce  decisamente troppo piccola, povera di corpo e di mordente. Le colorature sono pulite e precise ma nei grandi momenti virtuosistici le polveri danno sempre l’impressione di essere bagnate e i grandi recitati lasciano solo intuire le proprie potenzialità espressive. Suo contraltare è il Bajazete di Jeremy Ovenden alle prese con quella che è forse la prima grande parte tenorile della storia dell’opera. La sua voce appare chiara, agile, di buono squillo anche se carente di colori, ma il problema maggiore sembra essere una tendenza a far prevalere l’impeto drammatico sulla correttezza del canto così che fin troppo frequenti sono gli slittamenti nel parlato. La scena della morte – una delle più alte realizzazioni del genio händeliano – è impressionante sul piano teatrale –. Ovenden, da parte sua, è ottimo attore e ha personalità scenica da autentico mattatore ma suscita più di una perplessità sul piano della correttezza musicale. Vero protagonista dell’opera è pero il greco Andronico, parte di vertiginosa difficoltà tecnica ed espressiva pensata per le eccezionali qualità del Senesino. Delphine Galou non ha certo quelle doti ma, nonostante una voce limitata per volume, sa cantare decisamente molto bene. Il timbro di un velluto caldo e morbido e di grande suggestione, la tecnica ottima, il senso dello stile ineccepibile che si fa apprezzare soprattutto nelle pagine più liriche – “Bella Asteria” è un autentico gioiello al riguardo – e probabilmente la registrazione permette di apprezzarla in pieno compensando la non particolare potenza della voce. In “Vivo in te” il timbro della Galou si sposa alla perfezione con quello di Sophie Karthäuser. Il soprano vallone tratteggia un’ottima Asteria. La voce è limpida e luminosa ma con una buona tenuta anche nel registro medio-grave, la musicalità eccellente, il fraseggio di raffinata precisione. La Karthäuser appare particolarmente a suo agio in un ruolo molto giocato sulla capacità espressiva trovando accenti di autentica commozione nella splendida “Cor di padre e cor d’amante” che chiude il II atto. Pur impegnata in un ruolo per molti aspetti secondario, Ann Hallenberg fa valere tutta la sua classe tratteggiando un’Irene autenticamente regale. Di contro veramente modesto il Leone di Nathan Berg, faticoso nel canto e sgraziato nell’accento.

Dramma per musica in tre atti su libretto anonimo. Sandrine Piau (Alcina), Maité Beaumont (Ruggero), Angélique Noldus (Bradamante), Sabina Puértolas (Morgana),Chloé Briot (Oberto), Daniel Behle (Oronte), Giovanni Furlanetto (Melisso), Eduard Huguet (Astolfo), Choer de Chambre de l’IMEP, Benoît Giaux (Maestro del coro). Les Talens Lyrique, Christophe Rousset (direttore), Piere Audi (regia), Patrick Kinmonth (scene e costumi), Matthew Richardson (luci), Registrazione, Bruxelles La Monnaie/Die Munt, gennaio 2015. 2 DVD Alfa Classics EDV 1857
Affidata agli stessi interpreti “Alcina” risulta eno convincente soprattutto sul piano scenico. Dove “Tamerlano”, dramma di affetti e di emozioni, si inseriva alla perfezione nell’essenzialità dell’allestimento in “Alcina” la mancanza di quella spettacolarità che un’opera magica e fiabesca sembra pretendere lascia un senso di incompiutezza. Le quinte architettoniche dell’opera precedente si fanno qui stilizzate architetture di verzura a rendere il giardino incantato che, al disparire degli inganni, lasciano spoglie quinte lignee mentre nel finale ritornano le architetture di “Tamerlano”. Il tutto anche qui concentrato sulle relazioni dei personaggi ma forse quest’opera richiederebbe un taglio diverso. Restano l’eleganza dei costumi di Kinmonth e il magistrale gioco di luci di Richardson così come la qualità del lavoro sugli interpreti svolta da Audi è capace di portare a risultati di una naturalezza espressiva veramente ammirevole anche se la scelta di far morire violentemente entrambe le maghe – di ferro Morgana, di veleno Alcina – lascia un velo fin troppo mesto sul finale. Resta fortunatamente anche la qualità musicale di Rousset e dei suoi Les Talens Lyrique che offrono una lettura di incantevole trasparenza, di colori tenui, cangiati, di una sensualità languida e indolente. Una direzione poco propensa forse agli elementi più spettacolari ma di una raffinatezza e di un’attenzione al dettaglio veramente rare.

Interessantissima l’Alcina di Sandrine Piau perfettamente calata nel taglio interpretativo di Rousset. In Alcina la Piau vede più la donna che la maga, più il contrasto degli affetti che la spettacolarità delle scene di furore. La voce non è di particolare imponenza ma usata in modo esemplare, perfetta nell’emissione – morbida, carezzevole, flautata – sicura nel canto di coloratura (anche se forse priva di quel gusto spettacolare che certe pagine sembrerebbero richiedere), sempre espressiva e curata negli accenti, nei colori, nelle inflessioni. Prevedibilmente la sua Alcina trova i momenti più intensi nelle scene più dolenti e sofferte come nel doloroso senso di impotenza che trasmette il suo “Ombre pallide, lo so, m’udite” ma anche nei momenti più leggeri e galanti – si ascolti quanta vaporosa femminilità avvolga “Sin, son quella” nella piena coincidenza di vedute interpretative fra cantante e direttore. Di contro un po’ di autentica forza manca nei momenti più drammatici dove il lavoro d’accento non compensa in toto la natura sostanzialmente lirica della voce ma questo non compromette una lettura che proprio nella sua non convenzionalità trova gli elementi di maggior interesse. Di fronte a quest’Alcina tende a non reggere pienamente il confronto il Ruggero di Maité Beaumont, fin troppo adolescenziale nella figura e nel colore vocale, corretto, preciso, educato ma sostanzialmente anonimo, poco eroico e poco passionale. Ottima presenza scenica e gran temperamento ma anche qualche difficoltà nel cimento di “Tornami a vagheggiar” per la Morgana di Sabina Puértolas. Daniel Behle nel repertorio italiano non ha quella naturalezza e facilità che lo caratterizzano quando canta nella sua lingua madre ma resta un musicista sensibile e preparato e un ottimo cantante inoltre è un vero piacere ascoltare una voce così solida e robusta nelle arie di Oronte anziché una di quelle voci fin troppo esangui cui spesso si affidano le parti tenorili barocche. Angélique Noldus è una Bradamante di forte impatto scenico, alta e slanciata, dal gesto giustamente marziale; l’artista canta con correttezza e proprietà ma latina di personalità e alla fine risulta fin troppo fredda. Forse ancora un po’ immatura vocalmente Chloé Briot è in compenso scenicamente strepitosa nei panni adolescenziali di Oberto. Decisamente troppo ingolato Giovanni Furlanetto non risulta troppo sgradevole solo per la brevità della parte di Melisso.