Intervista al basso-baritono Samuel Youn

Ritroviamo a Bayreuth il basso – baritono Samuel Youn che abbiamo avuto il piacere di ascoltare a Marsiglia qualche mese fa ne Il Vascello fantasma, quando ha interpretato con maestria il ruolo dell’Olandese. In una pausa fra due rappresentazioni (Lohengrin, Araldo del re, e Il Vascello fantasma, Olandese) il cantante coreano, affascinante e affabile, è stato così gentile da rispondere a delle domande per GBOpera.
Per conoscerci meglio, potrebbe dirci come le è nato il desiderio di cantare?
Quand’ero piccolo e cantavo in chiesa all’interno di un coro di bambini, mi venne l’idea di diventare cantante. Mio padre vi si oppose subito e dopo lunghe e difficili trattative ho ottenuto la sua benedizione, a patto che studiassi all’Università di Seoul. Sembrava impossibile. In quell’Università sono molto selettivi con le ammissioni e ci vogliono anni di preparazione, mentre io non avevo che tre mesi… Un lavoro accanito e una determinazione assoluta mi hanno aperto le porte di questa istituzione dove avrei studiato per quattro anni prima di partire per l’Italia e il Conservatorio di Milano.
Si ricorda della sua prima opera?
Certo che si, Faust di Charles Gounod: è la mia opera – feticcio. Dopo alcuni concorsi senza successo, fu grazie al concorso “Toti dal Monte” di Treviso che la mia carriera ha avuto inizio. Bisognava scegliere un ruolo e cantarlo per intero. Il personaggio di Mefistofele mi piaceva e si adattava alla mia vocalità. Fu lui che scelsi, dunque, e che mi permise di vincere il concorso grazie al favore del pubblico. Il mio primo ingaggio per questo stesso ruolo venne subito dopo; mi è stato quindi inviato dal diavoloil m’a donc été envoyé par le diable – ammettiamolo.
 C’è un compositore col quale sente maggiore affinità?
Tenderei a dire Charles Gounod per il regalo che mi ha fatto, ma amo cantare anche Mozart per il legato, la delicatezza, l’humour che si trova in certi ruoli, e sicuramente anche Wagner ultimamente. Per come la vedo io, era indispensabile passare attraverso Mozart prima di accostarmi alla musica di Richard Wagner; ciò permette di porgere bene la voce, di affinarne la musicalità e di curarne lo stile e la respirazione.
Fino a che punto il personaggio che interpreta la influenza?
Il registro della mia voce mi impone spesso di cantare i ruoli del cattivo senza esserlo veramente [ride, mentre lo dice, n.d.r.] e a Colonia li ho interpretati praticamente tutti. Ma rifletto molto sul personaggio e cerco di metterlo in scena così come lo percepisco, senza alcuna influenza esterna. Si tratta di una ricerca molto interessante che mi permette di conservare qualcosa di personale nelle diverse messinscene e, interpretazione dopo interpretazione, mi sento abitato dal personaggio.
Qual è il personaggio nel quale si sente più a suo agio?
Difficile da dirsi, ma amo particolarmente il ruolo di Jago nell’Otello di Verdi poiché, benché ciò non appaia immediatamente, si tratta di un ruolo molto sottile. Jago è furbo, certo, ma deve muoversi con intelligenza per preservare la sua credibilità presso Otello. Queste differenze mi piacciono tantissimo: bisogna giocare con il timbro della voce per far emergere le sfumature di carattere del personaggio e, soprattutto, non cantare di potenza tutto il tempo. Queste ricerche fanno appassionare molto al canto operistico.
Si trova sempre d’accordo con i registi?
Questo è un tasto delicato [un piccolo sorriso gli si disegna sulle labbra, n.d.r.]. Ma no, ovviamente non sono sempre d’accordo. Quindi ne discutiamo; devo comprendere il punto di vista del regista, la fondatezza delle sue richieste per non sentirmi mai messo in pericolo da certe esigenze. Ciò che più conta per me è senza dubbio la sua onestà, la cura nel non andare mai contro la musica e anche forse nel percepire che non è sua intenzione danneggiare i cantanti. Ma non so se lo sa che una volta mi sono anche rifiutato di cantare. Fu a Colonia, in Sansone e Dalila di Camille Saint-Saëns, e la cosa fu pure riportata dalla stampa. Ma è successo solo una volta.
Cosa può dirci in merito alla lirica in Corea?
La musica è tenuta in grande considerazione presso l’Università di Seoul e i giovani amano molto cantare. Ma sebbene ci sia un Teatro dell’Opera dove si fa lirica, la musica classica si può ascoltare per lo più nei concerti e nei recital.
Come mai è facile trovare molti giovani cantanti coreani in occidente e nei conservatori francesi?
Ciò è dovuto proprio agli insegnamenti e all’educazione impartiti in quella Università. Gli studenti sono appassionati e hanno uno scopo; vogliono andare a studiare nei paesi europei, culla della musica classica. Io stesso ho seguito quel percorso andando al Conservatorio di Milano prima di entrare a far parte della troupe dell’Opéra de Cologne, dove sono rimasto per sedici anni, E docve canto ancora regolarmente. Ma prima di intraprendere degli studi più specifici, è cantando nelle chiese che i ragazzini acquisiscono il gusto per la musica classica e questa è un’ottima cosa.
 C’è un ruolo che non fino ad ora non ha ancora interpretato e che sogna di interpretare?
Non ho in mente un ruolo preciso che sognerei di cantare, dato ch ho interpretato numerosi ruoli diversi adatti alla mia vocalità; dalle opere di Mozart a quelle di Wagner, Puccini o Verdi, passando per Donizetti che mi ha offerto un ruolo più divertente col suo Elisir d’amore. Ma è anche vero che nel 2002, dopo aver interpretato Donner ne L’Oro del Reno, mi è venuta una gran voglia di cantare il ruolo di Wotan. Ma, vede, le cose avvengono secondo il loro ritmo, quindi…
Il direttore d’orchestra influenza grandemente la sua interpretazione?
Il ruolo del direttore d’orchestra è particolarmente importante. È lui che creerà realmente l’atmosfera coi suoi tempi, le sue respirazioni e la sua visione dell’opera. Ci sono direttori d’orchestra con i quali un cantante si sente più o meno a suo agio, ma vivere un rapporto di osmosi col direttore d’orchestra è l’esperienza più gradevole e confortante che ci sia. Non è sempre questo il caso, poiché, al di là della comprensione musicale, c’è la comprensione del canto. Non tutti I direttori d’orchestra ri rendono conto per bene di quanto sia difficile cantare; allora bisogna mediare e non è sempre facile.
Cantare a Bayreuth, è una gioia, una sfida o una cosa totalmente diversa rispetto agli altri palchi scenici?
Cantare a Bayreuth è un grande onore che vivo pienamente. È una gioia immensa naturalmente ed esservi invitato diverse volte viene visto come una consacrazione, un riconoscimento che rappresenta un nuovo sviluppo per la mia carriera. Al momento canto nel Lohengrin e nel Vascello fantasma, ed è quindi anche una sfida. Ben inteso, c’è un’enorme differenza fra cantare su questa immensa scena o in strutture più piccole, anche perché l’acustica qui è particolarissima e dona un paicere raro. Ma prendiamo ad esempio  Il vascello fantasma che ho appena cantato a Marsiglia: si è trattato anche di un momento privilegiato con dei rapporti umani più stretti e un contatto particolare col pubblico. Ma Bayreuth è un luogo unico per la musica di Richard Wagner che può trascendere qualsiasi cantante.
Grazie mille a Samuel Youn di aver trovato il tempo per condividere con noi le sue impressioni.
Versione italiana a cura di Paolo Tancredi